5 consigli per la sicurezza digitale dei figli: “Non demonizziamo i social, ma diamo delle regole”
I nativi digitali navigano in rete molte più ore di quanto dovrebbero, ad evidenziarlo sono state numerose ricerche, in particolare una eseguita dall’Università Cattolica del Sacro Cuore ha evidenziato che i bimbi, già dagli 8 anni, trascorrono fino a 3 ore in rete al giorno.
Come raccomanda l'NHS i bimbi tra gli 0 e i 2 anni non dovrebbero trascorrere nemmeno un'ora sugli schermi e tra i 2 e i 4 anni 60 minuti al massimo.
Ciò che accade ai piccoli, quando stanno troppo in rete è sviluppare una sorta di dipendenza che porta dunque a disturbi del sonno, rabbia, tensione, ansia, depressione e problemi legati alla salute mentale.
La dottoressa Backy Kennedy, psicologa clinica, ha condiviso sul notiziario sulla genitorialità Parents, i 5 consigli affinché l’esperienza in rete dei propri figli sia ottimale.
Stabilire regole chiare
Secondo la dottoressa Kennedy, stabilire regole e limiti è fondamentale per i bambini, una forma d’amore pari a cercare di comprendere il loro stato emotivo quando sono arrabbiati o piangono.
“Stabilire dei limiti rafforza il rapporto con il proprio bimbo che altrimenti sentirebbe di agire senza nessuno in grado di offrire a lui quei limiti di cui ha bisogno per sentirsi sicuro”.
Per questo è importante stabilire cosa può fare il bimbo online, quanto tempo può stare davanti allo schermo, in quale momento della giornata e con chi.
La dottoressa specifica anche di non stupirsi se i piccoli contesteranno le regole o se, nonostante i limiti imposti, chiederanno di poter usare i device oltre il tempo consentito.
“Va normalizzato il fatto che i bimbi cerchino di raggirare le regole, i genitori devono cercare di rimanere fermi sulle proprie posizioni, perché il compito dei piccoli è capire come funziona il mondo proprio interfacciandosi con le regole”.
Essere sempre aperti al dialogo
Nonostante le regole siano importantissime, la dottoressa Kennedy spiega che i bimbi non devono immaginare i propri genitori come dei dittatori: “È fondamentale che i piccoli sappiano che i loro genitori sono le persone a cui possono sempre rivolgersi per elaborare ciò che sta succedendo”.
Se il bimbo sa che può rivolgersi ai suoi genitori perché sanno essere empatici con lui e ascoltarlo, invece di giudicarlo, sarà semplice per lui anche raccontare se sta vivendo una situazione complessa online.
Ascoltare davvero i problemi dei figli
La dottoressa Kennedy ha specificato che le richieste dei bimbi hanno sempre bisogno di risposte sincere ed empatiche, che non minimizzino quello che stanno vivendo.
“Se il bimbo è triste perché è stato escluso da un gruppo su whatsapp o da una partita ai videogame, ascoltiamolo cercando di capire perché si sente così”.
Lo stesso vale per le preoccupazioni che i bimbi possono esternare riguardo il loro fisico, osservando quello dei coetanei online, la psicologa suggerisce sempre di farli ragionare sull’esistenza dei filtri e gli inganni delle immagini sul web.
Scegliere in base al proprio figlio l’età della prima iscrizione ad un social
Esistono delle linee guida, in Italia, per esempio è necessario che un ragazzo per creare un proprio profilo social abbia almeno 14 anni.
Tuttavia la psicologa dice che le linee guida non possono nulla contro l'intuito dei genitori.
“Se pensi che tuo figlio sia troppo piccolo per iscriversi ad un social, non preoccuparti, parlane con lui e con un esperto, per concordare il momento adatto”, dice la dottoressa Kennedy a Parents.
Non demonizzare internet e i social
Anche se l’utilizzo dei social da parte dei propri figli può spaventare i genitori, è importante che non demonizzino internet, ma che ne riconoscano le potenzialità.
“I social aiutano i ragazzi a sentirsi meno soli, perché spesso vivono lì la loro socialità so che per gli adulti può essere complesso da comprendere ma è così” ha spiegato la psicologa a Parents.
La dottoressa Kennedy ha fatto anche riferimento a comunità e gruppi di ascolto che nascono proprio online e permettono ai ragazzi di trovare qualcuno che li comprenda perché vive le loro stesse esperienze.