“Anche le grandi artiste sono ostacolate dal mito della maternità”: l’esperta sulle parole di Laura Pausini
Laura Pausini, intervistata da Silvia Toffanin durante la trasmissione "Verissimo" su canale 5, non ha esitato neanche un attimo quando la presentatrice le ha chiesto quale momento della sua carriera le avesse fatto tremare le gambe. Non uno dei tanti palchi internazionali cavalcati, non la nomination per uno dei tanti premi ricevuti, neanche quel primo concerto che nel 2007 a San Siro la decretò la prima donna italiana a riempire lo stadio. L'emozione più grande per lei è arrivata all'Ospedale Maggiore di Bologna, quando ha visto per la prima volta realizzarsi il sogno espresso nella sua canzone "Celeste", la nascita di sua figlia Paola. Nonostante il successo e l'evidente condizione di privilegio, Pausini, però, ha dichiarato di aver dovuto superare le sfide che molte altre donne, una volta diventate madri, incontrano.
"Paola è sempre stata molto brava. Mi ha insegnato tante cose, ma ci siamo dovute organizzare perché era la prima volta per me. Ero impaurita di come sarebbe stata la nostra vita". Pausini ha spiegato di essersi organizzata facendo venire la figlia con lei quando è in tour in America, permettendole di continuare gli studi grazie a un tutor che collabora con la scuola ma lasciandola con i suoi amici in Italia quando lei gira l'Europa per i concerti. "Quando siamo in tour in Europa non la faccio venire con me, guadagno meno ma la notte prendo un aereo e torno da lei, così la mattina quando va a scuola la vedo. Forse non dovevo dire che si guadagna meno, ma è così".
Abbiamo chiesto alla dott.ssa Anna Granata, professoressa associata di pedagogia presso l’Università degli studi di Milano Bicocca, di spiegarci come e in che modo la maternità per le donne è sempre accompagnata da sensi di colpa e di rinuncia, anche quando si è artiste affermate come Laura Pausini.
Pausini parla di un forte senso di colpa per la sua vita fatta di spostamenti e anche lontananza dalla figlia, perché alle madri accade di provare senso di colpa nell’autorealizzazione?
Partirei da un dato: a nessun uomo viene mai chiesto, qualsiasi sia il suo ruolo professionale e pubblico, di scegliere tra la paternità e il lavoro, invece alle donne, siano grandi artiste o professioniste comuni, proprio in quanto donne, viene posta la questione di scegliere tra la carriera e maternità. Già in questo vediamo un gender gap, perché ciò che emerge a livello di immaginario collettivo è che la figura paterna sia facilmente conciliabile con la carriera, mentre la figura materna in crisi, nel momento in cui si trova a tenere insieme queste due dimensioni. Da qui nascono una serie di sentimenti unicamente femminili come il senso di colpa o “la tentazione di mollare tutto” di cui parla anche Pausini, una serie di domande che le donne spesso si pongono da sole e che mettono in discussione la possibilità di raggiungere determinati obiettivi di carriera. Non si è mai visto un uomo a cui sia stato chiesto “ora che hai dei figli sei sicuro di voler continuare nella tua carriera?”. Pausini si fa da sola questa domanda a causa di una pressione culturale molto forte, in un contesto in cui sembra che le dimensioni di carriera e cura non siano compatibili.
Da cosa deriva questo bisogno di tornare a casa dopo giorni di lavoro, rinunciando magari a compensi o altre attività e doverci quindi essere per forza per i figli delle mamme?
Io prendo in prestito le parole della mia collega Alessandra Minello, demografa che ha scritto il testo “non è un Paese per madri” in cui si parla del mito della maternità. In Italia c’è una crisi demografica gravissima eppure aleggia ancora il mito della maternità, ossia il fatto che una donna si realizza pienamente solo se diventa madre e una volta diventata madre, il suo tempo, le sue energie e i suoi obiettivi devono essere ricondotti alla dimensione di cura dei figli. Questo mito per molte donne inibisce anche il desiderio di avere figli, delle potenziali madri, perché se avere un figlio implica la rinuncia agli obiettivi di studio e professionali, alla carriera, il dedicare tutte le energie possibili alla cura del neonato, e poi del bambino, capiamo che il carico di cura diventa una dimensione assoluta per le donne.
Cosa che ai papà non accade?
La questione è riequilibrare i ruoli di genere e il carico di cura, perché nei Paesi del Nord Europa, dove le donne si affermano nella carriera, nella sfera pubblica e politica e hanno diversi figli, queste dimensioni si rafforzano a vicenda perché il carico di cura dei figli non é solo sulle loro spalle. Qui si ha la presenza attiva dei padri, anche grazie ai congedi di paternità equilibrati rispetto a quelli di maternità, che permettono di accettare anche culturalmente che i momenti chiave della vita di un ragazzino o di una ragazzina, come la partecipazione a una partita, ad una recita, all’ingresso a scuola, può essere presente tanto la mamma, quanto il papà o un’altra figura familiare. Quando la Pausini dice che ha bisogno di prendere un aereo e tornare sembra dire che deve esserci per forza lei, a costo di viaggiare dopo un concerto e precipitarsi perché lei è l’unica detentrice di quella dimensione di cura assoluta che la società, anche inconsciamente, le affida.
Pausini dice di tornare prima da eventi, perdendo anche un introito economico. A tutti i livelli di carriera le donne si trovano a fare rinunce per i figli?
Io aggiungerei il sentimento della rinuncia al senso di colpa, tra i sentimenti attribuiti socialmente alle madri lavoratrici, che inibisce le loro possibilità di realizzarsi a pieno. Si tratta anche di una rinuncia economica che per un uomo sarebbe vista come una sconfitta per una donna invece è accettata e anche incoraggiata. Ogni donna può decidere di rinunciare a una parte di lavoro per le proprie relazioni, anche quelle di cura, ma il fatto che lo debba esprimere pubblicamente lascia pensare che sia il frutto di una pressione sociale. Se Pausini non afferma tutto questo allora non si sente una brava madre, pensando che nel momento in cui lavora o viaggia per lavoro, sta facendo delle scelte per la sua carriera, per se stessa. Invece tutte le madri che non rinunciano ad affermarsi lavorativamente, lo stanno facendo anche per le proprie figlie. C’è una ricerca longitudinale che conferma che madri lavoratrici di Paesi internazionali si sono realizzate nella carriera hanno cresciuto figlie che trent’anni dopo erano loro stesse realizzate nella carriera. Si vede così l’impatto del lavoro delle madri sulle aspettative e le ambizioni delle figlie. Questo ci deve far dire come madri lavoratrici che tutte le volte che facciamo qualcosa per la carriera lo stiamo facendo anche per le nostre figlie. Questo pensiero credo che ci dia coraggio e ci liberi da un retaggio che ci fa sentire in colpa o inclini alla rinuncia in nome di qualcosa che non esiste.
Pausini dice che la figlia fa lezione attraverso i tutor, quando sono in America per il tour, è un modo per adattare la vita dei figli alla propria, senza rinunce?
Io ci vedo una grande creatività nel vivere la maternità con modalità che sono diffusissime in altri Paesi e sistemi scolastici meno vincolati alla modalità di frequenza della scuola italian. Penso che Pausini abbia trovato una soluzione, forse importata da Oltreoceano, che le consente di vivere con sua figlia e di far fare a lei una bellissima esperienza di scuola internazionale e di contatto con altre culture. Esperienze scolastiche internazionali che la figlia di Pausini può vivere in un contesto circoscritto e privilegiato, lanciano però un messaggio utile anche alla scuola pubblica, che dovrebbe aprirsi a forme di alternanza che prevedano esperienze al di fuori dal calendario classico proposto dalla singola scuola.