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Alzheimer infantile: cause, sintomi e diagnosi della sindrome di Sanfilippo raccontate dall’esperto

Il professor Alessandro Fraldi, genetista dell’Università Federico II di Napoli, spiega a Fanpage gli effetti di una malattia rara troppo e ancora poco nota: “Conoscere questa sindrome può aiutare la ricerca e anticipare le diagnosi”.
Intervista a Alessandro Fraldi
Professore associato di Istologia presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi Federico II di Napoli.
A cura di Niccolò De Rosa
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Sindrome di Sanfilippo

La sindrome di Sanfilippo è una malattia metabolica rara ed ereditaria che a causa della sua natura degenerativa è conosciuta anche come "l'Alzheimer dei bambini". I piccoli che ne soffrono infatti, a pochi anni dalla nascita iniziano a regredire in molte delle loro funzioni, perdendo l'uso del linguaggio e registrando difficoltà motorie.

Nonostante gli effetti devastanti che tale patologia comporta sulle vite dei piccoli pazienti e nelle loro famiglie, la sindrome di Sanfilippo è però ancora una condizione poco conosciuta in Italia.

"Come tutte le malattie rare, la sindrome di Sanfilippo non desta grande interesse da parte di chi investe nella ricerca" racconta a Fanpage.it Alessandro Fraldi, Professore associato di Istologia presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli, nonché membro del Comitato Scientifico dell‘Associazione Sanfilippo Fighters, punto di riferimento in Italia per le famiglie con bambini e ragazzi affetti dalla sindrome di Sanfilippo.

"L'importanza della divulgazione è però cruciale per aumentare la consapevolezza dell’esistenza di questa sindrome e per contribuire al miglioramento della qualità della vita dei giovani pazienti".

Professore, che cos'è esattamente la sindrome di Sanfilippo?

É una Mucopolisaccaridosi di tipo 3, ossia una patologia metabolica degenerativa che rientra nel gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale. A causarle infatti è una mutazione genetica che, nel caso della sindrome di Sanfilippo, riguarda un gene deputato alla produzione di un enzima che degrada alcune macromolecole. Se questo enzima è assente o inattivo, le macromolecole si accumulano in particolari distretti delle nostre cellule, i lisosomi, e alla lunga questo accumulo finisce per essere tossico.

Quali sono gli effetti di questo accumulo?

Tale tossicità riguarda ogni tessuto dell'organismo, ma si manifesta in particolare nel sistema nervoso centrale. Per questo ad un certo punto la patologia diventa neurodegenerativa e i bambini perdono progressivamente le abilità che hanno acquisito, come l'utilizzo della parola o la corretta deambulazione.

Alessandro Fraldi
Alessandro Fraldi. Credits: Sanfilippo Fighters

A che età inizia a manifestarsi la patologia?

L’età dell’insorgenza dei sintomi è variabile e dipende molto dalla gravità della patologia, tuttavia in genere i primi segnali compaiono nei primi anni di vita. Per quanto riguarda le aspettative di vita, invece, purtroppo la stragrande maggioranza di questi bimbi non sopravvive alla seconda decade e l’età media si aggira intorno ai 14-16 anni.

Qual è l'incidenza di questa sindrome?

Presi insieme, tutti i quattro sottotipi della mucopolisaccaridosi di tipo 3 hanno un incidenza di uno ogni 70/80mila nati vivi. Quindi sì, è molto rara.

Come si trasmette?

Se entrambi i genitori sono portatori del gene mutato, ogni concepimento comporta il 25% di probabilità che il bambino nasca con la sindrome. Se invece un genitore è portatore e l’altro no, allora il figlio può diventare a sua volta portatore sano, senza effetti "tangibili" della malattia.

La sindrome di Sanfilippo si divide in quattro sottotipi (A, B,C e D). Quali sono le differenze?

La differenza risiede nel tipo di gene mutato e nella severità dei sintomi. Il tipo 3A e 3B  sono più comuni rispetto al 3C e 3D. Questi ultimi sono le forme che progrediscono più lentamente, mentre il tipo 3A  – più diffuso – comporta ad esempio gli effetti più gravi, con grossi problemi legati al ritardo cognitivo e allo sviluppo motorio.

Quali sono i sintomi?

La malattia non si manifesta subito, ma qualche mese dopo la nascita. I segnali clinici sono tipici e includono la già citata regressione cognitiva (forma di demenza) e motoria, la facies caratteristica (ossia la presenza di tratti somatici riconoscibili, come la testa grande e le sopracciglia folte). Altri segnali comuni nelle fasi iniziali riguardano l’insorgere di disturbi del comportamento, del sonno e iperattività. La sintomatologia coinvolge anche altri organi e tessuti anche se in maniera generalmente minore.

Foto pubblicata per gentile concessione dell'associazione Sanfilippo Fighters

Come si può giungere a una diagnosi?

Questo è probabilmente il punto più importante dell'intera questione. Per individuare la malattia occorre un test genico specifico, che però non avviene quasi mai alla nascita, a meno che entrambi i genitori sappiano di essere portatori della mutazione genetica e desiderino valutare lo stato di salute del nascituro. In Italia la prassi prevede un un esame gratuito per prelevare un piccolo campione ematico già poche ore dopo il parto e indagare l'eventuale presenza di malattie genetiche più comuni (come la fibrosi cistica), ma purtroppo sono pochi i programmi che includono anche la ricerca delle mucopolisaccaridosi.

Per quale motivo?

Essendo malattie molto rare, ad oggi questa indagine risulta poco sostenibile da parte delle strutture sanitarie. I costi sono molto elevati e servono apparecchiature particolari. Eppure lo screening neonatale rappresenterebbe uno strumento molto efficace per lo studio e il trattamento della sindrome.

Al momento però non esiste una cura. Quali sono le prospettiva mediche?

Non esiste una cura ma i cosiddetti trial clinici, ossia sperimentazioni che dopo aver ottenuto risultati promettenti dai test sugli animali vengono provate anche sull’uomo. Alcuni bambini vengono così coinvolti in terapie sperimentali sicure che valutano l’efficacia di una certo trattamento nel “bloccare” la malattia.

Quali sono questi approcci sperimentali?

I trial si basano sulla possibilità d’iniettare nei bambini malati o una copia sana dell’enzima, la cosiddetta terapia enzimatica, o del gene che codifica quel gene, e in questo caso si parla di terapia genica.

In che modo queste terapie possono aiutare i piccoli pazienti?

L’obiettivo finale sarebbe quello di correggere il difetto primario per curare il paziente. Dato che molte delle manifestazioni della malattia non sono reversibili, oggi il trattamento interviene solamente sulla sintomatologia, impedendo il peggioramento delle condizioni del bambino. Ecco perché la diagnosi precoce sarebbe fondamentale: riconoscendo subito la malattia si potrebbe intervenire prima e stoppare la degenerazione della patologia prima che faccia danni irreparabili.

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