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Allattare dopo un tumore al seno è sicuro: la conferma arriva da due studi italiani

I risultati saranno presentati a Barcellona tra pochi giorni e potranno cambiare radicalmente le prospettiva di vita (e maternità) per le donne che hanno superato un tumore al seno: “Allattare un figlio non aumenta il rischio di recidiva”.
A cura di Niccolò De Rosa
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Allattamento al seno dopo tumore

Due studi internazionali, ma firmati da team italiani, hanno confermato che l'allattamento al seno dopo un tumore non aumenta né il rischio di recidiva per le pazienti– incluse coloro che presentano geni mutati BRCA, associati a un rischio maggiore di cancro al seno – né le possibilità di sviluppo di una nuova neoplasia.

A dirlo sono i due studi coordinati dall'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e dall'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, i quali verranno presentati nel corso del prossimo congresso annuale della Società Europea di Oncologia di Barcellona.

Tali risultati rappresentano un passo importante nella gestione della malattia e nella pianificazione della vita post-tumore, sfatando i timori che l'allattamento possa influire negativamente sul decorso oncologico.

Cosa dicono le due ricerche

Fino ad ora, la possibilità di allattare dopo una diagnosi di tumore al seno era spesso accompagnata da dubbi e preoccupazioni, soprattutto per quanto riguarda le donne con tumori ormono-sensibili o con mutazioni di BRCA, geni ereditari implicati nella riparazione del DNA che, se alterati, possono favorire lo sviluppo di cellule tumorali.

Il rischio di sviluppare un secondo cancro nel seno opposto, o di subire una recidiva, rendeva quindi l'allattamento un tema molto controverso, anche tra gli stessi addetti ai lavori.

Tuttavia, i risultati presentati sembrano ridimensionare notevolmente queste preoccupazioni e offrendo nuove prospettive di serenità per le pazienti.

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La prima ricerca smentisce la relazione tra tumore e allattamento

Il primo studio, coordinato dalla dottoressa Eva Blondeaux del Policlinico San Martino di Genova, ha analizzato il percorso clinico di 474 donne con mutazioni dei geni BRCA che avevano avuto una gravidanza dopo il tumore al seno. Il 23% delle partecipanti ha allattato il proprio bambino per una media di cinque mesi. A sette anni di distanza, i dati raccolti non hanno mostrato differenze rilevanti nel rischio di recidiva locale o controlaterale (ossia di sviluppo del cancro al seno opposto) tra coloro che avevano scelto di nutrire al seno i propri figli e chi non lo aveva fatto.

L’allattamento, dunque, non sembra influire negativamente sul decorso oncologico per queste pazienti ad alto rischio genetico.

Il focus sui tumori trattati con terapie ormonali

Il secondo studio, diretto dal professor Fedro Alessandro Peccatori dell’Istituto Europeo di Oncologia, ha invece preso in considerazione 518 donne con carcinoma mammario positivo ai recettori ormonali. Di queste, 317 avevano interrotto temporaneamente la terapia endocrina per cercare una gravidanza, poi portata a termine, e il 62% ha allattato il proprio bambino per almeno quattro mesi.

Anche in questo caso, a due anni dal parto, i tassi di recidiva sono risultati molto simili tra coloro che avevano allattato (3,6%) e quelle che non lo avevano fatto (3,1%), confermando l'assenza di un rischio aggiuntivo legato all’allattamento.

Una speranza rivolta al futuro

Secondo la dottoressa Maria Alice Franzoi del centro Gustave Roussy di Villejuif, questi dati sono fondamentali per affrontare con maggiore sicurezza il tema della gravidanza e dell’allattamento con le pazienti oncologiche.

"Dobbiamo iniziare a parlare di pianificazione della sopravvivenza, includendo la preservazione della fertilità, la gravidanza e l’allattamento fin dalla diagnosi, affinché le pazienti siano preparate e pronte a prendere decisioni condivise lungo tutto il percorso della malattia" ha commentato per la Fondazione Veronesi.

Le due ricerche possono infatti porre le basi per un nuovo approccio nei confronti del percorso post-oncologico, donando alle donne una rinnovata prospettiva nei confronti della propria vita e, naturalmente, dell'eventuale desiderio di maternità.

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