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Mamma crea un’app per i genitori di bimbi ADHD: “È devastante sentirsi impotenti davanti alla crisi di un figlio”

Valeria della Rosa è la mamma di un bambino con diagnosi di ADHD e autismo. Consapevole delle difficoltà che vivono i genitori tutti i giorni ha creato un’app in grado di supportare e consigliare le famiglie che stanno vivendo ciò che ha vissuto lei.
Intervista a Valeria della Rosa
Founder e CEO di Oli help
A cura di Sophia Crotti
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Valeria della Rosa e suo figlio con ADHD
Credits: Valeria della Rosa

Quando il suo bambino ha avuto la prima crisi, Valeria della Rosa è rimasta impietrita sulla soglia della classe in cui preside e vicepreside l’avevano convocata con urgenza. La verità è che lei non ne aveva idea, ma quella crisi, che poi ha scoperto essere una risposta del cervello del suo bimbo ai troppi stimoli ricevuti durante la giornata, era solo il campanello d’allarme di una diagnosi di ADHD e autismo che avrebbe però impiegato 2 anni per arrivare.

“Mi sono sentita sola, perché nell’attesa di sapere cosa avesse mio figlio le difficoltà non si sono certo fermate ha spiegato lei a Fanpage.it, raccontando di tutte le volte in cui al parco gli occhi giudicanti degli altri genitori sembravano dirle che aveva fallito come madre nell’educazione di un bambino che non sapeva evidentemente contenersi.

Ha capito con il tempo che l’unica cosa che poteva fare per migliorare la situazione di suo figlio era cambiare il suo atteggiamento, “L'ADHD non è una malattia da cui si può guarire, bisogna imparare a conviverci e a mettersi nei panni del bimbo che si ha davanti, cercando di mantenere la calma, sempre”.

Lei si è molto informata e ha deciso di fare la differenza supportando i genitori che come lei si sono trovati o si troveranno nella lunga attesa di una diagnosi e poi a crescere un bambino con ADHD in un mondo poco inclusivo ed empatico. Così è nata l’app Oli help che fornisce, tramite l’intelligenza artificiale e un team di medici dell'Ospedale San Paolo di Milano, aiuti pratici, risposte concrete e informazioni a tutti i genitori o gli insegnanti di bambini con ADHD. “Solo se sperimenti questa solitudine e questo senso di impotenza davanti a tuo figlio sai come ci si sente e non puoi fare a meno di dare una mano agli altri”.

Valeria della Rosa
Valeria della Rosa (founder e CEO di Oli help, mamma di un bambino con diagnosi di ADHD)

Valeria, ci racconti come è iniziato il percorso per scoprire l’ADHD di tuo figlio?

Il mio secondogenito è sempre stato un bimbo intenso, molto attivo e fin da piccolissimo molto impegnativo da gestire. Ma 4 anni fa, precisamente a gennaio 2021 siamo stati coinvolti in un episodio molto significativo per quella che sarebbe stata la sua diagnosi e che ha profondamente sconvolto le nostre vite.

Era gennaio 2021 quando ho ricevuto dalla scuola di mio figlio una chiamata, dall’altra parte del telefono una voce concitata mi faceva pressione perché corressi all’istituto. Quando sono arrivata ho trovato mio figlio in una stanza con preside e vicepreside in uno stato indescrivibile. Faticava a parlare, respirava a malapena.

Stava avendo una crisi acuta, come ho scoperto poi, poiché era totalmente sopraffatto da quanto gli accadeva intorno, il suo cervello faticava ad elaborare le informazioni e di conseguenza lui perdeva il controllo, reagendo in maniera estrema.

Sul momento invece, cosa hai provato?

Sul momento ho provato emozioni terribili, descrivo sempre quell’episodio come un terremoto che non smette mai di far tremare e crollare tutto. Innanzitutto non sapevo cosa stesse succedendo a mio figlio, in secondo luogo sentivo di non potergli essere d’aiuto, perché le mie parole e i gesti non servivano a nulla. Da mamma sapere poi di non poter fare nulla di concreto per farlo stare bene è stato tremendo.

Da quel momento in poi, però, vi siete avvicinati a una diagnosi?

Esatto, quel momento, per quanto doloroso, è stato necessario, perché ho capito che dovevo approfondire la situazione di mio figlio e mi sono rivolta a un pediatra che ha prescritto per il mio bambino una visita neuropsichiatrica. L’attesa per mio figlio sarebbe stata di almeno 7 mesi, per una visita specialistica, io avevo la fortuna di poter pagare privatamente la visita che quindi sono riuscita a fargli fare in fretta, ma era solo l’inizio di un percorso molto lungo.

Dal primo feedback è risultato che il bimbo aveva difficoltà di regolazione emotiva e aveva bisogno di un supporto psicoterapico. Documentandomi, però, ho capito che quando ad un bimbo viene diagnosticato un disturbo da deficit di attenzione e iperattività, condizione associata ad un diverso funzionamento cerebrale che provoca difficoltà a fermarsi, concentrarsi e controllarsi, bisogna rivolgersi ad uno dei centri ADHD di riferimento del sistema sanitario nazionale per avere una diagnosi completa. L’ADHD infatti spesso non si manifesta da solo ma accompagnato da disturbi dell’apprendimento, ansia, depressione, nel caso specifico di mio figlio, da una diagnosi completa è risultato che oltre all’ADHD lui avesse anche l’autismo.

Quanto tempo ha impiegato questa diagnosi per tuo figlio?

Tanto, due anni fatti di visite, infiniti test, pareri e controlli. Il punto è che in quel periodo le difficoltà che mio figlio viveva e con lui l’intera famiglia, non sono certo andate in standby. È stato difficile capire da sola come gestirlo a casa, a scuola, e nella vita sociale, dal momento che questa condizione impatta sulla vita di tutti i giorni.

In questo periodo di vuoto mi sono documentata a lungo e ho imparato che dal momento che l’ADHD non è una malattia che si può curare ma un diverso modo di apprendere da parte dei bambini, mio figlio non sarebbe guarito, la situazione non sarebbe mai cambiata, l’unica cosa che poteva cambiare, invece, era il mio atteggiamento.

Quando ho iniziato a vedere la situazione da una diversa prospettiva, ho imparato ad interagire in maniera diversa con il mio bimbo, tutti siamo stati meglio e la quotidianità è sembrata migliorare.

In che senso è cambiato il tuo modo di comportarti con tuo figlio?

Ho dovuto proprio cambiare il mio atteggiamento, in tante circostanze ed è stato difficilissimo, perché, davanti a una crisi acuta, è normale spaventarsi e rimanere pietrificati, ma davanti ad atteggiamenti dati dall’incapacità di contenersi, che sembrano capricci, è stato difficile rispondere ai suoi gesti in maniera tranquilla, senza arrabbiarmi o spazientirmi.

È stato complesso anche capire che tutto ciò che avevo sempre messo in pratica con mia figlia e che con lei aveva funzionato, con mio figlio sembrasse sempre sbagliato.

Come ti è venuta l’idea di dare vita ad un'app di supporto ai genitori?

Io ho sempre lavorato in ambito tecnologico, quindi vista la mia esperienza mi sono immaginata un ausilio tecnologico, che grazie all’Intelligenza Artificiale e tutto ciò che è conoscenza scientifica, mi permettesse di aiutare i genitori nel momento di difficoltà. Volevo che permettesse a grandi e piccini di comprendere i meccanismi di queste menti che ragionano in maniera diversa e che desse consigli pratici a mamme, papà e insegnanti su cosa dire e fare nei momenti difficili. Così è nata Olihelp, al cui interno ci sono strumenti concreti da utilizzare se per esempio i bambini fanno fatica a concentrarsi facendo i compiti. L’app aiuta a potenziare le conoscenze dei genitori, in modo che possano avere un impatto positivo sulla vita dei figli e rendere la loro esistenza più serena.

Quando tuo figlio aveva delle crisi in pubblico ti è mai capitato di essere giudicata come mamma?

Sì mi è capitato spesso, non tanto quando mio figlio ha avuto delle crisi in pubblico, perché in quel caso le persone che ci circondano si spaventano e lo guardano quasi con compassione, quanto più quando faticava a contenersi. Un bambino che si comporta “male” in un contesto culturale come il nostro, inevitabilmente crea senso di disagio per il genitore, che al di là della difficoltà di gestire la situazione ha quella aggiuntiva di gestire gli sguardi degli altri. Gli adulti non empatizzano, non capiscono che semplicemente il bimbo fatica a controllarsi in alcune situazioni e accusano il genitore di non essere un buon genitore. I genitori invece sono importantissimi e hanno un potere immenso, quando si tratta di bambini ADHD. Per questo abbiamo voluto creare uno strumento privo di giudizio che fosse empatico e comprensivo verso le difficoltà che il genitore sperimenta, esigenza che viene dalla mia esperienza, perché so come ci si sente in quella situazione.

Tuo figlio è stato punito dai docenti prima della diagnosi per i suoi atteggiamenti?

Sì, perché la crisi è una manifestazione di disagio, molto difficile da comprendere per i genitori ma anche per gli insegnanti che spesso mancano di formazione in questo senso. La scuola di oggi si fonda ancora troppo sull’ipotesi che tutti i bambini apprendano allo stesso modo, invece spesso questi bambini hanno bisogno di strumenti di supporto e di un educatore, e magari non sono maleducati se semplicemente non riescono a stare seduti per 4 ore di fila su una sedia.

Se tu avessi avuto l’app che hai creato a disposizione fin dal giorno della prima crisi di tuo figlio, avresti fatto meno fatica?

Certo, l'ho sviluppata proprio perché si tratta di uno strumento che avrei voluto avere, ho messo la mia esperienza di mamma di un bambino con ADHD e di professionista nell’ambito della tecnologia in gioco per supportare i genitori in maniera costante. Ci tengo a dire che non è un trattamento sostitutivo ma integrativo, un aiuto in più a mamme e papà.

Tuo figlio sa dell’app? È fiero di te?

Sì mio figlio è stato ed è molto partecipe nella realizzazione e nello sviluppo dell’applicazione, mi aiuta aggiornandomi sulle sue difficoltà, è curioso nel sapere quanti genitori la utilizzano, e se la trovano davvero d’aiuto. Io spero tanto che tutto questo renda lui e sua sorella siano fieri di me.

C’è una cosa che ti senti di dire ad un genitore di un figlio con ADHD?

Innanzitutto di seguire il proprio istinto, che non significa non mettersi mai in discussione, ma farlo avendo ben chiaro che sono proprio i genitori la risorsa fondamentale per i loro figli, poi direi loro che il supporto esiste e lo possono trovare per esempio nell'app che ho brevettato e che spero li faccia sentire accolti e compresi.

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