Ancora loro, in un modo o nell'altro. Un dualismo che va avanti da decenni, nella buona o nella cattiva sorte. Da una parte il "giovane" e conciliante Veltroni, dall'altra il pungente complottista D'Alema. Spesso l'un contro l'altro armati, ma pur sempre legati. Quasi indissolubilmente. Così, è bastato che l'uno annunciasse la volontà di non ricandidarsi alle prossime elezioni politiche, perché i riflettori si spostassero immediatamente sull'altro, protagonista solo pochi giorni prima di un (velato) scambio di "promesse" con Matteo Renzi. E insomma, la domanda che circola è semplice: Massimo D'Alema farà come l'ex sindaco di Roma e rinuncerà alla candidatura alle politiche (che necessita di una deroga dall'Assemblea Nazionale del Partito Democratico). Insomma, che Renzi vinca o meno, la carriera parlamentare di D'Alema continuerà anche dopo la primavera del 2013?
Come dicevamo anche il Lider da Gallipoli avrebbe bisogno di una deroga, dal momento che lo Statuto del PD prevede che non siano ricandidabili i parlamentari che abbiano già trascorso 15 anni fra Palazzo Madama e Montecitorio (inizialmente si parlava di 3 legislature, poi la correzione di rotta che permetterà a tanti big di ricandidarsi senza richiedere la deroga). Da un punto di vista strettamente tecnico questo è un "non problema", considerando i numeri dell'Assemblea Nazionale e soprattutto il fatto che difficilmente si solleverebbe un "caso" a pochi mesi dalle elezioni e per di più contro un personaggio che ha ancora tantissimo peso all'interno del partito. Dal punto di vista politico però la questione si pone in tutta la sua centralità. Perché il rinnovamento generazionale sembra essere uno dei punti su cui gli stessi militanti democratici non sembrano disposti a transigere. E perché l'ombra di D'Alema è fin troppo ingombrante per Bersani (in piena campagna per le primarie). Al di là dei meriti e dei demeriti dello stesso D'Alema (e non crediamo sia questa la sede adatta per discutere delle gesta di un personaggio che ha segnato la storia del centrosinistra italiano, nel bene o nel male), resta una discussione interessante, proprio in relazione al modello di partito che sia Renzi sia Bersani hanno in mente.
Perché in un altro contesto la rinuncia di Veltroni non sarebbe né un atto di coraggio, né un gesto di altissima levatura. Ma oseremmo dire, quasi un atto dovuto, o quantomeno un normale esempio di avvicendamento ai vertici della piramide partitica (e tra l'altro non ha mai escluso incarichi diversi da quello di parlamentare, anzi…). Del resto, in un qualunque altro Paese occidentale, è difficile imbattersi in carriere eterne, o nella presenza costante di personaggi che hanno guidato per anni la macchina del partito (e che hanno avuto la chance di guidare il Paese, consegnando invece alla controparte la più ampia maggioranza parlamentare della recente storia repubblicana). Stesso discorso dovrebbe, a modesto parere di chi scrive, guidare la "logica" delle scelte e delle candidature: non un mero ricambio generazionale, ma un naturale meccanismo di rinnovamento – cambiamento della classe dirigente che sia propedeutico ad uno svecchiamento della piattaforma politico – programmatica e ad un ampliamento della partecipazione. Non una caccia all'uomo, dunque, ma una seria discussione, anche intorno alla necessità di un forte segnale di discontinuità con il passato. Un passato se non da cancellare, ma almeno da rivedere criticamente.
Invece tra personalismi, alchimie e strategie più o meno sensate, il PD resta impantanato nelle solite sterili contrapposizioni. E proprio mentre i militanti tornano a discutere e confrontarsi (anche per merito di quello strumento di grande democrazia interna che, almeno in teoria, sono le primarie), ecco le solite stanche polemiche, le inutili vecchie prove di forza. Stavolta arriva addirittura una del tutto non richiesta raccolta di firme per sostenere più o meno direttamente la ricandidatura di Massimo D'Alema alle prossime politiche: "Oltre 700 amministratori locali del Pd, dirigenti politici, esponenti del mondo culturale e della società civile meridionale esprimono solidarietà a Massimo D’Alema («punto di riferimento» per una sfida di governo che parta dal Sud)".
Lo stesso D'Alema del resto aveva prima deciso di non candidarsi, per poi cambiare idea dopo gli attacchi di Renzi. Ecco, un capriccio. Siamo a questo. Eppure, D'Alema lo sa bene, la politica è cosa ben più seria. O meglio, dovrebbe.