Distanze tra costruzioni ex art. 873 cc
Il codice civile del 1942 con l'art. 873 cc individua la distanza minima tra costruzioni (tre metri), inoltre prevede che nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore. Sorvolando sulla necessità di individuare una univoca nozione di costruzione, occorre dire che l'esigenza di individuare una distanza tra edifici discende dalla necessità di evitare la creazione di angustie intercapedini tra i diversi edifici sostanzialmente malsane.
Risulta evidente che il codice permette di individuare delle distanze mediante il rinvio ad atti della pubblica amministrazione (c.d. regolamenti locali). Il codice viene integrato da questi ulteriori atti.
Quanto al rapporto tra codice civile e regolamenti edilizi (o piani regolatori ecc.) che prevedere distanze diverse da quelle individuate dal codice civile è stato stabilito che le prescrizioni dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi sono integrative del codice civile ed hanno valore di norme giuridiche, sicché il giudice deve acquisirle (considerarle) d'ufficio (cioè in modo automatico, senza bisogno di una istanza o rilievo di una delle parti).
E' opportuno osservare che, da un lato, non è sempre agevole coordinare l'insieme di tutti questi atti, dall'altro, difficile è trovare una modalità univoca su come si calcolano le distanze (dal confine oppure tra costruzioni) con tutte le conseguenze che ne derivano.
Un contratto può individuare le distanze tra costruzioni
Come si è visto, di solito, è il codice civile (oppure gli atti della pubblica amministrazione) che individuano le distanze tra costruzioni. Nulla, però, esclude che un contratto individui (in modo convenzionale) le distanze che dovranno tenere le costruzioni che saranno realizzate su due fondi limitrofi (es. si vieta di costruire ad una distanza inferiore di metri 15).
Si tratta sempre di distanze (dirette ad evitare la creazione di anguste ed malsane intercapedini tra edifici), ma in un caso le distanze sono quantificate dal legislatore e recepite della parti, nell'altro caso, sono individuate (in modo esclusivo) dalle parti interessate alla questione.
La valutazione discrezionale e personale per la costruzione realizzata in violazione delle distanze
Come si è detto, le distanze tra costruzioni hanno (soprattutto) la funzione di evitare la creazione di intercapedini anguste tra edifici, in questo contesto resta da chiedersi se è possibile una valutazione concreta (cioè in base allo stato dei luoghi) sull'eventuale violazione delle distanze, in altri termini occorre stabilire se è possibile, in modo discrezionale o soggettivo, valutare di volta in volta se una costruzione (realizzata in violazione delle distanze) crei (in modo concreto ed effettivo) la situazione che la norma intende scongiurare oppure se una costruzione che violi le distanze è sempre illecita anche se nessuna intercapedine insalubre ed angusta viene realizzata.
Risultano evidenti le conseguenze che derivano dalla due diverse impostazioni,
- una permette una valutazione discrezionale e soggettiva delle distanze, inoltre, una costruzione realizzata ad una distanza inferiore da quella consentita non sarebbe sempre illecita, ma sarebbe illecita solo se permette la creazione di intercapedini insalubri ed anguste o quando produce un danno (limitando) la salubrità o l'amenità dei luoghi;
- l'altra esclude qualsiasi discrezionalità personale nella valutazione dell'illiceità della costruzione realizzata a distanza inferiore, per cui una costruzione realizzata in violazione delle distanze sarebbe sempre illecita, anche se (in concreto) non realizza tra gli edifici nessuna intercapedine insalubre ed angusta e non crea nessun danno all'amenità o alla salubrità dei luoghi.
Nessuna valutazione personale e discrezionale per la costruzione realizzata in violazione delle distanze
Sul punto, la Cassazione ha affermato che in caso di violazione delle distanze legali tra le costruzioni è irrilevante l'accertamento della concreta pericolosità o dannosità delle intercapedini, essendo tale situazione presupposta dalle norme applicabili, sia se si tratta di distanze stabilite dal legislatore (o da atti della pubblica amministrazione) sia se si tratta di distanze stabilite in un contratto.
Tale accertamento non è necessario neppure nell'ipotesi di violazioni di limiti di edificabilità stabilite da privati contraenti (a carico di un fondo e a vantaggio di altri fondi limitrofi), nell'ambito della loro autonomia e libertà contrattuale (anche quando la distanza prevista non ha direttamente lo scopo di evitare la formazione di intercapedini anguste ed insalubri), poichè tali esigenze sono state valutate dalle parti nel momento in cui hanno individuato delle distanze a cui attenersi.
Di conseguenza, l'indagine demandata al giudice è unicamente quella di verificare se fossero state o meno rispettate le distanze contrattualmente previste, esulando da tale verifica ogni profilo attinente al riscontro del pregiudizio all'ariosità ovvero all'amenità, poichè tali esigenze sono state valutate a monte dalle parti nel momento in cui hanno individuato la distanza da rispettare.
Per cui, occorre solo procedere all'accertamento del rispetto delle previsioni pattizie sulle distanze da parte delle costruzioni, attenendosi unicamente al dato previsto in contratto, senza possibilità di deroghe in nome dell'assenza di pregiudizi all'amenità ovvero all'ariosità ovvero di altri pregiudizi.
Cass., civ. sez. II, del 6 giugno 2016, n. 11567 in pdf