Come aiutare un bambino che non vuole andare a scuola. La psicologa: “Non è pigrizia ma un disagio profondo”
Capita a tutti i bambini di svegliarsi la mattina con poca voglia di andare a scuola. Un compito difficile, un compagno con cui hanno litigato o semplicemente la stanchezza possono rendere l’idea di entrare in classe poco allettante. Tuttavia, quando il rifiuto diventa costante e strutturato nel tempo, allora tale comportamento potrebbe essere espressione di un malessere già profondo.
"Se un bimbo ogni tanto fa storie prima di andare a scuola, non c'è granché di cui preoccuparsi", spiega a Fanpage.it Ilaria Rota, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva al Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo. "In questi casi, è sufficiente legittimare lo stato d'animo del piccolo, facendogli capire che stiamo comprendendo il suo pensiero e che anche noi adulti, spesso e volentieri, dobbiamo svolgere dei compiti che proprio non abbiamo voglia di fare. Dopotutto, nella vita sono tante le cose noiose ma che servono a renderci migliori".
Se però questa ostilità si prolunga nel corso delle settimane, molto probabilmente un simile comportamento è espressione di un malessere più profondo, le cui ragioni possono essere molteplici: l'ansia legata alla prestazione scolastica, difficoltà con l’apprendimento, problemi sociali con i compagni o gli insegnanti o, talvolta, anche la fatica a distaccarsi dall’ambiente familiare.
"Di solito sono i genitori che caricano di aspettative i figli perché desiderosi di vederli realizzati – sottolinea Rota – Tuttavia ci sono bambini che, pur non subendo alcuna pressione, finiscono comunque per vivere con ansia l’ambiente scolastico a causa di caratteristiche personali, magari perché tengono molto ad eccellere o vogliono sentirsi all’altezza della situazione".
Ci sono poi anche dei casi in cui l’ansia da prestazione viene alimentata da difficoltà nell’apprendimento che fanno sentire i piccoli inadeguati e timorosi di non riuscire.
Gli errori da evitare
Quando un bambino sviluppa un rifiuto nei confronti della scuola, può succedere che il genitore vada in agitazione, oppresso dal timore che il bambino perda troppi giorni di scuola, venga bocciato e, quindi, possa compromettere irrimediabilmente il proprio futuro. Tali condizioni possono spingere mamma e papà a mettere in campo degli interventi disfunzionali che, pur dettati dalla buona fede, spesso si rivelano controproducenti.
"Non bisogna mai minimizzare il suo disagio, ma anzi occorre far capire al piccolo che ci siamo accorti del problema e che siamo pronti ad affrontare la questione insieme – ammonisce Rota – Il bambino non deve sentirsi in colpa per quello che sta vivendo, ma deve capire che tutto che prova è legittimo, anche se complicato da gestire".
Parallelamente, ricorda la psicologa, è fondamentale non assecondare il desiderio di fuga dalla scuola del bambino. Un genitore che acconsente a tenere a casa un figlio per sottrarlo al malessere, nell’immediato periodo potrebbe anche ottenere un miglioramento – non affrontando il problema, il bambino evita di confrontarsi con la situazione che gli genera ansia – ma sul lungo periodo gli effetti possono essere molto gravi perché l’evitamento rafforza l’incapacità a gestire la difficoltà.
"Il genitore invece deve sempre far passare il messaggio che la scuola non è il male e che bisogna lavorare per riavvicinarsi ad essa, anche attraverso un percorso graduale".
Punire non serve
Un altro approccio molto comune è poi quello di considerare simili atteggiamenti negativi nei confronti della scuola come una manifestazione di pigrizia e indolenza. Tale convinzione spesso porta gli adulti a punire i figli per insegnare loro il senso di responsabilità nei confronti dei propri impegni.
Come evidenziato dalla stessa Rota, però, castighi e punizioni non risolvono nulla. Anzi comportano ancora più ansia senza risolvere la causa sottostante del rifiuto. Anche impedire la partecipazione ad attività che fanno stare bene il bambino – come lo sport o un momento di svago – può solo peggiorare la situazione, poiché queste attività sono essenziali per il suo benessere psicologico.
"In una situazione di malessere legato alla scuola, potersi distrarre consente ai piccoli di bilanciare il carico emotivo del momento – spiega la psicologa – Se invece si nega tutto ciò che non riguarda la scuola per forzare la situazione, il rischio è di ritrovarsi con un bambino triste e ritirato dal mondo".
Cosa fare per risolvere la situazione
Secondo la dottoressa Rota, il modo migliore per iniziare un cammino di guarigione dal rifiuto scolastico è impostare un lavoro collettivo tra famiglia, scuola e, eventualmente, un professionista esterno. Tutto però deve partire dai genitori.
"È necessario che il genitore compia un passo in più per uscire dalla logica che associa il rifiuto della scuola alla pigrizia e si domandi come si sia arrivati a questo punto" afferma l'esperta. "È infatti del tutto naturale che un bambino preferisca giocare e divertirsi piuttosto che stare in classe e studiare, ma per arrivare a un blocco significa che c’è sotto qualcosa di più serio".
Maturata la giusta consapevolezza del problema, la psicologa suggerisce dunque di parlare al bambino con empatia e spirito di collaborazione, facendo al piccolo capire che i suoi genitori sono con lui nell'affrontare questa sfida. Allo stesso tempo, è cruciale iniziare a confrontarsi con la scuola per valutare sul da farsi, analizzando gli eventuali elementi d'inquietudine (una difficoltà nello studio, un problema con un compagno di classe o con il docente ecc…) e provando a impostare una strategia per un progressivo riavvicinamento, magari prevedendo una frequenza ridotta nelle fasi iniziali del percorso.
Un ultimo step può infine essere quello di rivolgersi a un supporto psicologico per lavorare a fondo sulle cause del disagio. "Durante gli incontri con un terapeuta, il bambino potrà trovare uno spazio sicuro dove esplorare le proprie emozioni, senza il rischio di essere giudicato – conclude Rota – Lo psicologo potrà poi lavorare con i genitori per aiutarli a trovare degli accorgimenti nella quotidianità, come il mantenimento di una routine o lo svolgimento di alcune attività utili a risvegliare curiosità e motivazione nel bambino".