“Allattare mi stava uccidendo”: il racconto di una madre per sensibilizzare sulla salute post-partum
L'allattamento è la forma di alimentazione raccomandata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per almeno i primi sei mesi di vita di un bambino. Non tutte le donne hanno però la possibilità di nutrire al seno il proprio bimbo e ciò non significa né mettere a repentaglio la salute del bebè (il latto artificiale è sicuro e nutriente), né essere una mamma di serie B.
È questo il messaggio lanciato da Louise Rickman, madre britannica che in una recente testimonianza rilasciata al sito Metro UK ha raccontato di come la sua ostinazione nel voler allattare a tutti i costi il proprio figlio l'abbia portata a un passo dalla morte.
"Desideravo fare il meglio per mio figlio e pensavo che ciò significasse allattare" ha spiegato, motivando così il suo desiderio di sensibilizzare le future mamme sulla necessità di accettare i limiti del proprio corpo.
Un inizio difficile
Due settimane dopo aver dato alla luce il suo bambino, Rickman ha iniziato a soffrire di dolori intensi durante l’allattamento.
Sebbene il piccolo inizialmente si attaccasse al seno senza troppi problemi, in breve tempo la situazione è precipitata: i suoi capezzoli hanno infatti cominciato a screpolarsi e a sanguinare, trasformando ogni poppata in un'autentica tortura.
Il dolore era talmente forte che mi sembrava mi stessero trafiggendo con degli aghi
Eppure, nonostante le fitte e la sofferenza, la donna ha continuato a presentare il latte al suo piccolo ogni due ore, come consigliato dalla sua ostetrica, timorosa del fatto che il figlio, già piuttosto minuto, perdesse troppo peso a causa di quella che Rickman percepiva come una propria mancanza. Anzi, per migliorare la fuoriuscita del latte materno si era privata anche dei copricapezzoli che le fornivano un minimo di protezione.
Con il passare del tempo però i dolori non solo non miglioravano, ma stavano addirittura peggiorando e, dopo circa dieci giorni dal momento parto, Rickman si è svegliata con una febbre altissima, in preda a forti dolori muscolari e con un evidente rossore sul petto.
Diagnosi sbagliate e un pericolo nascosto
Per i medici quell'improvvisa eruzione cutanea e l'episodio febbrile erano stati causati da una mastite, una comune infiammazione del seno che nelle neo-mamme è spesso causata da un accumulo di latte.
Nonostante la terapia antibiotica e i continui massaggi al seno per "sciogliere" il blocco di latte al suo interno, la condizione di Rickman non sembrava però migliorare: il rossore si era ormai diffuso fino alle ascelle e il dolore era diventato così forte da impedirle perfino di tenere in braccio il suo bambino.
È stato proprio in quel momento che la donna si è accorta di qualcosa di decisamente strano: il liquido che usciva dai suoi seni non era più del consueto bianco "sporco", ma aveva assunto colore giallo brillante. Solo allora i medici hanno cominciato a sospettare che potesse trattarsi di qualcosa di ben più serio di una semplice mastite.
La diagnosi di sepsi
La prima a rendersi conto della situazione è stata la cognata di Rickman, anch'essa operatrice sanitaria, la quale aveva suggerito che la condizione che affliggeva Louise poteva essere sepsi, una complicazione potenzialmente fatale che si verifica quando il corpo attua una risposta immunitaria eccessiva per reagire a un'infezione, forzando l'organismo e portando al collasso degli organi.
Nel caso di Louise, l'infezione era probabilmente partita dalle lesioni ai capezzoli o da una cellulite, un’infezione batterica della pelle, entrambe causate dall’allattamento difficoltoso.
Il trauma e la consapevolezza
Fortunatamente, grazie all'intervento tempestivo dei medici e alla somministrazione di potenti antibiotici, Rickman è riuscita a sopravvivere, anche se le conseguenze psicologiche sono state molto pesanti.
L’esperienza aveva infatti lasciato la donna a fare i conti con un disturbo da stress post-traumatico e una profonda paura, somatizzata attraverso continui flashback ed episodi d'insonnia.
Nonostante il trauma però, Rickman ha scelto di riprendere le redini della propria vita e dopo essere entrata in contatto con lo UK Sepsis Trust – associazione che offre supporto alle persone colpite dalla malattia – ha iniziato a promuovere campagne di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza riguardo una condizione che, benché ancora poco nota, ogni anno colpisce circa 250.000 persone solamente nel Regno Unito, causando più morti di tumori come quello alla prostata, al colon e al seno messi insieme.
"Come ho sperimentato in prima persona, trattare la sepsi precocemente con antibiotici è fondamentale, ma possiamo farlo solo se conosciamo i segnali" ha concluso Rickman, rinnovando il desiderio che sempre più donne smettano di mettere a repentaglio la propria salute a causa dell'ignoranza o delle aspettative altrui.