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Viaggio tra gli ultimi del paese

Una commissione d’inchiesta del Senato presieduta da Ignazio Marino ha presentato il risultato di un viaggio negli Ospedali psichiatrici giudiziari in Italia.
A cura di Nadia Vitali
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Follia1

Nel mio paese c’era un pazzo; uno di quei pazzi come ce ne sono tanti nelle piccole realtà locali. Girava con una grossa radio attaccata al collo, beveva tantissima Coca Cola e mi metteva una gran paura quando ero bambina. Naturalmente non faceva del male a nessuno ma, purtroppo, pur essendo giovane non aveva più i genitori; per questo motivo, non molti anni fa è stato portato via dal paese e attualmente è ricoverato in qualche struttura di non so dove. A lui ho pensato quando ho saputo dell’inchiesta, fatta da una apposita Commissione del Senato, presieduta da Ignazio Marino che ha presentato il documentario che racconta della vita negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ho pensato che il pazzo del mio paese, probabilmente, era andato a finire lì: finché era stato nelle loro possibilità, gli altri compaesani si erano occupati di lui, rendendolo dunque parte di un tessuto sociale che si reggeva sulla solidarietà.  Ma poi, a fronte delle peggiorate condizioni fisiche e mentali, aveva dovuto abbandonare la sua roulotte perché ritenuto pericoloso per andare in una struttura che personalmente ho sempre avuto paura di immaginare; e adesso so il perché.

In Italia sono sei gli OPG: ad Aversa, a Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli e Reggio Emilia. Secondo l’inchiesta, versano tutti in condizioni allucinanti, indegne di un paese sviluppato che osa definirsi una democrazia. In queste strutture albergano gli ultimi tra gli ultimi, malati di mente, talvolta aggressivi, pericolosi, macchiatisi di reati orrendi, talvolta semplicemente stravaganti e bisognosi di cure, ma dimenticati negli ospedali; talvolta rinchiusi per reati minori commessi anche decenni prima. L’omicida furioso sta accanto al ragazzino disadattato della piccola comunità: insieme condividono dietro le sbarre quello che viene definito l’ergastolo bianco. In attesa, molto spesso, che una ASL prenda in esame il loro caso e che possono essere dimessi; su un totale di 1500 internati, infatti, 376 non sono ritenuti socialmente pericolosi ma di questi solo 65 effettivamente sono stati rilasciati. Gli altri continuano ad aspettare nel loro ergastolo bianco, perché non hanno una famiglia che li possa assistere, una ASL che si occupi di loro ed un progetto terapeutico da intraprendere: in questi casi, infatti, è prevista una proroga, in cui l’Ospedale continua a “prendersi cura” del degente.

Questo prendersi cura, per giunta, si riduce, per gli internati, a pochi medici che vanno in visita per un totale di 4 ore settimanali e a nessuno psichiatra: per il resto i malati sono abbandonati a sé stessi, quando non capita loro di essere seviziati, come accadde ad Aversa dove due guardie penitenziarie abusarono sessualmente di un paziente trans. I soli farmaci che vengono dati loro non sono per curare ma per “contenere”. Ultimi tra gli ultimi: tra le immagini del documentario presentato ieri c’è anche quella di un detenuto completamente nudo, legato con corde a braccia e gambe ad un letto di contenzione con un foro nel mezzo per la caduta degli escrementi, totalmente arrugginito per l’urina che cade bagnandolo da anni. Il documentario su questo ”inferno dei dimenticati”, come lo ha definito Ignazio Marino, verrà mostrato in televisione domenica 20 marzo al programma di Rai Tra Presa Diretta alle 21,30: trenta minuti di sporcizia, abbandono, camere da quattro in cui “vivono” fino a nove detenuti, su letti a castello (naturalmente proibiti nelle strutture ospedaliere) con uno spazio disponibile a persona inferiore a quello previsto dalle norme della comunità Europea per la prevenzione della tortura; bottiglie nel buco dei bagni alla turca per rinfrescarle ed impedire la risalita dei topi.

Questo anche è la nostra Italia di cui oggi festeggiamo i 150 anni: un paese in cui esistono luoghi bloccati nel tempo alle norme del Codice Rocco dal 1930. Luoghi di cui, io temo, tutti più o meno immaginiamo l'esistenza ma il pensiero che possa trattarsi di realtà è talmente orribile e vergognoso, da farci ricredere: non è possibile, ci diciamo, qui da noi queste cose non possono succedere. Da noi, dove l'anno scorso, Rai Fiction proponeva la storia di Franco Basaglia come se, ormai, da certi incubi ci fossimo ormai definitivamente liberati: invece no, storie raccapriccianti sono sempre lì, a due passi dalle nostre case, che lo vogliamo o no. A ricordarci che esistono destini di cui non riusciamo proprio ad afferrare il senso.

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