Il 26 aprile del 2007 Doina Matei litigò con Vanessa Russo in metropolitana. Non si conoscevano, ci fu un diverbio a cui seguirono alcuni spintoni e infine un'ombrello conficcato dalla Matei nell'occhio della Russo. Vanessa morì dopo un giorno di coma, a 23 anni. Per quell'omicidio venne arrestata la ventunenne Doina Matei, che resasi conto di ciò che aveva realmente commesso, provò a scappare insieme all'amica minorenne con cui si trovava quel giorno. Seguirono le condanne, confermate dall'ultimo grado in Cassazione nel 2010: 16 anni di galera per omicidio preterintenzionale. Ieri l'improvviso scoop del Messaggero, che trova il profilo Facebook della Matei – sotto pseudonimo per non farsi riconoscere – e pubblica alcune foto in cui si vede che dopo soli 9 anni la pena in carcere sembra aver lasciato il posto al regime di semilibertà.
Numerosi gli articoli di ripresa della notizia, la maggior parte di essi conclude con una tesi che appare più simile a una sentenza morale che a una chiusa giornalistica: nonostante la Matei avesse detto anni prima di volersi completamente ritirare a vita privata una volta scontata la condanna, sembra invece si stia ben godendo la vita. Scoppia la polemica, comprensibilmente. I giornali quindi dipingono il fatto come fosse un vero e proprio scandalo giudiziario, dimenticando però di raccontare, o meglio di porre l'accento su uno dei dettagli davvero rilevante di tutta questa vicenda: la Matei ha riportato una condanna a 16 anni per omicidio preterintenzionale, non volontario.
La differenza tra i due capi d'accusa è tecnicamente e giuridicamente abissale: nel preterintenzionale si suppone che la morte della vittima sia avvenuta come conseguenza di una condotta violenta commessa, ovvero percosse o lesioni personali. Insomma, comminando quel tipo di condanna i giudici avevano di fatto escluso la volontarietà di uccidere, ma al tempo stesso anche che l'omicidio potesse essere colposo, ovvero privo di colpa, perché comunque era stata una reazione violenta della Matei a cagionare la morte della Russo, non un evento completamente involontario.
Doina Matei, inoltre, al momento del reato risultava essere incensurata e questo elemento pesa quando si va a calcolare lo sconto di pena a cui ha diritto un condannato. Sconti di pena validi per molti carcerati, per effetto di quella che oggi è conosciuta come Legge Gozzini, ovvero quel provvedimento approvato nel 1986 e che determina tutta una serie di condizioni previste affinché ogni condannato possa usufruire, con il passare del tempo, di sconti e regimi carcerari meno repressivi. Lo scopo di questa legge fortemente voluta dall'allora parlamentare Mario Gozzini è semplice: secondo l'articolo 27 della nostra Costituzione, la pena detentiva non dovrebbe in alcun modo e per nessun motivo violare i diritti umani dei detenuti e per questo motivo l'introduzione di tutta una serie di riduzioni alla restrizione di libertà personali avrebbe non solo riequilibrato l'idea di regime carcerario dell'epoca, ma anche e soprattutto avrebbe reso la detenzione del condannato un vero e proprio percorso riabilitativo, non semplicemente punitivo.
La Legge Gozzini quindi concede, a tutti i condannati che durante il periodo di detenzione dimostrino una buona condotta e di aver avviato un serio cammino di rieducazione, alcune possibilità: si va dai permessi premio, per un massimo di 45 giorni e autorizzati da un giudice di sorveglianza, gli arresti domiciliari, la libertà vigilata, la libertà anticipata, l'affidamento ai servizi sociali e il regime di semilibertà. E proprio di quest'ultimo gode Doina Matei, il che non significa che c'è un'assassina a piede libero in Italia, come molti tra le righe hanno sostenuto, ma semplicemente che sta scontando la sua pena passando parte della propria giornata all'esterno dell'istituto penitenziario per lavorare. Infatti la Matei di giorno lavora in una cooperativa e di sera invece torna a dormire nel carcere di Venezia.
Come spiega su Facebook Rita Bernardini – ex deputata ed ex segretaria di Radicali Italiani che, insieme al senatore Luigi Manconi aiutò la Matei a mantenere i contatti con i due figli piccoli, l'indignazione per il regime di semilibertà di cui sembra stia godendo la ragazza non avrebbe senso di esistere. Riportando il commento che scrisse all'epoca dei fatti, ricorda:
"Temo che la conferma della condanna a 16 anni di reclusione nei confronti di Doina Matei sia il frutto della demagogia, della speculazione politica e del clima mediatico che hanno alimentato questa triste vicenda fin dal principio. Chiunque sappia di diritto, ma soprattutto chiunque abbia buon senso e sia in buona fede, sa che condanne così pesanti emesse nei confronti di una persona incensurata accusata di omicidio preterintenzionale non hanno precedenti. Doina Matei paga più di altri perché era una prostituta, e per di più rumena. A chi ha espresso viva soddisfazione per la sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione ricordo che le "pene esemplari", prese sotto la spinta dell’emotività pubblica, non fanno altro che aggiungere ingiustizia all’ingiustizia di chi è rimasta vittima come la povera Vanessa.