Oggi è una giornata da ricordare per Dublino, ritornata sul mercato primario grazie al collocamento della prima emissione di titoli di stato irlandesi a 10 anni da quando a fine 2013 il paese è uscito dal piano di salvataggio concordato tre anni or sono con Bce, Fmi e Ue. A dirla tutta l’importo non era di quelli da far tremare i polsi: in tutto sono stati collocati appena 3,75 miliardi di euro, a fronte di una domanda che ha superato i 14 miliardi di euro, il che ha consentito di contenere il rendimento annuo lordo al 3,543%, ben al di sotto anche del decennale guida italiano che stasera paga il 3,93%, ossia il 2,03% più del Bund decennale tedesco (contro uno spread appena superiore all’1,64% da parte del nuovo titolo irlandese).
Che l’Irlanda si preparasse ad un ritorno sulle scene positivo lo si era capito già da qualche tempo visto che i decennali di Dublino già quotati sul mercato sono costantemente calati negli ultimi due anni abbondanti, riportandosi sotto il 4% lordo annuo già dallo scorso autunno, ma la notizia è comunque certamente positiva sia per Dublino sia per l’euro, riducendo le tensioni in uno dei possibili focolai di ulteriore crisi. Il che non significa che sia automaticamente una buona notizia anche per l’Italia. Cos’hanno in comune Dublino e Roma? Non molto almeno come punti di partenza (e forse neppure come punto di arrivo): la crisi irlandese è stata dovuta allo scoppio della bolla immobiliare che ha portato alla necessità di un successivo salvataggio pubblico del sistema bancario tramite nazionalizzazioni, il che a sua volta aveva fatto esplodere deficit e debito. La crisi italiana per contro è dovuta a una prolungata assenza di crescita che ha reso sempre più difficilmente sostenibile un debito troppo elevato, tanto più in assenza di riforme.
La risposta di Dublino “concordata” con i partner europei (in cambio degli aiuti della “troika”) si è basata su un’austerità violenta fatta di aumenti di imposte (e fin qui tutto o quasi quadra rispetto alla “ricetta” adottata anche in Italia) e tagli di spesa pubblica e pensioni (che per il momento l’Italia non ha varato, anche perché in materia previdenziale molte riforme sono già state fatte anni fa ed è dunque difficile, oltre che socialmente poco tollerabile, pensare di ottenere ulteriori significativi risparmi, tanto più nel breve periodo). Risultato: l’Irlanda ha un tasso di disoccupazione del 12,5% (a fine novembre scorso, dal 12,6% di ottobre e dal 14% di fine 2012), un deficit ancora elevato per quanto in calo (8,2% del Prodotto interno lordo, o Pil, dal 13,1% del 2012 e dal 30,6% del 2011), un debito pari al 125,7% del Pil a fine giugno (in crescita dal 117,4% di fine 2012).
L’Italia per contro, in attesa che un qualche governo trovi il tempo e il modo di fare le dovute riforme nel dovuto ordine, così da ridare competitività al paese e renderlo nuovamente attraente per gli investitori domestici o internazionali che siano, ha una disoccupazione ugualmente del 12,5% (a fine ottobre, dato stabile rispetto a settembre e in crescita dal 12,4% di agosto), un deficit che secondo le ultime voci starebbe nuovamente superando il 3% del Pil (dimostrando quanto siano stati vani finora i tentativi volti a comprimerlo, in presenza di una recessione che la “ricetta tedesca” di repressione fiscale acuisce) e soprattutto un debito pari al 133,3% a fine giugno, ma che per motivi banalmente aritmetici più volte ricordati è destinato a peggiorare ancora per diversi trimestri, ossia sino a quando non si raggiungerà una crescita nominale del Pil di almeno un 3%-3,5% annuo (il che non è al momento nemmeno nelle più rosee previsioni del governo).
Soprattutto, spiace dirlo, le dimensioni contano anche in economia e se l’Irlanda con un debito di circa 205 miliardi di euro può sperare di aver già toccato il fondo e di poter risalire, contenendo i costi sul proprio debito attorno a una mezza dozzina di miliardi di euro l’anno, il Tesoro italiano con 2.076 miliardi di debito pubblico si trova a dover emettere cifre analoghe o superiori ad ogni singola asta, con cadenza circa quindicinale. Considerato che a fine novembre erano in scadenza 345,9 miliardi nei successivi 12 mesi e scontando che il tasso d’interesse rimanga attorno a poco più del 2% a livello complessivo come nel 2013 ovvero intorno al 3,5% per i Btp, anche l’anno quest’anno tra rinnovi e nuove emissioni facilmente il Tesoro si troverà a emettere sui 400 miliardi di euro, il doppio dell’intero debito irlandese.
Insomma: oggi è un giorno da ricordare per l’Irlanda, di buon auspicio per l’Eurozona, ma ancora di scarso conforto per l’Italia. Che deve riuscire a trovare il bandolo della matassa per far ripartire la crescita sfruttando per quanto possibile la bonaccia dei mercati finanziari che non è detto possa durare oltre le elezioni politiche europee di maggio.