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Opinioni

Veneto Banca: gli azionisti sono pregati di non disturbare il fondo Atlante

Veneto Banca ha avviato l’aumento da un miliardo di euro e subito i banchieri fanno capire: per evitare guai il fondo Atlante dovrà ottenere il controllo dell’istituto, quindi i soci attuali farebbero meglio a non sottoscrivere più del 10%-20%. Mentre il governatore del veneto Zaia fa gli scongiuri…
A cura di Luca Spoldi
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Operatore di borsa

Non c’è due senza tre: dopo l’aumento-flop da 1,5 miliardi di euro di Banca popolare di Vicenza (BpVi), sottoscritto dal fondo Atlante divenuto così socio al 99,33% dell’istituto fino allo scorso novembre guidato da Gianni Zonin, e dopo l’avvio di quello da un miliardo di euro di Banco Popolare, incoraggiante per il consorzio di garanzia formato da Mediobanca e Bank of America, visto che nei primi due giorni sia il titolo sia il diritto hanno visto aumentare le quotazioni in borsa, salvo veder scattare oggi le prime prese di profitto, anche Veneto Banca ha avviato, stamane, il previsto aumento da 1 miliardo di euro destinato a concludersi il 24 giugno per poter far debuttare il titolo in borsa, in caso di esito positivo, il 30 giugno.

Aumento che serve da un lato a evitare che la Bce faccia scattare il bail-in sull’istituto, dall’altro a favorire lo sbarco in borsa, sbarco che peraltro difficilmente avverrà. Se ieri Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo cui fa capo Banca Imi, capofila del consorzio di collocamento e garanzia, ha dichiarato che l’inoptato si profilerebbe superiore al 51% e questo farebbe scattare l’accordo di sub-garanzia che Banca Imi ha già sottoscritto (come fatto da Unicredit nel caso dell’operazione di BpVi) un accordo di sub-garanzia grazie al quale, comunque vada, non si dovrà far carico dei titoli rivenienti dall’aumento medesimo, oggi il direttore generale di Veneto Banca, Cristiano Carru, è stato ancora più esplicito: sarà opportuno che gli azionisti non sottoscrivano oltre il 50% dell’aumento.

L’operazione, che prevede una forchetta indicativa ampia (0,1-0,5 euro per azione, un valore pari ad quinto rispetto agli 0,5-2,5 euro inizialmente ventilati), appare infatti costosa in termini di multipli di borsa anche nel caso i titoli, come probabile, vengano emessi a 0,1 euro l’uno, tanto più considerando i 25,7 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi (pari al 29% di tutti i crediti), corrispondenti a un texas ratio del 225,7%, gli istituzionali, cui sarà rivolta l’offerta dopo aver espletato l’offerta agli azionisti esistenti, non sembrano minimamente interessati né in Italia (Ubi Banca e Bper hanno più volte smentito di voler partecipare all’aumento) né all’estero (i principali operatori del settore sembrano piuttosto attendere l’asta per i 24 miliardi di Npe di cui Mps vuole disfarsi).

Visto poi che gli azionisti esistenti sottoscrivendo i nuovi titoli a 0,1 euro si troverebbero a dover iniettare nuovi capitali a fronte di una perdita di valor delle “vecchie” azioni del 99,75% circa rispetto al picco di 40,75 euro toccato nel 2013, è davvero difficile ipotizzare che sia possibile trovare 1 miliardo di euro. Ma se il miliardo non sarà trovato scatterebbe il bail-in, da qui la necessità (negata ancora un mese fa in assemblea dal presidente Pierluigi Bolla) di far intervenire il fondo Atlante. Che però ha messo come precondizione il raggiungimento del controllo dell’istituto attraverso la sottoscrizione di una quota che consenta di controllare non meno del 50,1% del capitale. Quindi se gli azionisti attuali vorranno sottoscrivere il 10%-15% o anche 20% del capitale ben vengano, ma non si illudano di poter continuare a comandare coi soldi altrui.

Messaggio che al management è stato chiaro sin dall’inizio se è vero che oggi Carrus ha anche aggiunto che, una volta che avrà rafforzato la sua posizione patrimoniale con l’aumento, Veneto Banca dovrà cercare un accordo di fusione con qualche altra banca. Magari, aggiunge più di un operatore a Piazza Affari, proprio con la BpVi con la quale negli ultimi anni più volte sono intercorse trattative che non sono mai arrivate ad alcun risultato per la distanza rimasta tra le parti in merito alla governante (ossia al numero di poltrone e di poteri che dovessero spettare a manager e azionisti di riferimento dell’una e dell’altra banca).

Curiosamente, ma non troppo, il più preoccupato di tutti non è un investitore ma un politico: il governatore del Veneto, Luca Zaia, il quale riecheggiando parole udite già quando il Banco di Napoli prima e Banca di Roma-Capitalia poi passarono sotto il controllo di “istituti del Nord” come Intesa Sanpaolo e Unicredit, ha auspicato che le due banche venete “restino con dei capitali e dei riferimenti stabili in Veneto ma non solo per un fatto identitario, ma anche per un fatto di economia: abbiamo 600 mila partite Iva, famiglie e imprese che hanno bisogno di un istituto di riferimento”.

Illuso chi come il sottoscritto pensa che la funzione creditizia si debba esercitare confrontando rischi e redditività, merito di credito e interessi: essa per Zaia (e non solo lui purtroppo) è una parte integrante dell'attività politica. Quando poi questa attività dà origini a crisi come l'attuale la colpa è invariabilmente del mercato, dello stato, di Roma ladrona, del Nord, del Sud, dell’Est o dell’Ovest, quasi mai di un management poco autonomo rispetto agli interessi dei “grandi soci” (che spesso per non dire sempre sono stati anche i grandi debitori delle banche finite in crisi), men che mai di una classe politica, locale e nazionale, che dalle banche ha sempre tratto prebende per sé senza saper offrire una visione utile ad uno sviluppo “sano” e non viziato da considerazioni clientelari-amicali.

Un paio di dubbi restano all’analista: l’aumento di capitale da un miliardo sarà sufficiente a rafforzare patrimonialmente Veneto Banca? E l’eventuale fusione con BpVi darà vita a un istituto in grado di stare sulle proprie gambe o saranno necessarie ulteriori iniezioni di capitali da parte del fondo Atlante (partecipato da diretti concorrenti dei due istituti veneti, cosa che dovrebbe generare almeno il sospetto di un potenziale conflitto d’interessi)? E se anche tutto andrà per il meglio, quali e quante altre bombe a orologeria aspettano di trovare una “soluzione di sistema” per emergere in tutta la loro gravità? Per fortuna che il ministro Padoan ci rassicura sul fatto che entro un paio d’anni sarà tutto alle spalle. Speriamo abbia ragione, anche se qualche dubbio al riguardo resta.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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