A prima vista la scelta di conferire un mandato esplorativo al Presidente del Senato non sembrerebbe così irrituale: la soluzione istituzionale a una crisi di governo può richiedere passaggi di questo tipo, volti a individuare se esista o meno la possibilità di costruire una maggioranza stabile in Parlamento facendo appello su concetti come “responsabilità” e “necessità”. Mattarella, insomma, si muove su binari già conosciuti, confortato da una prassi ben consolidata. Siamo in presenza di una casistica ben definita, insomma, considerando che, come si legge sul sito del governo, “anche se non espressamente previsto dalla Costituzione, il conferimento dell’incarico può essere preceduto da un mandato esplorativo che si rende necessario quando le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative”. Tanto più che il mandato dato al Presidente del Senato ha un perimetro ben definito: valutare la possibilità di impostare un governo di intesa fra centrodestra e Movimento 5 Stelle e tornare a riferire al Quirinale.
E allora perché la decisione di affidare un incarico esplorativo mirato a Elisabetta Casellati sembra sostanzialmente una perdita di tempo, un esperimento dal risultato già scritto? Prima di tutto occorre precisare un passaggio: non esiste una opzione Casellati, o meglio, non è neanche in campo l’ipotesi di un esecutivo guidato dalla seconda carica dello Stato.
Mattarella ha già avuto modo di vagliare le posizioni dei leader politici che per due volte si sono affacciati al Quirinale. Dunque, conosce le posizioni dei partiti, in particolare rispetto alle ipotesi di un governo politico M5s – centrodestra. Sa quali sono i paletti messi dai 3 leader del centrodestra e da Luigi Di Maio. Sa bene che non ci sono condizioni favorevoli perché possa nascere un accordo di questo tipo. E, infine, sa che non c’è alcuna possibilità che possano far presa concetti come “responsabilità” o “fase emergenziale”. Casellati, essenzialmente, si limiterà a prendere atto dell’insussistenza di questa opzione, spiegando a Mattarella che non c’è alcuna possibilità di far partire un governo che sia frutto di un accordo politico fra il centrodestra e il MoVimento 5 Stelle. Sarà, come ha notato qualcuno, il terzo giro di consultazioni. E andrà a vuoto come i primi due.
Malgrado le dichiarazioni di circostanza dei leader politici (tutti hanno parlato di "occasione per fare chiarezza", di "passo necessario", di "scelta saggia"), l'intera operazione è una (piccola, per fortuna) perdita di tempo. Si tratta di ratificare l'ovvio, di assistere all'ennesima replica di dichiarazioni, mezze aperture e botta e risposta tra i leader. Venerdì Casellati getterà la spugna e Mattarella si prenderà qualche altro giorno. Si voterà in Molise, poi si ritornerà al punto di partenza.
È però un passaggio formale che riveste una certa importanza, almeno nel percorso immaginato dal Quirinale. Mattarella vuole dimostrare di aver percorso tutte le strade possibili per favorire la nascita del “governo scelto dagli italiani”, prima di valutare altre soluzioni. La prossima mossa, dunque, potrebbe essere una replica di questo modello, magari affidata a Roberto Fico, per verificare la disponibilità a sostenere un esecutivo PD – M5s. Ipotesi, quest’ultima, altrettanto complessa, ma su cui resta qualche spiraglio aperto (resta da capire quanto è / sarà ampia la fronda interna al Partito Democratico). Passeranno altri giorni, si voterà anche in Friuli Venezia Giulia e poi si tornerà al punto di partenza.
Una perdita di tempo ulteriore, vista dal di fuori dei palazzi. La "giusta decantazione", dall'interno.
Il punto è che queste "perdite di tempo" per il Quirinale sono necessarie, e i passaggi formali sono una sorta di pre-condizione per poter intervenire direttamente nella contesa e mettere in campo soluzioni nuove e diverse, che passeranno probabilmente da una gestione "diretta" della crisi da parte del Capo dello Stato. Sarà quello il momento del "governo del Presidente", l'ultimo tentativo di evitare le elezioni anticipate.