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Un anno di porti chiusi: 1151 persone morte nel Mediterraneo

È passato un anno da quando il governo italiano ha impedito alla nave Aquarius di attraccare lungo le coste italiane, iniziando la politica dei porti chiusi. Da allora, almeno 1.151 persone sono morte nel Mediterraneo e oltre 10mila sono state riportate in Libia, nell’inferno dei centri di detenzione. A denunciarlo sono Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranee.
A cura di Annalisa Girardi
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È passato un anno da quando il governo italiano ha annunciato di voler chiudere i porti alle navi umanitarie che soccorrono i migranti nel Mediterraneo: da allora, almeno 1.151 persone sono morte e oltre 10mila sono state riportate in Libia, un luogo che le rende ancora più vulnerabili a violenza e sofferenza. Lo denunciano Medici Senza Frontiere (Msf) e Sos Mediterranee, un'associazione umanitaria che soccorre i migranti in pericolo nel mare. "Questi morti, che si sarebbero potuti evitare, rivelano il costo umano di politiche europee irresponsabili", affermano in una nota.

Era il weekend del 9-10 giugno 2018 quando la nave Aquarius, gestita da Sos Mediterranee in collaborazione con Msf, soccorse 230 persone, per poi riceverne a bordo altre 400 da navi della Guardia costiera e della Marina militare italiana. Il salvataggio dei migranti era stato coordinato dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Imrcc) di Roma, ma le autorità italiane negarono lo sbarco in un porto della penisola, come prevederebbe il diritto marittimo internazionale. Il governo spagnolo era allora intervenuto offrendo all'Aquarius di attraccare a Valencia: tuttavia, visto il sovraffollamento dell'imbarcazione e le precarie condizioni di sicurezza e salute, la nave della Ong non avrebbe potuto trasportare fino alla Spagna tutto l'equipaggio. Dopo due giorni di impasse, alcune persone vennero trasferite nelle navi militari italiane che scortarono l'Aquarius fino a Valencia, impiegando circa 4 giorni di viaggio. L'attracco avvenne il 17 giugno, una settimana dopo il soccorso dei migranti.

La nuova regola dell'impasse in mare

Da quando è stato impedito alla nave Aquarius di entrare in un porto italiano lo stallo in mare è diventato ordinario. Una nuova regola che si è verificata in oltre 18 incidenti documentati. I blocchi di navi con a bordo migranti, fra cui uomini, donne e bambini vulnerabili, finora si sono protratti per 140 giorni, avvertono le Ong. Si tratta di oltre 4 mesi in cui 2.443 persone sono state trattenute in mare, mentre i governi europeo decidevano che cosa fare con il loro futuro. "Un anno fa abbiamo chiesto che stalli politici pericolosi e disumani in mare non costituissero un precedente. Invece è esattamente ciò che è successo", ha detto Sam Turner, capomissione di Msf in Libia, aggiungendo che "questa impasse politica tra i paesi europei e la loro incapacità di mettere la vita delle persone al primo posto, è ancora più scioccante oggi mentre i combattimenti continuano a imperversare a Tripoli".

Annemarie Loof, responsabile per le operazioni di Msf ha definito la risposta dei governi europei alla crisi umanitaria che continua a coinvolgere il Mar Mediterraneo e la Libia "una corsa al ribasso", sottolineando ancora come da un anno si chiede ai poteri politici di mettere al primo posto la vita delle persone. "Abbiamo chiesto un intervento per mettere fine alla disumanizzazione delle persone vulnerabili in mare per finalità politiche. Invece, ad un anno di distanza, la risposta europea ha raggiunto un punto ancora più basso", ha concluso. Le Ong denunciano nella nota come la criminalizzazione dei soccorsi in mare non solo comporti risvolti negativi per le navi umanitarie, ma sta di fatto erodendo il principio dell'assistenza a persone che si trovano in pericolo, per cui navi commerciali e addirittura militari sono riluttanti ad intervenire con operazioni di salvataggio visto l'alto rischio che si presenterebbe in seguito di essere bloccate in mare senza che venga fornito un porto sicuro dove sbarcare.

L'appello di Msf e Sos Mediterranee

"L'assenza di navi umanitarie nel Mediterraneo centrale in questo periodo mostra l’infondatezza dell’esistenza di un fattore di attrazione", ha dichiarato Frédéric Penard, il direttore delle operazioni di Sos Mediterranee. "La realtà è che anche con un numero sempre minore di navi umanitarie in mare, le persone con poche alternative continueranno a provare questa attraversata mortale a prescindere dai rischi. L’unica differenza, ora, è che queste persone corrono un rischio quattro volte maggiore di morire rispetto all’anno scorso, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni".

Nell'ultimo mese e mezzo, denuncia ancora la nota, un numero sempre maggiore di persone ha cercato di attraversare il Mediterraneo, in fuga dalla Libia. Oltre 3.800 migranti hanno preso il largo a bordo di imbarcazioni insicure per raggiungere l'Europa. Una settimana fa, una delegazione di Msf era intervenuta in un incontro stampa a Roma per raccontare l'inferno dei centri di detenzione in Libia, affermando l'importanza di un'evacuazione umanitaria di migranti e rifugiati dal Paese, la cui condizione viene ulteriormente compromessa dal conflitto a Tripoli, scoppiato oltre due mesi fa. Per ogni persona che è stata trasferita lo scorso anno, tuttavia, più del doppio viene intercettato dalla Guardia costiera libica e ricondotto verso il Paese, continuano a riportare le Ong. Supportando, più o meno esplicitamente, questi respingimenti i governi europei stanno consentendo il protrarsi di un ciclo di sfruttamento, torture, violenze sessuali e detenzioni arbitrarie.

Per questo motivo, Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranee chiedono nuovamente agli Stati membri dell'Unione europea di garantire un sistema di ricerca e soccorso (Sar) in mare che sia adeguato e competente, in modo da evitare inutili naufragi che finiscono spesso in morti e dispersi, di porre fine alle politiche punitive nei confronti delle Ong che forniscono assistenza nel Mar Mediterraneo, un compito che hanno fatto loro proprio in quanto manca un sistema intergovernativo che se ne occupi, di mettere un punto al supporto che si sta attualmente verificando rispetto alle dinamiche di respingimenti forzati verso la Libia, e di istituire sistemi di sbarco sostenibili e affidabili, che offrano un luogo sicuro ai migranti, con servizi appropriati che consentano a queste persone di fare richiesta di asilo.

La replica del Viminale ai dati

Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha commentato i dati delle Ong da una diretta Facebook: "Facciamo finta che siano buoni, anche se ho più di un dubbio che siano dati reali", ha affermato, "ma anche prendendoli per buoni, significa la metà rispetto all’anno precedente, meno di un terzo rispetto al 2017 e meno di un quinto rispetto al 2016, quando erano cinquemila in un anno. Sono orgoglioso di aver salvato migliaia di vite umane. Hanno certificato che porti chiusi vuol dire vite salve". I numeri dei morti in mare sono spesso stati oggetto di controversie, dovute al fatto che il dato reale non viene contestualizzato rispetto ad altri fattori. Questo punto è il nodo centrale di un allarme lanciato anche dalle Nazioni Unite qualche settimana fa: l'Onu ha confrontato i primi quattro mesi del 2018 e del 2019 sottolineando che, anche se sono diminuite le vittime assolute, in rapporto agli arrivi, i morti in mare sono in aumento.

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