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“Ho detto a Zoe che era la figlia femmina che non ero ancora riuscita a vedere” Silvia, mamma di una ragazza trans

Silvia è la mamma di Zoe, una ragazza trans, rinata dopo il suo coming out, quando ha capito che la sua famiglia per prima e poi il mondo intero l’avrebbero accettata per com’era.
A cura di Sophia Crotti
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mamma di zoe
Credits: campagna social Arcigay "chiedimi se sono felice"

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Silvia è la mamma di Zoe, una ragazza di quasi 15 anni transgender, che è ritornata a vivere proprio quando ha deciso di uscire dalla sua cameretta, l'unico posto che pensava sicuro per lei in un mondo che sembrava non essere pronto ad accoglierla, per dire a tutti che era sempre stata Zoe, anche se in un corpo dalle fattezze maschili.

Silvia e Zoe hanno partecipato, insieme ad altre famiglie, alla campagna social organizzata da arcigay "Chiedimi se sono felice", e le loro parole risuonano nella testa di chiunque le ascolti. Zoe dice "I medici al Careggi mi hanno salvato la vita, perché io ad un certo punto l'avrei fatta finita" e Silvia parla di vita, quella che è tornata a vivere quando ha capito il perché del dolore di sua figlia.

"Zoe non era la mia figlia femmina mancata, era la figlia femmina che non ero riuscita a vedere fino a quel momento. Poi i suoi occhi privi di vita sono tornati a brillare quando ha avuto il coraggio di dirmi "mamma sono trans" e mi ha resa la persona più felice del mondo".

Che figlia è stata Zoe?

Zoe è sempre stata fin dalla nascita molto sensibile e attenta alle ingiustizie che accadevano a lei o agli altri. Già quando frequentava l’asilo sentiva dentro di sè la sofferenza degli altri, infatti se a lei veniva dato uno spintone o un calcio, pur di non vedere il compagno o la compagna sgridato dalle maestre, non lo diceva.

mamma di Zoe

Poi  nel momento di passaggio tra la scuola materna e quella elementare ha vissuto un drastico cambiamento regressivo. Quando era in prima elementare ci sono stati episodi durante i quali si è fatta i bisogni addosso, cosa che invece non era mai accaduta quando frequentava l’asilo. Penso sia stato perché per la prima volta interagiva con bambini e bambine più grandi i cui tratti somatici cambiavano in base al sesso, credo la mente di Zoe stesse semplicemente manifestando che lei non voleva proprio diventare grande, facendosi vedere per ciò che non era.

Quando lei non era a scuola, era molto serena perché a casa da sempre abbiamo cresciuto lei e sua sorella lasciandole libere di esprimersi e di giocare con qualunque cosa volessero. Ricordo che Zoe e sua sorella giocavano a un gioco che si chiamava “giochiamo a essere noi stessi”, durante il quale si proiettavano nel futuro e ricordo che Zoe giocava a fare la mamma, indossando gonne e tacchi.

Quando il gioco finiva per lei era uno strazio, non voleva che finisse mai e mi chiedeva se poteva tenere su la gonna ancora un po’.

Quando è cresciuta la situazione si è sempre più intensificata, al primo evento importante che non ricordo se fosse un matrimonio o una comunione, siamo andate a comprare i vestiti adatti, ricordo lei chiusa in un camerino a piangere perché non voleva mettere i jeans e la camicia, non era un semplice capriccio ed io l’ho capito subito.

Quando è arrivata sua sorella sfoggiando dei bellissimi vestiti da cerimonia, era sempre più in crisi. Io ho cercato di chiederle se qualcosa non andasse bene e lei mi rispondeva solo che non stava bene ma non sapeva spiegarmi il perché.

Questa é stata Zoe prima della rinascita: il suo coming out.

Ci racconti il coming out di Zoe?

È arrivato alla fine della seconda media, era fine maggio inizio giugno e Zoe era andata al centro commerciale con sua sorella e sua cugina, indossavano diversi vestiti nei camerini e si fanno una serie di foto.

Dai social di sua sorella ho visto quelle foto, la sera lei mi ha chiesto cosa ne pensassi e io le ho detto che stavano benissimo vestite così. A quel punto lei mi ha rivelato che quelli che indossava erano pantaloni da donna, io le ho chiesto se li avesse comprati e lei mi ha detto che non lo aveva fatto perché temeva il giudizio degli altri.

Dopo circa una settimana da quell'episodio, lei ha capito che con me aveva terreno fertile e mi ha chiamata in camera sua, in quello spazio che era il suo mondo, e mi ha detto “mamma io mi sento femmina”. 

E tu come hai reagito?

Ho provato una gioia inspiegabile, ricordo che avevo un sorriso stampato in faccia, uno di quelli che non facevo da un po’, perché era una vita che vedevo mia figlia soffrire e non ne conoscevo il motivo. Io in quel momento mi sono sentita leggera, privata di un peso enorme, ho proprio lanciato giù degli enormi massi che portavo sulle spalle senza nemmeno sapere chi me li avesse messi addosso.

Poi le ho detto Non devi nasconderti, anzi sii una paladina di ciò che porti avanti perché per tanti non è semplice”.

Sei riuscita subito a rivolgerti a lei al femminile e i suoi professori a scuola?

Io dopo il coming out le ho chiesto di farmi da guida, di dirmi come mi dovevo rivolgere a lei, se ancora al maschile o al femminile e lei mi ha chiesto di aspettare a rivolgermi a lei al femminile perché si vergognava, allora ho aspettato che fosse pronta.

Io e sua sorella però abbiamo iniziato di tanto in tanto a rivolgerci a lei al femminile, in maniera spiritosa e affettuosa, lei si è sentita a poco a poco capita e accolta, e a fine mese ci ha detto che voleva essere chiamata Zoe da lì in avanti.

Era inizio luglio e noi ci siamo rivolti a lei sempre al femminile, ma ad un certo punto stava per ricominciare la scuola, quindi le ho chiesto cosa avremmo dovuto fare, anche perché lì aveva vissuto degli atti di bullismo.

Lei aveva paura di attivare la carriera alias, e allora io le ho detto che però con noi per due mesi era stata Zoe e che tornare ad essere identificata con il suo vecchio nome a scuola, avrebbe comportato per lei dover vivere una doppia vita, lei ha preso coscienza della cosa e mi ha detto che non era più disposta a non essere Zoe.

Quindi abbiamo attivato la carriera alias che è stata accolta al 100%, nonostante fosse la prima volta che alla scuola arrivava una richiesta di questo tipo, è bastata una chiamata alla dirigenza a farmi trovare in una stanza, davanti a 25 professori, che mi hanno fatta sedere in cattedra, perché volevano ascoltarmi, e comprendermi.

Erano spaventati di potersi sbagliare, dal momento che conoscevano Zoe già da due anni con un altro nome e io ho detto loro di non preoccuparsi che ci avrebbe pensato Zoe a correggerli con garbo.

A questo punto, sapevi subito a cosa sareste andati in contro?  

No, se il suo coming out mi ha tolto un grande peso, mi ha anche messa di fronte alla mia ignoranza in merito, non avevo idea di cosa significasse sentirsi una donna intrappolata in un corpo dalle fattezze maschili.

Ho iniziato a fare ricerche sul web, e online ho trovato l'associazione di genitori Affetti oltre al genere, e ho chiesto come potesse iniziare il percorso di transizione. L'associazione mi  ha consigliato di andare all'Ospedale Careggi, l'unico in Italia specializzato nella transizione in età puberale, noi siamo di Monza, questo significava fare un viaggio importante ogni volta, ma la felicità di Zoe era la priorità.

Quindi è iniziato subito il percorso di transizione?

Non proprio, mi hanno dato l'appuntamento a dicembre e Zoe mi ha detto che non potevamo aspettare tutto quel tempo. Ma le infermiere mi hanno molto aiutata, dandomi i numeri della segreteria in accoglienza, per capire se grazie ad una disdetta noi saremmo potuti essere inseriti prima.

La settimana successiva hanno anticipato l'appuntamento a luglio e per Zoe è stata una rinascita, i medici erano favolosi, sembrava di essere in famiglia. Zoe è arrivata convinta che immediatamente l'avrebbero resa donna, ma i medici le hanno spiegato che il percorso era lungo, fatto di passaggi importanti per lei.

Zoe nel video parla di morte, dice chiaramente che ad un certo punto l'avrebbe fatta finita, tu dall'altra parte hai detto che il coming out è stato un momento pieno di vita, mi racconti queste sensazioni contrapposte?

Sì, la morte di cui parla Zoe infatti precede il coming out, i suoi pensieri negativi l'hanno accompagnata finché è rimasta chiusa con ciò che pensava di non poter dire o che forse non voleva dire perché non si sentiva pronta.

Anche perché per prima cosa le persone trans pensano di doversi accettare, perché la società dice loro in tutti i modi che sono sbagliate. Io me la ricordo priva di vita, chiusa nella sua stanza, priva di stimoli. Quando ha raccontato tutto, quando ci ha detto chi era lei veramente, è rinata. Proprio non li dimentico quegli occhi pieni di vita e mi emozionano ancora se ci penso, perché ricordo quel lungo periodo in cui ero disperata e ho cercato ovunque pur di sapere cosa avesse mia figlia.

Perché è stato importante che partecipasse tutta la famiglia alla campagna "Chiedimi se sono felice"?

Tutto è iniziato con l'interrogazione parlamentare di Gasparri, a cui sono seguite delle frasi di un'avvocata che ha accusato noi genitori di obbligare i nostri figli a fare un percorso di transizione perché non accettiamo la loro omossessualità.

Peccato che l'orientamento sessuale non c'entri nulla con le persone trans, mia figlia poi potrebbe anche essere lesbica. Da lì abbiamo capito quanto fosse importante esporsi e parlare tutti in prima persona, per far capire chi sono questi ragazzi e chi siamo noi.

E poi è importante non fare niente per i nostri figli senza di loro, altrimenti ci comporteremmo come i politici, che vogliono scegliere per loro senza mai averli ascoltati. Vogliamo anche che sia visibile non solo la parte di sofferenza, ma la bellezza che c'è dopo che i ragazzi iniziano il percorso. I nostri figli sono felici, soffrono solo perché la società sembra volere la loro sofferenza.

Cosa vuoi dire a chi li vorrebbe per sempre in un corpo che non sentono proprio?

Vorrei dire loro che il grosso rischio è che questi ragazzi vivano una regressione, che c'è stata, perché quando si è alzato il polverone si sono chiesti cosa sarebbe stato di loro.

Io non posso permettermi di vedere mia figlia morire nuovamente, parlo di una morte psicologica ma anche fisica, perché più di un volta Zoe è entrata in bagno dicendomi "mamma oggi con un coltello mi tolgo quello che non riesco a vedere". Avevano trovato un loro equilibrio questi ragazzi, la tranquillità di scoprire che il loro corpo non sarebbe cambiato più.

Il nome Zoe lo ha scelto lei?

Sì, mi ha chiesto se prima della sua nascita avessi in mente un ipotetico nome femminile per lei, e io le ho detto che glielo avrei detto dopo che lei mi avesse scelto il suo nome, perché doveva capire che lei non era la figlia mancata, ma la figlia che non sono stata in grado di vedere subito. Sembra quasi un film ma quando è venuta a dirmi che aveva scelto Zoe le ho rivelato che proprio quello era lo stesso nome che avevo scelto per lei.

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