Venezia 70: più Cinema, meno glamour
Non chiamatela “ex bellissima”, epiteto di un’attrice in là con gli anni, come se il solo passare del tempo fosse sufficiente ad offuscarne il fascino. Le vere dive perpetrano il proprio fulgore nascondendosi, le altre recitano una commedia fatta di bisturi e collagene.
La Mostra del Cinema di Venezia compie 70 anni e sarebbe stata ancora a lungo la più bella del reame se non avesse desiderato uno nuovo aspetto. Ma al netto delle polemiche, si intravede una rinascita: sembra questo il messaggio latente che Paolo Baratta, presidente della Biennale, ha lanciato alla conferenza stampa dell’edizione 2013 come ogni anno tenutasi al Westin Excelsior di Via Veneto. E’ vero, troveremo la voragine ancora lì, spettro del progetto di un nuovo Palazzo del Cinema tramontato in un fiume di sprechi, ma è ora di guardare avanti e migliorare le care vecchie sale, nella capienza e nelle caratteristiche tecniche.
La presentazione della Mostra inizia nel terreno più fitto della realtà delle cose, tra progetti irrealizzabili e cambi di
marcia, nonché con la discussione sul rifinanziamento del tax credit che, non approvato da Letta, decurta i fondi per la produzione audiovisiva di altri 45 milioni di euro. Eppure, a quanto ci racconta il direttore Alberto Barbera, sono giunti alla selezione 150 film e circa 70 documentari italiani a riprova che, nonostante tutto, il cinema nel nostro Paese si fa.
Scavalcando gli Stati Generali della rottura, che sicuramente troverà nuovo sfogo durante la Mostra, Barbera presenta un programma di 20 film in concorso, due in più dell’anno scorso che, ecco la novità principale, sono entrambi documentari: «La distinzione tra finzione e verità è oramai inadeguata al cinema contemporaneo». Parliamo di “The Unknown Known: The life and times di Donald Rumsfed”, l’intervista del regista Errol Morris all’ex Ministro della Difesa degli Stati Uniti, per quello che si preannuncia un excursus dal sapore biografico-politico delle guerre americane dal Golfo fino all’Iraq. Anche uno dei tre film italiani in concorso è un documentario, “Il Sacro Gra” di Gianfranco Rosi, un viaggio esistenziale lungo la provincia italiana. Gli altri due titoli nostrani segnano il ritorno di un grande maestro, Gianni Amelio con “L’intrepido” e un esordio alla regia cinematografica, quello di Emma Dante in “Via Castellana Bandiera”, coproduzione con la Svizzera e la Francia. Cinque invece i titoli americani: l’ormai affezionato alla Laguna James Franco con “Child of God”, adattamento da McCarthy e probabilmente uno dei film-shock di quest’anno, altrettanto cupo ed emarginato come solo sa essere (quando vuole) Nicolas Cage in “Joe”, di David Gordon Green, mentre un film di genere ce lo regala Terry Gilliam in possibile ripresa con “The Zero Theorem”, protagonista Christoph Waltz alle prese con la fantascienza.
Ma vedremo un’altra star da red carpet profondamente trasformata: Scarlett Johansson recluterà vittime in “Under the
Skin” di Jonathan Glazer, adattamento dell’omonima, inquietantissima distopia di Michel Fabre, mentre Kelly Reichardt presenta il dramma ambientalista “Night Moves”. Altri due titoli “eccezionali” sono invece “Kaze tachinu” di Miyazaki, già uscito in patria e qui in anteprima internazionale e non mondiale e “Stray Dog”, film-testamento di Tsai Ming Liang (quello de “Il gusto dell’anguria” e vari altri titoli veneziani) che ha preannunciato il suo addio al cinema. Presente in competizione l’Algeria con Allouache (“Es-Stouth”), la Grecia con Avranas (“Miss Violence”), la Francia con Xavier Dolan finalmente al Lido (“Tom à la ferme”) e Philippe Garrel che dirige di nuovo il figlio in “La jalousie”, l’Inghilterra con “Philomena” di Stephen Frears, forse una delle pochissime occasioni in cui rischiamo di ridere, da Israele Amos Gitai con “Ana Arabia”, ma a mettere alla prova lo spettatore saranno i 175’ minuti di “The Police Officer’s Wife” del tedesco Gröning, che si preannuncia durissimo.
Si aggiunge in coda un ultimo film non annunciato prima, “Parkland” di Peter Landsman, ambientato nell’ospedale in cui fu ricoverato Kennedy, nei quattro giorni tra l’attentato e la sua fine. Come sempre, “Fuori Concorso” troviamo un po’ di tutto: 3D d’animazione e non, come “Gravity” di Cuaron in apertura, l’horror di mezzanotte (“Wolf Creek 2”), il remake giapponese di “Unforgiven” di Clint Eastwood, l’atteso documentario di materia fellinesca di Ettore Scola “Che strano chiamarsi Federico!” e per i più resistenti, una sorta di Heimat reloaded, “Die Andere Heimat” di Edgar Reitz con i suoi 225’. Ma il record lo batterà il documentario di Frederick Wiseman, “At Berkeley”, una fotografia di 244’ sui tagli all’istruzione in America. Tante opere prime in “Orizzonti”, ma a solleticare più di tutto saranno i tre film realizzati dagli studenti della Biennale College, progetto di formazione cinematografica avviato l’anno scorso che ha avuto l’insperato esito di ben tre lungometraggi, da Italia, Canada e Francia. Sono molti i successi e le iniziative di cui Barbera sembra soddisfatto, ma la scure impietosa dell’assenza di glamour si abbatte a fine conferenza, quando in sala rievoca, sotto forme più raffinate, l’interrogativo: tra attori e registi, dove sono le star?
La risposta non lascia adito a strascichi polemici: «Il Direttore di una mostra cinematografica che risponde ai Coen, a Jarmush, a Soderbergh (per quanto tutti questi siano transitati per il Lido in questi anni, magari non tutti insieme, ndr) di non presentare i loro film perché non hanno bisogno di una vetrina da Festival, non c’è e non ci sarà mai. Semplicemente, molti film non erano pronti e portare qui al Lido molte star ha dei costi esagerati». Non tutti sanno che, ad esempio, Tom Cruise richiede ben due suite presidenziali al Cipriani, dovesse annoiarsi nel corso della notte. Non si può avere tutto, questo è vero. Ma siamo disposti a perdonare anche qualche red carpet meno scintillante, in cambio di film che rispecchino il vero stato del cinema contemporaneo, che sia il riflesso della realtà delle cose, finanche nelle sue negatività.