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Come aiutare i bimbi a superare la paura del terremoto: “Lasciamo che raccontino i loro traumi”

I disastri ambientali spaventano molto gli adulti e ancora di più i bambini che li guardano attoniti senza comprenderne la paura. Per questo è molto importante che per elaborare il trauma si parli in famiglia dell’accaduto o si invitino i bimbi a farlo attraverso il gioco, il disegno o le favole.
Intervista a Dott. Samuele Russo
psicologo e psicoterapueta e dottorando di ricerca in neuroscienze del comportamento presso il dipartimento di psicologia di Sapienza, Università di Roma
A cura di Sophia Crotti
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terremoto

Disastri ambientali e climatici, terremoti, cataclismi, eruzioni, sono tutti eventi incontrollabili che piombano con estrema violenza nelle vite di noi esseri umani, proprio per questo spaventano molto gli adulti ma, a rimanere attoniti a guardare i genitori che fanno i conti con la propria paura, spesso sono i bambini. I piccoli vivono doppiamente il trauma, non sapendo spiegarsi nemmeno il perché della prova antincendio che le insegnanti fanno fare loro a scuola o della paura sul volto dei genitori. Come fanno i più piccoli a elaborare un evento traumatico come un terremoto improvviso o un cataclisma? I genitori possono aiutarli? Ne abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Samuele Russo, specializzato nella rielaborazione dei traumi dei bambini.

Samuele russo
Samuele Russo(psicologo e psicoterapeuta)

Come si può parlare di cataclismi ai bambini senza spaventarli?

In generale si parla sempre di più di cataclismi ai bambini, proprio a causa del cambiamento climatico in corso, viene fatta moltissima formazione e informazione già nelle scuole su questi temi, però si trascura un po’ la parte emotiva e psicologica. Si parla tanto di come agire in maniera preventiva, cercando di prevenire le situazioni catastrofiche con atteggiamenti eco-compatibili, ma si trascurano gli effetti che l’ansia climatica causa nella popolazione, soprattutto quella giovane. Quando informiamo i bambini la cosa più importante è prepararli alle modalità attraverso cui il nostro corpo esperisce le emozioni, perché abbiamo 3 narratori: la testa, che ci parla con pensieri e cognizioni “sono in pericolo”, il cuore con le emozioni: “sono triste, agitato, ho paura”, il corpo con le reazioni: “scappo, mi fermo, mi blocco”. Se questi elementi vengono raccontati al bambino, impara a riconoscerli e a gestirli.

La reazione di un bambino davanti a un evento imprevedibile e pauroso, è legata a quella del genitore?

Sì, la reazione del bambino spesso dipende da come reagisce il genitore. Quando c’è una situazione di pericolo il bambino per prima cosa non guarda la fonte che causa il pericolo ma la sua figura di riferimento, per capire come reagisce. Lo sguardo del bambino viene definito sguardo referenziale, ossia uno sguardo che gli permette di regolare la sua emotività sulla base di quella del genitore. Infatti, non tutti i bambini che vivono la stessa situazione catastrofica reagiscono allo stesso modo, se i genitori riescono a mantenere un maggiore stato di calma, il bimbo percepisce la loro tranquillità e non esaspera la propria paura. Ma non ci sono colpe da imputare ai genitori, perché anche loro sono stati figli con uno specifico modello genitoriale con il quale hanno fatto i conti oppure, semplicemente stanno elaborando a loro volta un trauma.

Il bambino come cerca di superare il trauma vissuto?

I bambini nel cervello spesso attivano un meccanismo di autoguarigione, infatti per rielaborare delle esperienze vissute, siano state esse positive o negative, i bimbi tendono a rappresentarle attraverso il gioco individuale. Quindi è importante innanzitutto fornire ai bambini degli strumenti espressivi, siano giocattoli o fogli e matite colorate, in modo che anche attraverso il disegno possano rappresentare il proprio trauma.

E i genitori come possono provare ad aiutare un bambino che ha vissuto un cataclisma? 

Una volta che il bimbo ha realizzato un disegno in cui esprime il suo stato d’animo, il genitore dovrebbe invitarlo a parlarne. È importantissimo non rendere il dolore e la paura dei bambini dei tabù, perché se il piccolo percepisce che i genitori hanno paura di parlare di qualcosa, iniziano a pensare che quel tema è così angosciante che anche mamma e papà lo temono, e vivrà così un'angoscia profonda.

Quindi con delle semplici domande il genitore potrebbe chiedere “cosa hai disegnato?”, “ti va di raccontarmelo?”. Oppure l'adulto può aiutare il bimbo nella verbalizzazione delle emozioni, con l’aiuto di pupazzi o storie inventate che ripercorrano quanto il bimbo ha vissuto.

Ovviamente i genitori potrebbero non essere in grado di sintonizzarsi con lo stato d’animo del bambino, oppure non riuscire a rispondere ai suoi bisogni, oppure essere così spaventati da ciò che hanno vissuto da non essere emotivamente disponibili all’ascolto del piccolo, per questo è importante rivolgersi ad un professionista.

In tutte le scuole esistono alcune attività come “la prova antincendio" o quella antisismica, come possono essere presentate ai bambini, senza spaventarli?

Spesso i bambini si divertono quando c’è la prova antincendio, poiché è un momento di rottura con la quotidianità sui banchi. La cosa importante è sempre rassicurare i bambini ricordando loro che è un’esercitazione e facendolo anche attraverso il linguaggio non verbale. Un’atmosfera giocosa serve sempre, i bimbi possono eseguire tutte le manovre richieste mentre gli insegnanti ricordano loro che stanno semplicemente facendo finta di evacuare l’edificio, così nel momento in cui l’evacuazione dovesse avvenire davvero si può cercare di tranquillizzare i bambini riportando alla loro mente le esercitazioni svolte in maniera serena e senza panico.

Una volta vissuta la calamità, quando i bimbi nei giorni successivi sono più tranquilli, si può spiegare loro l’accaduto e cercare di farli parlare in modo che esprimano come si sentono.

Se i bambini per esempio vivono in una zona sismica e periodicamente percepiscono il pericolo, come si può aiutarli ad affrontare questa cosa?

In realtà tutto dipende da cosa è accaduto la prima volta che il bambino vive la scossa, perché il piccolo non è in grado di percepire subito il pericolo in sé. Diversa è la situazione di un bambino che ha vissuto un terremoto che ha causato danni enormi e assiste alle successive scosse di assestamento, o ripassa nella zona coinvolta dal cataclisma, queste immagini e queste sensazioni fungono da segnali attivatori che riaccendono il ricordo del trauma nel bambino.

Il bambino come manifesta il suo malessere?

La sintomatologia è enorme, spesso il malessere viene manifestato dal bambino in più contesti sociali. Questo è un bene perché se a casa il genitore potrebbe star vivendo un disturbo da stress post-traumatico come il bimbo, e dunque non cogliere i segnali del piccolo, a scuola potrebbero accorgersene le insegnanti e segnalarlo poi ai genitori e ai professionisti. Il bimbo potrebbe manifestare comportamenti internalizzanti: sembrare tranquillo ma poi avere scatti di rabbia contro se stesso, oppure scappare dalla classe, non interagire con i compagni. Oppure il bimbo potrebbe mettere in mostra degli atteggiamenti esternalizzanti, come l’aggressività, la rabbia, danneggiare gli oggetti, dire parolacce. Le due modalità possono coesistere, soprattutto se il genitore è normativo e mortifica il bambino.

Quando è il caso di portare il bambino da uno specialista?

Gli interventi andrebbero effettuati in ottica preventiva, da psicologi specializzati nella gestione dei traumi, un approccio molto usato è quello dell’EMDR, attraverso cui lo specialista fornisce un aiuto immediato o successivo al trauma. Spesso però gli specialisti si trovano ad effettuare gli interventi nel post, perché le situazioni arrivano dopo diverso tempo dal professionista. Portare il bambino dallo psicoterapeuta fin dai primi segnali è importantissimo, o anche solo se si ha la certezza che abbia assistito a una situazione traumatica.

I bimbi possono aver paura di un cataclisma senza mai averlo vissuto?

Certo, per diverse ragioni, potrebbero vivere il trauma vicario, ossia un trauma a cui il bambino non ha assistito direttamente, ma che ha sentito raccontare da un amico o ha vissuto attraverso la morte di qualcuno, che non ha mai affrontato. Oppure un altro fattore è l’esposizione costante da parte dei media a un evento traumatico, senza la mediazione dei genitori. Oppure molto più sensibili anche ai cataclismi sono i bambini che hanno già vissuto traumi in precedenza, o bambini che a causa di disturbi del neurosviluppo hanno difficoltà ad interpretare i contesti in cui si trovano.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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