A Limbadi se litighi con i parenti del boss, uno di quei litigi tra vicini che si consumano ogni giorno in ogni angolo d'Italia, salti in aria con una bomba nel bagagliaio della tua auto come nelle zone di guerra e finisci morto ammazzato. Matteo Vinci è morto ieri (e suo padre Francesco versa in gravi condizioni) e le prime indagini confermano i sospetti degli inquirenti nei confronti di Rosaria Mancuso (sorella di Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego, capi dell'omonima cosca di ‘ndrangheta che controlla la zona) e di suo marito Domenico Di Grillo, 71 anni, arrestato stamattina dopo che in una perquisizione nella sua abitazione è stato ritrovato un fucile di provenienza illegale e quarantesei cartucce.
Lo scorso ottobre padre e figlio ebbero già una lite con i Mancuso proprio in prossimità del luogo dell'omicidio: dal 2014 tra i Vinci e Mancuso è in atto una lite giudiziaria per alcuni terreni confinanti e proprio i contrasti di vicinato sono l'ipotesi al vaglio in queste ore dai carabinieri coordinati dai maggiori Dario Solito e Valerio Palmieri. «In questi anni abbiamo subito soprusi di ogni genere da parte della famiglia Mancuso, che voleva a tutti costi un nostro terreno confinante con il loro. Lottiamo da anni per difendere quelli che sono i nostri diritti. Ma queste persone sono inferiori a noi e non meritano niente», ha dichiarato in un'intervista al TG1 Rosaria Scarpulla, madre di Matteo e moglie di Francesco Vinci. Parole chiare, nette, in una terra in cui abbassare la testa contro la famiglia del boss è troppo spesso la regole per vivere e sopravvivere. Rosaria prende il coraggio dal lutto ma in fondo dice qualcosa che andrebbe tenuto bene in mente: non esiste giustizia sociale lì dove i diritti vengono inquinati dalla prepotenza e dal terrore. Non esiste democrazia (né senso dello Stato) se qualcuno può sentirsi talmente impunito da tornare a usare le bombe per compiere un delitto.
E proprio sull'utilizzo di una vendetta tanto eclatante, insieme alla modalità di innesco, si stanno concentrando i rilievi delle forze dell'ordine. La Dda di Catanzaro, che ha assunto la titolarità dell'inchiesta, deve capire per quale motivo si sia preferito il clamore di un ordigno esplosivo piuttosto che un semplice agguato portando Limbadi sulle prime pagine nazionali.
La vedova Rosaria Scarpulla invece ha le idee chiare: «Noi – ha aggiunto la donna – non cederemo mai e non abbiamo paura. Ed a questo punto lo faremo anche per onorare la memoria di mio figlio Matteo». E forse anche per la memoria antimafiosa di un Paese intero.