Fuochi d’artificio continui su Mediaset, che oggi ha chiuso in borsa a 4,44 euro per azione, con volumi pari ad oltre 121 milioni di pezzi (equivalenti al 9% del capitale). La capitalizzazione risale così sopra i 4,125 miliardi di euro, livelli che non si vedevano più dal novembre dello scorso anno, dunque ben da prima che Vivendi provasse (scorrettamente secondo Fininvest) a passare da un accordo per la pay-tv Mediaset Premium ad una partnership a livello di gruppi editoriali che potrebbe secondo molti coinvolgere in un futuro non troppo lontano Telecom Italia.
L’ultimo “innesco” che ha fatto detonare ulteriormente il titolo sono state le bellicose, ma non troppo, dichiarazioni in arrivo dai vertici di Vivendi che ha intenzione di salire sino ad un passo dalla soglia-Opa del 30% del capitale e dei diritti di voto. Fininvest, la holding ella famiglai Berlusconi, che a fine 2015 erano sopra il 41,2%, negli ultimi mesi avevano pensato bene (anzi, male) di collocare un 7,79% di capitale sul mercato, scendendo al 33%, per poter pagare dividendi alla famiglia.
Il tutto nonostante lo stato non certo smagliante del mercato della raccolta pubblicitaria, in recupero rispetto allo scorso anno solo grazie al traino di eventi eccezionali come Olimpiadi ed Europei di Calcio, e le disavventure industriali degli ultimi anni, da Endemol, società di produzione del “Grande Fratello”, pagata 2,6 miliardi e poi venduta per poche briciole (l’ultimo 6% è stato ceduto per 72 milioni, equivalenti a una valutazione del 100% della società di 1,2 miliardi), alla stessa Mediaset Premium, nata per contrastare il dominio di Sky nel settore della pay tv, ma rimasta un “buco nero” nel bilancio di Mediaset nonostante tutti gli sforzi mesi in atto.
Ora i primi a sorridere della reazione del titolo sono proprio Vincent Bolloré e Silvio Berlusconi: il primo continua a salire nel capitale della preda italiana, con Vivendi che ha annunciato di essere al 25,75% del capitale e al 26,77% dei diritti di voto ed è quindi virtualmente in grado di bloccare, in assemblea, qualsiasi decisione sgradita e condizionare la gestione del gruppo, potendo un domani tentare di trovare un’alleanza con qualche fondo per far entrare propri rappresentanti nel Cda.
Il secondo continua a ripetere che molti soci “vogliono difendere il principio di italianità del primo gruppo di comunicazioni italiano” e per questo motivo di essere “abbastanza sereno”. Evidentemente chi ha venduto anche oggi titoli ai francesi non è dello stesso avviso, ma in un paese ipocrita e finanziariamente poco acculturato come l’Italia il “patriottismo finanziario” va di moda sin dai tempi in cui lo stesso Silvio Berlusconi chiamò a raccolta una cordata di “imprenditori patrioti” per privatizzare Alitalia.
Decisione che si rivelò poco lungimirante visto che tra i “patrioti” (generalmente a corto di capitali o comunque poco propensi a investirli in misura massiccia nell’ex compagnia di bandiera) scattò una corsa ad uscire dal capitale, lasciando la cloche dei comandi ad Ethiad, che però essendo compagnia extracomunitaria non può superare il 50% del capitale e dei diritti di voto per non far perdere ad Alitalia lo status di compagnia europea (e preziosi slot nei principali hub aeroportuali del vecchio continente). Rispetto ad allora, comunque, un intervento pubblico così come la discesa di “cavalieri bianchi” a fianco della famiglia Berluscono sembrano per ora difficili da ipotizzare.
Così scommettiamo che alla fine Berlusconi e il consocio (in Mediobanca) Bolloré troveranno un’intesa, magari tramite i buoni uffici proprio di Mediobanca e di Intesa Sanpaolo, il cui numero uno Carlo Messina pare sempre più a suo agio nei panni di “banchiere di sistema” che già il suo predecessore Giovanni Bazoli a lungo ha indossato? Le guerre lampo fanno bene alle quotazioni e tutto sommato anche al portafoglio di scalati e scalatori, mentre le guerre di logoramento annoiano il mercato e tendenzialmente danneggiano gli affari.
Se poi non fosse possibile trovare una intesa tra le parti, Vivendi con oltre 2 miliardi di liquidità in cassa è nelle condizioni di lanciare un’Opa sul 60% o più del capitale. Se l’offerta fosse molto allettante, i Berlusconi potrebbero, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, considerare molto allettante aderire all’offerta stessa, mentre è improbabile siano in grado e intenzionati di giocare al rilancio. Ma mai dire mai.