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“Allungare il congedo di paternità scalfirà l’idea che debba essere la mamma a occuparsi dei figli”: l’esperta

Estendere il congedo di paternità potrebbe dare vita ad un circolo virtuoso in grado di smettere di relegare alla donna il lavoro di cura e riuscire finalmente a non rendere la realizzazione familiare e lavorativa un binomio impossibile.
Intervista a dott.ssa Cristina Quartararo
sociologa e assegnista di ricerca di cura transnazionale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca
A cura di Sophia Crotti
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congedo di paternità

Si parla sempre più spesso dell'esigenza di allungare il congedo di paternità in un Paese come l'Italia in cui il lavoro di cura è quasi sempre relegato alle madri, le quali hanno un congedo retribuito di 5 mesi di astensione dal lavoro per la nascita di un bambino contro i 10 giorni riservati al papà.

La sociologa Cristina Quartararo, assegnista di ricerca di cura transnazionale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca ha messo in luce cosa comporterebbe pareggiare i giorni di astensione dal lavoro retribuiti quando nasce un bambino, specificando che senza una rivoluzione culturale e un supporto costante ai genitori, questa misura da sola può poco.

Quartararo
dott.ssa Cristina Quartararo (sociologa e assegnista di ricerca presso Università degli Studi di Milano Bicocca)

Perché è importante cercare di vincere la disparità che c'è quando si parla di congedo di paternità e di maternità?

Perché il congedo di paternità ampliato a livello di estensione temporale e di maggiore indennizzo rispetto all’estensione dal lavoro potrebbe concettualizzare la genitorialità non solo come di pertinenza femminile e scalfire quella che è una norma culturale.
Infatti a livello sociale nella normalizzazione si associa la cura del figlio alla maternità, per questo poi si ritiene opportuno che la maternità abbia un periodo di astensione dal lavoro maggiore a quello paterno.
La maternità così prolungata, però, innanzitutto penalizza il reinserimento professionale femminile, in secondo luogo non permette una equa distribuzione dei ruoli anche nel mondo del lavoro non retribuito, ossia in famiglia. Il congedo di paternità può essere uno strumento per aiutare da una parte a creare un concetto di genitorialità che non entri in conflitto con la realizzazione professionale, perché se ben distribuito il lavoro di cura non va a penalizzare la carriera e permette a mamma e papà di realizzarsi in tutti i campi. Equiparare solo i due congedi però non è la soluzione, se non accompagnato da cambiamenti culturali e politiche che si impegnino rispetto al sistema dei servizi.

Se in questo momento storico papà avessero in Italia gli stessi giorni di congedo parentale delle mamme, per come è organizzata la società ne usufruirebbero?

Ci sono dati che ne parlano chiaro, da un rapporto INPS si evince che l’utilizzo anche dei giorni obbligatori esigui di paternità non è completamente fruito. A influire sulla decisione da parte dei padri di usufruire del congedo di paternità sono diverse variabili, prima tra tutte quella territoriale, i padri del nord fruiscono più dei padri del sud del congedo di paternità, seguita dalla tipologia di contratto, dalla grandezza dell’azienda che più è piccola più fatica a trovare un sostituto per il periodo di congedo del papà per motivi economici. Inoltre se in famiglia c’è un doppio reddito è più facile che i papà fruiscano di quanti più giorni di congedo possibili, rispetto a una famiglia in cui la donna rimane a casa e il marito è procacciatore di reddito.

Ciò ci dice che questa dinamica dipende da fattori culturali e da variabili di stampo strutturale e organizzativo del lavoro, estendere l'obbligatorietà e l’indennizzo del  congedo di paternità potrebbe creare un circolo virtuoso nell’uso del congedo, si smetterebbe di stereotipizzare la cura, perché si riconosce che c’è un pari diritto alla genitorialità di donne e uomini e allora due mesi di congedo di paternità non sono più strani perché sono le mamme a doversi occupare dei figli.

Per come è organizzata la società oggi è ancora difficile che se un bimbo sta male sia un uomo a rimanere a casa dal lavoro a prendersene cura?

Sì perché il conflitto tra lavoro e vita privata andrebbe rivisto. L'idea di un uomo che lavoro e porta il reddito alla famiglia si basa su una concezione familiare e lavorativa che implica che la donna sia non retribuita e che si occupi della cura familiare.
Per cui dare valenza anche politica al fatto che questa concezione sia scorretta, tramite uno strumento come il congedo di paternità obbligatorio più esteso, può essere una modalità per andare a scalfire una concettualizzazione di genitorialità che non necessariamente poi può essere vantaggiosa rispetto al sistema sociale e sconfiggere così aspettative rispetto alla paternità e alla maternità.
Le politiche familiari in un Paese come l'Italia, l'iniziativa delle aziende private che ampliano il congedo di paternità, dati alla mano dicono che  più papà ne fruiscono, traendone beneficio, più ne parlano e più cambia il concetto di chi non ne ha potuto o voluto fruire. Lo studio di Tortuga ha evidenziato come venti grandi aziende abbiano poi avuto una fruizione di più del 70%, dunque ci sono dei segni di progressivo cambiamento culturale e organizzativo.
Questo significa che a poco a poco cambia la sensibilità e l'urgenza anche a livello globale, rispetto al tema della pari distribuzione del lavoro di cura, dell'urgenza che quando nasce un bambino non solo la sua mamma stia a casa ma anche il suo papà, e abbia il diritto genitoriale di poter condividere con lui i momenti importanti della sua crescita.

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