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Alessia scopre la gravidanza a 22 anni e decide di abortire: “I medici mi hanno fatta sentire un mostro”

Alessia aveva 22 anni quando ha scoperto di aspettare un bimbo al quale non avrebbe potuto garantire alcun futuro. Ha deciso di abortire ma ha trovato medici che l’hanno trattata come un’assassina. Oggi con dolore racconta la sua storia, per aiutare le altre donne.
A cura di Sophia Crotti
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aborto

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Alessia ha scritto a Fanpage.it per raccontare la sua storia, in particolare un momento tragico della sua vita, quello in cui ha scoperto di essere incinta.

Con parole crude e molto vere Alessia ha spiegato perché non per tutte le donne è una gioia scoprire di aspettare un bambino. Non lo è stato per lei che aveva a fianco una persona che non amava, che avrebbe perso il lavoro dichiarando la sua maternità e che in adolescenza aveva vissuto una tremenda separazione dei suoi genitori e non avrebbe mai voluto dare al suo bambino lo stesso futuro.

Piccola, sola e spaventata ha deciso per l’aborto, trovando alla prima ecografia, davanti a sé un medico che le ha fatto ascoltare il battito del suo bambino, l’ha trattata come se stesse per compiere un omicidio e le ha lasciato come ricordo 20 stampe di quella ecografia, sperando che ci ripensasse. Questo dolore l’ha portata ad avere un aborto spontaneo e ferite nell’anima che sta ancora cercando di rimarginare.

Ho vissuto e vivo ancora un trauma così forte, che nonostante io nel futuro mi immagini mamma non posso neanche pensare di approcciarmi alla maternità. Faccio fatica a raccontare la storia che ho vissuto ma sento di doverlo fare, perché nessuna donna viva più ciò che ho vissuto io".

Come hai scoperto di essere incinta?

Quando ho scoperto la gravidanza mi è caduto il mondo addosso. Sono rimasta incinta nel 2012, inaspettatamente, ma proprio questa notizia mi ha resa consapevole del fatto che la persona che avevo a fianco non sarebbe mai stata in grado di fare il padre, per quanto lui dicesse il contrario. Io mi sono trovata a dover scegliere se portare avanti la gravidanza a 22 anni, da sola, con un lavoro precario che avrei perso, senza essere pronta, senza abbastanza risorse economiche, dovendo tornare a casa da mia madre. Mi chiedevo come sarebbe cresciuto mio figlio, quando era già evidente che non potessi garantirgli un futuro.

A questo punto come ti sei mossa?

Io e il mio compagno abbiamo a lungo discusso sul da farsi, lui voleva che tenessi il bambino per crescerlo però da sola. Io sapevo che sicuramente, data la precarietà del mio contratto, se avessi detto al lavoro che ero incinta avrei perso quella occupazione. Sua madre mi ha aiutato a spiegargli io mio punto di vista. Io non volevo che il mio bambino si trovasse, per scelta mia, a vivere e crescere in una famiglia inesistente e non in grado di occuparsi di lui e dei suoi bisogni.

Perché pensavi di non poter garantire al bambino un futuro?

Io penso di aver sofferto fortemente le decisioni che i miei genitori hanno preso con me, la loro separazione, che sarebbe dovuta avvenire almeno vent’anni prima. Ho accumulato nei loro confronti una forte rabbia, soprattutto in adolescenza, quindi quando ho scoperto la gravidanza ho pensato subito: “Non fare a questo bambino, quello che i tuoi genitori hanno fatto a te. Sbaglia e vivi quello che vuoi ma non far pesare le tue scelte sbagliate su un’altra vita”.

Come sei arrivata a decidere per l’aborto?

In realtà è stata la mia ginecologa a presentarmi questa soluzione, dicendomi che anche qualora fossi stata in dubbio la cosa migliore era muoversi nell’immediato, prenotando una visita per praticare l’aborto spontaneo, alla quale poi se avessi deciso di tenere il bambino avrei anche potuto non presentarmi.

Tu ti sei presentata a quella visita?

Sì, i miei ricordi sono un po’ confusi, perché ciò che ho vissuto è stato davvero traumatico, mi sono presentata all’Ospedale ginecologico della mia città, il Sant’Anna di Torino, e ho percorso un lunghissimo corridoio, dove c’erano in attesa di visite, sedute tantissime donne col pancione. Erano donne felici di diventare madri, alcune al sesto, altre all’ottavo mese di gravidanza, e io ho iniziato a piangere fortissimo. Mi sentivo a disagio, perché mi chiedevo come mai io non riuscissi ad essere contenta di quel bambino, non capivo perché io lo vedessi solo come un problema. A questo punto sono arrivata davanti a una porta, ho aspettato il mio turno e sono entrata.

Qui ad attendermi c’era un dottore, di cui ancora oggi ricordo la freddezza, mi ha fatta stendere sul lettino per iniziare l’ecografia transvaginale, trattandomi come fossi una criminale. Mi ha fatto guardare il monitor per tutto il tempo, in cui si distingueva il bambino e mi ha fatto ascoltare, quello che lui mi ha detto apertamente essere il cuore del bambino. Quel rumore incessante mi è rimbombato in testa per tutta la visita e anche dopo. Io piangevo e lui mi guardava con disprezzo. Poi mi ha anche lasciato le foto da guardare di quella ecografia transvaginale.

Come avresti voluto che fosse la visita, in un momento così delicato per te?

Avrei desiderato che il medico fosse più empatico, o almeno non giudicante, mi sarebbe piaciuto essere trattata come una donna che esercita un suo diritto: quello di abortire, e non come chi sta compiendo un crimine. Oppure avrei voluto qualcuno che mi informasse su altre pratiche, come il parto in anonimato del quale non ero a conoscenza. Oggi so che avrei potuto dare quel bambino in adozione, ma allora ero piccola, spaventata e sola.

Dopo quella visita cosa è successo?

Ho prenotato un raschiamento, perché la pillola abortiva non sarebbe stata in grado di espellere completamente il feto. Sono tornata a casa ed è iniziato un calvario, non mangiavo, non dormivo, non facevo che piangere e, ripensando a come ero stata trattata, mi sentivo a tutti gli effetti un mostro. Anche la mia famiglia contribuiva a farmi sentire così quotidianamente, dicendomi che loro al posto mio non lo avrebbero fatto. Sono stata così male da avere un aborto spontaneo.

Come te ne sei accorta?

Ho iniziato a sentirmi molto male, provando uno stimolo intenso, simile a quando si sente il bisogno di andare in bagno. E dopo 40 minuti che ero lì ho visto un grosso grumo di sangue e ho capito.

Il giorno dopo sono tornata all’Ospedale Sant’Anna e all’interno del reparto dove vengono effettuate le interruzioni di gravidanza, questa volta mi ha accolta un medico non dico empatico, ma almeno non giudicante, il quale mi ha confermato l’aborto spontaneo e mi ha chiesto di programmare altre visite ginecologiche ma che io, troppo turbata non ho mai fatto.

E dal punto di vista psicologico sei stata aiutata?

Assolutamente no, infatti è stato ciò che più mi è mancato. Anni dopo sono andata in terapia, perché il dolore non è terminato con l’aborto, è continuato anche dopo.

Che cosa hai vissuto a livello psicologico dopo?

Percepivo una sensazione di vuoto, perché non riuscivo proprio a superare quel dolore. Sentivo un malessere che non riuscivo a spiegarmi, sia per l’assenza di quel bambino, sia perché mi sentivo in colpa. Io mi sono accorta poi, grazie alla terapeuta, che l’idea di abortire per me era l’unica soluzione possibile in quel momento, ma che in realtà avrei voluto che il bimbo che portavo in grembo mi desse un segno della sua presenza, oggi so che mi sarebbe bastato a non pensare più solo alle paure. Poi ho dovuto elaborare anche il fatto che alla fine non ho abortito, ma è stato il bambino a scegliere di non nascere.

La psicologa mi ha aiutato a capire anche che avere un figlio è una fortuna, non solo dal punto di vista fisico, ma anche economico, non tutti hanno le stesse possibilità e quindi la stessa leggerezza nell’accogliere la notizia di una gravidanza.

Prima hai detto che ti sentivi sola, lo eri davvero, o avevi la tua famiglia e i tuoi amici a sostenerti?

La mia famiglia è stata assente, avevo persone a cui confidare le mie paure e ciò che stavo facendo, ma nessuna di loro mi sembrava capirmi fino in fondo e offrirsi di sostenermi realmente. In tre mesi ho perso 20 kg e 4 anni dopo ho avuto un forte crollo psicologico che mi ha fatto capire che avrei dovuto parlare con qualcuno di ciò che mi stava accadendo.

Oggi, 12 anni dopo, come stai?

Mi fa male raccontare e ricordare, ma penso sia necessario,

L’idea della maternità oggi ti spaventa?

A dire il vero vorrei dei figli, ma quello che mi è successo mi ha traumatizzata tantissimo, quindi non so se si realizzerà mai questo desiderio.

Come mai hai deciso di raccontarci la tua storia?

Ho deciso di raccontare questa storia perché ho vissuto a tutti gli effetti una violenza, io che volevo abortire sono stata mandata a casa con 20 fotografie di quella ecografia transvaginale che, seppur quasi impercettibile, ritraevano il mio bambino. E poi la racconto anche perché le donne che abortiscono non sono supportate a livello psicologico nel modo corretto, l’aborto può essere un trauma anche se lo si sceglie, lo è quando prima non sono state presentate tutte le possibilità a una donna che le vuole conoscere. Lo è quando si decide di non investire nell’educazione sessuale nelle scuole. E spero che le cose possano, anzi debbano cambiare.

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