Alla vigilia del voto delle Camere sul successore di Giorgio Napolitano a regnare sono prudenza ed incertezza. La prudenza è quella dei partiti, impegnati in lunghe ed estenuanti trattative affidate ai soliti pontieri, e dei "candidati in pectore", costretti ad interpretare indiscrezioni, voci di corridoio ed endorsement di diverso tipo. Del resto, che la situazione sia più fluida che mai è considerazione condivisa. Così come appare pacifico che l'onere della scelta sia esclusivamente sulle spalle del centrosinistra e soprattutto del segretario del Pd. Bersani infatti arriva all'appuntamento con il Colle nella maniera peggiore possibile: con un partito diviso e sull'orlo della spaccatura, con crepe evidenti anche tra i suoi fedelissimi e con un bivio cruciale, dal quale dipende paradossalmente anche il futuro del Pd. Da una parte l'offerta politica di Silvio Berlusconi (un nome condiviso, anche del Pd, ma che non produca "divisioni all'interno del Paese"), dall'altra la mezza (ma proprio mezza) apertura di Beppe Grillo, che gli esegeti democratici stanno ancora cercando di decriptare ed interpretare.
Un bivio che porta su strade divergenti, anche in vista della formazione del nuovo Governo e del futuro prossimo del Paese. Strade che conducono a nomi più o meno noti e con quotazioni variabili a seconda dell'utima indiscrezione o "lettura fra le righe" di dichiarazioni, commenti e via discorrendo. Se in effetti il Partito Democratico dovesse scegliere di impostare concretamente un dialogo con il centrodestra, accettando la proposta di Berlusconi e gettando le basi per un esecutivo delle larghe intese (anche se, come ripetono da settimane dalle parti del Nazareno, "le due cose non sono collegate"), la rosa dei nomi si restringerebbe drasticamente. In pole sempre Giuliano Amato, che otterrebbe senza problemi il via libera dai berlusconiani e con buona probabilità anche il consenso dei centristi; in seconda battuta la coppia Anna Finocchiaro – Franco Marini, opzioni ancora validissime nonostante la bocciatura senza appello di Matteo Renzi; in coda, ancora in campo le candidature di Luciano Violante e Massimo D'Alema, sul quale non è escluso che si arrivi a puntare dopo il primo scrutinio (e la conta "rituale").
In alternativa radicale a questa prospettiva, c'è l'ipotesi di una convergenza dei voti del centrosinistra su un nome "gradito" al Movimento 5 Stelle. Se non la Gabanelli, allora Rodotà, che resta la candidatura più "pesante" espressa dall'area grillina e condivisa da molti parlamentari del centrosinistra. Al di là di cosa accadrà dopo (e i democratici sanno di non potersi fidare della mezza apertura di Grillo), si tratterebbe di un forte segnale di discontinuità al Paese. In questo scenario, però, potrebbero trovare posto anche altre candidature, solo apparentemente "saltate". Si tratta di Romano Prodi, che dopo la terza votazione potrebbe essere "proposto" dai democratici ed incontrare anche il favore di un gruppo di parlamentari a 5 Stelle (va detto che al centrosinistra mancano pochi voti per l'autosufficienza) e di Emma Bonino, che in caso di stallo prolungato potrebbe tornare ad avere qualche chance di elezione.
Infine, la comunicazione di Bersani sembra sia stata "limitata" ai nomi di Franco Marini, Giuliano Amato e Sergio Mattarella. Quest'ultimo addirittura è dato tra i favoriti, potendo vantare sul benestare del centrodestra e dal prestigio derivante dalla sua posizione di giudice Costituzionale.
C'è ovviamente la terza strada, che risponde all'esigenza del centrosinistra di eviotare di "forzare la mano" e allo stesso tempo di non cedere alle lusinghe del centrodestra. Un nome di garanzia, una personalità non proveniente dal mondo della politica che incontri la stima delle altre formazioni "tradizionali" e l'opposizione "morbida" del Movimento 5 Stelle. Come anticipato dai retroscenisti, la carta segreta di Bersani si chiama Sabino Cassese, giudice costituzionale non "sgradito" a Berlusconi e ai montiani. Solo in seconda battuta, potrebbero invece tornare in corsa Paola Severino e Anna Maria Cancellieri.