C’eravamo tanto amati: tra Vivendi e Mediaset scoppia la guerra dopo che i due gruppi sembravano destinati a convolare a giuste nozze, previa integrazione delle attività di pay-tv del gruppo italiano nel colosso francese controllato da Vincent Bollore, finanziere bretone da anni molto presente nel panorama finanziario italiano attraverso le partecipazioni in Mediobanca e in Generali.
Stamane il gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi ha fatto sapere che, contrariamente agli impegni presi lo scorso 8 aprile, ieri Vivendi ha fatto pervenire una proposta di “schema alternativo dell’operazione”, schema “che muta la valenza industriale alla base dell’accordo per incidere significativamente sull’assetto del capitale di Mediaset”. In sostanza Bollore vorrebbe confermare lo scambio del 3,5% del capitale di Vivendi e del 3,5% del capitale di Mediaset, ma vorrebbe acquistare solo 20% di Mediaset Premium per poi arrivare a detenere in tre anni circa il 15% del capitale di Mediaset attraverso un prestito obbligazionario convertibile.
Gli accordi iniziali prevedevano invece che la differenza di prezzo tra le due partecipazioni, dopo che Vivendi aveva accettato di valutare Mediaset Premium 636 milioni, ovvero ad un 2,96% di capitale di Vivendi ed oggi equivalente ad oltre 650 milioni (Vivendi capitalizza 22,25 miliardi di euro, Mediaset solo 3,41 miliardi, il titolo francese oggi è stabile, quello italiano in calo del 7% dopo un'apertura di giornata a -12,5%), venisse compensata dall’intera partecipazione in Mediaset Premium.
Perché questo voltafaccia? Evidentemente perché Bollore e i suoi uomini pensano che la pay tv della famiglia Berlusconi, che ha chiuso il 2015 con una perdita operativa di 115 milioni, non valga tanto e che il resto del gruppo Mediaset abbia, almeno in prospettiva, la possibilità di aumentare maggiormente di valore. Difficile dare torto ai francesi, visto che secondo calcoli effettuati dopo l’annunciato accordo tra i due gruppi da Radiocor il 2015 ha visto Premium pesare sui conti della capogruppo con 560 milioni di costi a fronte di 450 milioni di ricavi.
Acquisire una quota direttamente in Mediaset, inoltre, potrebbe avere un valore strategico per Bollore, che già controlla il gruppo Telecom Italia attraverso una partecipazione del 24,678%; non ha caso il Ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, ha ammesso che Vivendi non avrebbe “preclusioni” a una futura fusione tra i due gruppi italiani, aggiungendo peraltro che il gruppo francese non ha “intenzione di prendere il controllo di Mediaset” e che quanto ad un matrimonio Mediaset-Telecom Italia non c’è nulla di concreto sul tavolo, al momento.
Per ora, insomma, Vivendi sta bene come sta, ma se un domani dovesse esservi la possibilità di cedere Telecom Brasil e trasformare ciò che resta di Telecom Italia in un “consolidatore sul mercato”, potrebbe cogliere la palla al balzo, specie se riuscirà a costruirsi una sponda in Mediaset, dove però la reazione non si è fatta attendere con la società che in una ulteriore nota ha precisato come non vi sia alcuna ulteriore “negoziazione in corso tra Mediaset e Vivendi. La negoziazione è già avvenuta e si è conclusa con il contratto regolarmente firmato tra le parti l’8 aprile 2016”.
Non solo: “l’analisi dei risultati di Premium è ovviamente avvenuta prima della firma, come accade prima di ogni assunzione di impegni” e dalle lettere inviate da Vivendi a Mediaset, il gruppo italiano ha ribadito “di non aver mai ricevuto alcuna contestazione formale sulla validità o i contenuti del contratto” sottoscritto l’8 aprile. Un fulmine a ciel sereno o un atto premeditato? Il dubbio viene anche a Marco Giordani, direttore finanziario di Mediaset dal 2000 nonché presidente di Mediaset Premium che sbotta: “altro che progetti industriali insieme, il vero obiettivo era puntare al controllo di Mediaset”.
Al di là delle considerazioni di rito sulla difesa dell'italianità di Mediaset, impossibile non notare come in qualche modo la proposta francese sembri cogliere al volo lo spunto offerto ieri dall’acquisizione di Verizon Communications delle attività web di Yahho. In quel caso una società telefonica ha accettato di pagare (per molti strapagare) i contenuti di una società tecnologico-editoriale, qui una società creatrice di contenuti sembra che controlla un gestore telefonico sembra voler tentare il “triplo gioco” allargandosi anche al mondo della televisione generalista e di quella a pagamento.
Se così fosse mancherebbe proprio internet ad un disegno dalle ambizioni “globali” come sembra essere quello di Vivendi: sarà la prossima mossa dei francesi o è una differente valutazione delle potenzialità del web sulle due sponde dell’Atlantico? Per il momento i giudizi restano cauti e gli analisti parlano di tentativo di consolidare mercati maturi e con margini sempre più ridotti (sia quello della telefonia sia quello televisivo), più che di ridefinire il mercato stesso (come sembra provare a fare Verizon).
Da parte sua la famiglia Berlusconi sa di non poter mollare la presa su Mediaset, nonostante la tentazione, pena la definitiva irrilevanza politica ed economica dell'ex presidente del consiglio. Un'uscita di scena che probabilmente non converrebbe neppure a Matteo Renzi in questo momento. La partita è dunque tutta da giocare e non è detto che sarà giocata all'insegna del fair play, ma in questa estate 2016 gli investitori si stanno abituando, loro malgrado, a partite complesse e ricche di interferenze politiche, come anche quella sul settore bancario, Mps in testa: perché fingere di stupirsi, dunque?