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Viaggio in Bosnia tra omicidi misteriosi e nazionalismo: venti di guerra per elezioni

La minoranza serba della Srpska guidata da Dodik e supportata da gruppi paramilitari lancia la sfida della secessione con la benedizione di Putin e Trump. La minoranza croata strizza l’occhio a Zagabria e i musulmani guardano ad Erdogan. Tra omicidi politici e aggressioni ai giornalisti, Sarajevo si prepara alle elezioni politiche di ottobre.
A cura di Antonio Musella
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Resti umani del massacro di Srebrenica
Resti umani del massacro di Srebrenica

I Balcani venuti fuori dagli accordi di pace di Daytona del 1999, dopo una guerra civile iniziata nel 1992 tra le fazioni serbe, croate e musulmane bosniache che portò alla dissoluzione della Jugoslavia lasciando sul campo decine di migliaia di morti, disegnarono all'interno dei confini della Bosnia due entità, la Herzegovina a maggioranza croata e la Srpska a maggioranza serba. A 19 anni dagli accordi di pace attraversando le malmesse strade che costeggiano le due entità sembra che la guerra sia finita ieri: all'ingresso delle città della Srpska e della Herzegovina accanto ai colpi di mortaio che sfregiano i palazzi lasciati a monito della guerra degli anni Novanta, troneggiano le bandiere di Serbia e Croazia per identificare a chi entra in quei territori, in maniera inequivocabile, che nei Balcani il nazionalismo sfrenato e violento è più vivo che mai. Nel prossimo mese di ottobre in Bosnia Herzegovina ci saranno le elezioni presidenziali, ad accompagnare la campagna elettorale negli ultimi mesi ci sono stati omicidi misteriosi, marce di gruppi paramilitari e venti di guerra che sembrano incombere pesantemente su un territorio che ha visto uno dei più grandi eccidi del novecento.

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La mano di Putin alle porte dell'Italia

Il complesso assetto governativo della Bosnia Herzegovina prevede l'elezione di tre presidenti che si alternano al governo del paese ogni otto mesi. La parte bosgnacca a maggioranza musulmana vive nel centro e nel nord est del paese con le città di Sarajevo e Tuzla che rappresentano dei luoghi in cui il nazionalismo e gli eccidi della guerra, ricordata dagli innumerevoli e sconfinati cimiteri presenti un po' ovunque, hanno lasciato spazio alla voglia di una nuova vita, una nuova "nafaka" termine bosniaco traducibile come "nuovo corso o nuovo destino".  L'ultranazionalista Milorad Dodik è il leader politico indiscusso della Repubblica Srpska, l'entità che conta 1,1 milioni di abitanti di cui un milione di serbi, in un paese, la Bosnia Herzegovina, che conta appena 4 milioni di abitanti. Cattolico ortodosso, Dodik nel suo programma elettorale per la presidenza della Bosnia ha inserito temi come la soppressione del canto dei muezzin delle moschee, sostenendo che disturbano la quiete pubblica e deprezzano il valore delle case. Dodik parla apertamente di secessione della Srpska dalla Bosnia Herzegovina, tendendo la mano la "madre patria" Serbia. Tra le sue proposte c'è la revisione del documento approvato dal parlamento bosniaco nel 2004 sull'eccidio di Srebrenica del 1995, in cui oltre 8000 bosgnacchi musulmani furono trucidati dall'esercito serbo guidato da Ratko Mladic, considerato dalla corte dell'AIA criminale di guerra, e seppelliti in fosse comuni. Ancora oggi non tutti i corpi sono stati riesumati dalle fosse comuni e identificati dalle famiglie. Per Dodik dovrà essere una commissione internazionale a valutare la verità storica su Srebrenica. Uno schiaffo alla storia e un argomento incendiario per soffiare sul nazionalismo e sui venti di guerra in vista delle elezioni. A dar manforte alla campagna di Dodik c'è l'asse mondiale sovranista da Trump a Putin, passando per i partiti sovranisti europei come il Front National di Marine Le Pen alleata di Matteo Salvini. I rapporti tra il partito di Dodik, l'SNSD e quello di Valdimir Putin, Russia Unita, sono solidissimi e certificati da 9 incontri tra i due leader negli ultimi anni e dall'imminente visita a Banja Luka, sede del parlamento della Srpska, del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov il prossimo 17 settembre. Lo scorso 29 luglio invece a Washington la prima ministra della Srpska, Zeljika Cvijanovic ha incontrato l'ex consigliere di Donald Trump, Steve Bannon, uno dei massimi ispiratori del movimento sovranista mondiale. Bannon è tra i più accaniti accusatori di George Soros, il magnate americano ritenuto dalla propaganda sovranista il finanziatore di Ong e media e "causa di tutti i mali del mondo". "Popolo della Srpska, non temete la situazione si invertirà come è successo in Ungheria e in Italia" ha dichiarato Bannon alla tv filo governativa della Srpska al termine dell'incontro con la Cvijanovic.

Mostar - Murales che ricorda l'eccidio di Srebrenica (Trad. Non dimenticare mai, non perdonare mai)
Mostar – Murales che ricorda l'eccidio di Srebrenica (Trad. Non dimenticare mai, non perdonare mai)

Paramilitari e omicidi politici, così i filo serbi si preparano alle elezioni

Bojan Stojkovic e Igor Bilbija sono i capi del gruppo paramilitare Srbska Cast, sono elementi già conosciuti dalle forze dell'ordine e più volte arrestati per sfruttamento della prostituzione. Stojkovic e Bilbija sono tra i sostenitori di Dodik e sono stati tra gli animatori della prima marcia dei gruppi paramilitari della Srpska che si è tenuta a Banja Luka lo scorso 9 gennaio alla presenza dei Ministri di Interni e Difesa della Serbia, Nebojsa Stefanovic e Alexandar Vulic. Le loro unità paramilitari sono state volute da Dodik e hanno assunto anche il compito di guardia armata del presidente. Un'inchiesta della testata online di Sarajevo Zurnal.info, ripresa anche dal Guardian,  ha portato alla luce le attività criminali dei capi dei gruppi paramilitari vicini a Dodik, avanzando l'ipotesi che siano stati addestrati e armati da generali dell'esercito russo presso il centro umanitario di Nis, una fondazione serbo-russa che sulla carta si occupa di aiuti umanitari. Le proteste delle opposizioni contro lo sciovinismo nazionalista dei filo serbi guidati da Dodik è stato represso nel sangue negli ultimi mesi. Sono ben 41 i casi di aggressioni ai giornalisti in Bosnia Herzegovina nel solo 2018. L'ultimo è quello che ha colpito il collega Vladimir Kovacevic avvenuto a Banja Luka pochi giorni fa il 27 agosto, quando il giornalista è stato aggredito da un gruppo di uomini mascherati e armati di bastoni. La "colpa" di Kovacevic è quella di aver seguito con continuità il movimento "Pravda za Davida"  (Giustizia per David ndr) nato dopo il misterioso omicidio del 21 enne David Dragicevic. Attivista vicino agli ambienti di sinistra, David è stato trovato morto il 24 marzo scorso a Banja Luka nel torrente Crkvena. Il giovane attivista era scomparso nella notte tra il 17 e 18 marzo dopo l'uscita da un locale intorno alle 3 di notte. Le "maldestre" indagini della polizia locale hanno parlato di morte accidentale dovuta alla caduta nel fiume, sebbene nel tratto in cui è stato ritrovato il corpo di David l'acqua non arrivi nemmeno alle ginocchia. Successivamente la polizia ha accusato David di aver compiuto un furto in un appartamento la notte della sua scomparsa diffondendo un video in cui però non era possibile riconoscere l'identità del ladro che si era introdotto in un'appartamento di Banja Luka. Dal giorno successivo alla sua morte il padre di David,  Davor Dragicevic ha occupato una delle piazze di Banja Luka, Trg Kajina, e grazie al supporto di un gruppo Facebook con oltre 100 mila iscritti la piazza si è mano mano riempita dando vita ad un presidio permanente. Dopo le proteste del movimento "Pravda za Davida" le autorità della Srpska hanno svolto una seconda autopsia che ha registrato che David è rimasto in vita per almeno 4 giorni dopo la sua scomparsa. Una circostanza che rafforza l'ipotesi dell'omicidio politico, ma nonostante questo il governo della Srpska e la magistratura si sono rifiutati di riaprire le indagini. Le mobilitazioni del movimento nato dopo la morte di David Dragicevic hanno portato alla luce altri casi, si tratta di morti in circostanze sospette per le quali i familiari chiedono giustizia. Strani incidenti di auto, ragazzi scomparsi per giorni e ritrovati cadavere, strani suicidi, a Sarajevo, a Tuzla, a Banja Luka, a Bijelijna, i casi di morti sospette si moltiplicano e stanno accompagnando l'intera campagna elettorale.

Gruppi paramilitari di Srbska cast, legati ai nazionalisti serbi della Srpska
Gruppi paramilitari di Srbska cast, legati ai nazionalisti serbi della Srpska

I filo croati con Covic e i musulmani guardano ad Erdogan

Contro Dodik ci sarà anche Dragan Covic, croato originario di Mostar, attuale membro della presidenza tripartita di Bosnia Herzegovina e leader del partito di destra dell'Unione Democratica Croata.  Covic è stato membro del gruppo guidato da Ante Jelavic, ex membro della presidenza collettiva di Bosnia,  che nel 2001 proclamò arbitrariamente l'indipendenza della Herzegovina croata, episodio che ne portò alla destituzione. Lo scorso 24 agosto Covic ha dato il suo assenso in qualità di attuale presidente di turno della Bosnia, alla realizzazione da parte del governo croato di un ponte tra Dubrovnik e la rete autostradale croata che di fatto taglia fuori la città costiera bosniaca di Neum, al confine con la Croazia, dall'afflusso turistico delle grandi navi ormeggiate a Dubrovnik. Un atteggiamento singolare quello di Covic che va di fatto a favore degli interessi croati e contro quelli del paese di cui è presidente. Gli Herzegovini di Bosnia non si sono mai rassegnati alla separazione dalla Croazia. E così come nelle cittadine della Srpska troneggiano le scritte in cirillico e la bandiera serba, in quelle della Herzegovina ci sono le chiese cattoliche e la bandiera croata. Mostar probabilmente è la città simbolo della divisione tra bosgnacchi e herzegovini. Il fiume Neretva, teatro di una delle più importanti battaglie vinte dai partigiani di Tito contro i nazisti, divide in due la città. Ad est la parte musulmana, con i minareti delle moschee e le bandiere nazionali, dall'altro la parte croata con la cattedrale cattolica e i ragazzini in strada che giocano a pallone con la maglia della nazionale croata. A separare la città lo storico ponte "Stari Mosti" distrutto nell'assedio alla città nel 1993. Herzegovini croati e bosgnacchi musulmani respinsero l'offensiva dei serbi contro la città, ma dopo pochi mesi le due parti entrarono in conflitto scatenando una guerra che ha lasciato nelle strade migliaia di morti. Furono le milizie croate dell'HVO a bombardare lo Stari Mosti che oggi è stato ristrutturato grazie ai fondi Onu ed è patrimonio dell'Unesco. Le due parti della città si guardano da una sponda all'altra della Neretva con in mezzo un fiume di turisti che sta risollevando l'economia del territorio e sembra essere oggi il calmiere dei conflitti. Gli herzegovini di Bosnia fanno quindi da contro altare politico alla Srpska di Dodik filo Serba. Lo scacchiere degli interessi geopolitici in ballo nei Balcani si compone anche della forte presenza turca a Sarajevo, la città dove le moschee e i centri islamici convivono in armonia con locali, baretti e centri commerciali tipicamente occidentali. Tra i principali investitori a Sarajevo c'è la presidenza della repubblica della Turchia guidata da Recep Erdogan che ha finanziato la ristrutturazione di piazze, moschee, strade e opere pubbliche come la fontana di piazza Sebilj tra le principali attrazioni turistiche di Sarajevo.  Il principale partito musulmano è l'SDA, Partito d'azione democratica, fondato da Aljia Izetbegovic nel 1990, primo presidente bosniaco che firmò gli accordi di pace di Daytona con Tudjman (Croazia) e Milosevic (Serbia). Le speranze dell'SDA sono riposte in Sefik Dzaferovic, sostenuto dal presidente del partito Bakir Izetbegovic, figlio di Aljia e membro uscente della presidenza tripartita. Proprio Izetbegovic è stato il principale fautore del consolidamento dei rapporti internazionali con la Turchia di Erdogan, il quale in occasione delle celebrazioni per la morte del padre della partia Aljia Izetbegovic, ha sostenuto che "L'Europa è morta nel conflitto dei Balcani tra il '92 e il '95". Quello del presidente turco è stato un consiglio alla Bosnia, bisogna stare lontani dall'Unione Europea e stringersi nella solidarietà musulmana.  In questo scenario dove Unione Europea, Russia, Usa e Turchia giocano le loro carte, l'esito delle elezioni bosniache di ottobre rischia di infiammare definitivamente i Balcani.

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