E’ inizio anno, gli Italiani hanno solitamente cotechino e lenticchie che ancora gli escono dagli occhi, i giornali tornano in edicola dopo un paio di giorni di pausa in cui nessuno o quasi ha sentito la loro mancanza e in borsa non girano notizie o quasi. Si direbbe il tempo ideale per un’allegra scampagnata fuoriporta ed infatti il clima sui pochi mercati finanziari aperti (tra cui quello italiano, mentre Tokyo, Shanghai, Londra, Zurigo e New York recuperano la festività di Capodanno caduta di domenica, tanto per smentire il luogo comune che sono gli italiani a non voler mai lavorare…) è più che positivo, anzi quasi euforico, tanto che se qualcuno fosse stato un poco distratto farebbe fatica a capire come mai gli indici di Piazza Affari siano riusciti a bruciare un quarto del proprio valore nel corso dell’ultimo anno, rappresentando solo più un quinto del Pil italiano contro il 27% di fine 2010 (contro una sostanziale stabilità degli indici di Wall Street e cali inferiori alla metà del calo italiano per Francoforte o Parigi e attorno ad un quarto della variazione di Milano per Londra e Zurigo).
Non illudetevi amici lettori: quando sul mercato girano pochi soldi i prezzi assumono una valenza del tutto secondaria, tanto più a fronte della sostanziale assenza di indicazioni macroeconomiche (il solo dato significativo pubblicato oggi era l’indice Pmi manifatturiero per l’Eurozona, ma si trattava del dato definitivo che ha solo confermato quanto già emerso con la stima provvisoria di fine dicembre apparendo in linea con le attese e confermando per il quinto mese consecutivo una contrazione dell’attività produttiva in Europa) e di qualsivoglia novità sul fronte della crisi del credito europeo.
Ma proprio la crisi del credito e le sue conseguenze per il settore bancario continueranno a condizionare i mercati secondo l’unanimità degli esperti che ho avuto modo di contattare in questi giorni (come gli economisti Marco Fortis o Marco Onado) e quindi la prudenza resta d’obbligo tanto per chi possa e voglia investire sul mercato azionario quanto per chi preferisca rimanere ancorato agli “una volta tranquilli” titoli di stato (che oggi hanno visto accentuarsi la divaricazione tra il rendimento dei titoli a breve termine, col Btp a due anni che ha chiuso la giornata con un rendimento attorno al 4,693% dal 5,117% di venerdì, mentre sul titolo decennale si è scesi al 6,916% dal precedente 7,108%).
Se non altro la robusta iniezione di liquidità da parte della Bce (che ricordo ha “regalato” quasi 500 miliardi di euro a tre anni al tasso fisso dell’1% alle banche europee in grado di portare garanzie adeguate, ossia titoli di stato e bond subordinati spesso emessi in tutta fretta pochi giorni o settimane, quotati e interamente ricomprati dalle banche emittenti per avere carta da utilizzare allo scopo di cui sopra) sta facendo scendere i tassi sul monetario, il che per ora va bene a tutti. Va bene alle banche che così riescono ad effettuare operazioni di “carry trade” con cui si indebitano a tassi molto bassi e investono a tassi più elevati (tipicamente titoli di stato a breve termine, ad esempio Bot italiani che rendono tuttora attorno al 3,25%), ma va bene anche a chi si è indebitato a lungo termine uno o due anni fa (perchè riuscire a sottoscriverli ora è impresa non propriamente semplice, specie se non siete un lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato) a tasso variabile con mutui indirizzati all’Euribor, perché nel frattempo l’Euribor è ridisceso all’ 1,343% a tre mesi ovvero all’1,606% a sei mesi (tassi solitamente presi alla base del calcolo dei tassi sui mutui).
Come detto tuttavia in pochi credono che solo attraverso strumenti di liquidità possa risolversi una crisi del credito, ossia di fiducia. Per recuperare la fiducia del mercato, è il concetto espresso tante volte da vari osservatori tra cui lo stesso Fortis, chi deve fare sacrifici li deve fare punto e basta. Il ragionamento non farebbe una grinza, così come non farebbe una grinza la richiesta che a pagare non siano sempre i soliti e quindi il governo accompagni le misure di “rigore draconiano” con norme tese a combattere l’evasione. Ho purtroppo imparato da anni a diffidare del “comune buon senso” quando lo vedo scritto sui giornali italiani specie se esce dalla bocca di politici, imprenditori e intermediari finanziari, tutti (legittimamente) portatori di interessi di parte anche quando parlano del “bene comune”, così vorrei farvi notare alcune piccole ma significative incongruenze che proprio in questi giorni rischiano di passare sotto silenzio.
Prima incongruenza: perché le banche si trovano in crisi? Perché in alcuni casi (specialmente le grandi banche americane, inglesi, tedesche e francesi) hanno spinto troppo sulla leva dell’ingegneria finanziaria. Si sono ingolosite per i profitti stratosferici a breve termine che gli strumenti derivati sono in grado di procurare trascurando (per ammissione del top management di Ubs un paio d’anni or sono) di monitorare l’andamento dei rischi sottostanti. Davvero? Voi credete che banchieri che prendono milioni di euro di bonus ogni anno siano così ingenui da “trascurare” i rischi che fanno correre alla propria banca e alla sua clientela per cercare di aumentare i profitti cui sono legati i propri bonus stra-milionari? Liberi di crederlo, io ho dei dubbi. In altri casi (soprattutto le banche italiane) alla disinvoltura o scarsa abilità nel “maneggiare con cura” gli strumenti derivati di cui sopra si sono aggiunte esempi di mala gestione “ordinaria”. Chi ha suggerito alle maggiori banche italiane di prestare centinaia di milioni a immobiliaristi come Zunino, Coppola, Ricucci, piuttosto che Caltagirone o alle immobiliari legate ai Pesenti, ai Ligresti o anche ai Del Vecchio (Beni Stabili)? Chi o cosa ha portato Mediobanca e UniCredit a scommettere l’una un miliardo di finanziamenti, l’altra 180 milioni di euro circa per rilevare poco meno del 7% di Fondiaria-Sai, scommesse rivelatesi alquanto poco fortunate a usare un eufemismo?
Seconda piccola incongruenza: parlando di Fondiaria-Sai, com’è possibile che il 30 agosto presentando i risultati della semestrale l’amministratore delegato Emanuele Erbetta abbia confermato gli obiettivi indicati a febbraio in circa 55 milioni di euro di utile netto a fine anno e il 23 dicembre si sia invece arrivati a prevedere una perdita netta attorno ai 925 milioni di euro, dopo “adeguamenti delle riserve sinistri Rami Danni” per 660 milioni di euro circa, svalutazioni del portafoglio azionario e obbligazionario per 350 milioni di euro e del portafoglio immobiliare per 165 milioni nonché svalutazione di avviamenti per circa 120 milioni di euro? C’era del marcio in Danimarca, anzi nei bilanci del secondo gruppo assicurativo italiano e nessuno dei suoi manager né dei suoi creditori se n’era mai accorto o è stato solo il destino cinico e baro e la volatilità dei mercati a fare un tale sfacelo?
Terza e ultima incongruenza: che senso ha far transitare attraverso bonifici, assegni o carta di credito ogni movimento (dagli acquisti agli accrediti di pensioni e stipendi) superiore ai mille euro? Serve a migliorare la capacità di contrastare il “nero”, si dice. Sarà, ma a voi di solito i baristi battono ogni singolo scontrino? E i ristoratori? O i parrucchieri, i benzinai, i negozi di abbigliamento, gli alimentari, le edicole? E ovviamente tutti i dentisti, gli ingegneri, i tassisti e i commercialisti, piuttosto che avvocati e notai vi rilasciano ricevuta fiscale delle proprie prestazioni, anche se inferiori ai mille euro, vero? L’anno nuovo, insomma, non mi pare stia portando con sé molte novità sostanziali rispetto al 2011, quindi non facciamoci troppe illusioni, il peggio economicamente e finanziariamente parlando non è alle spalle, è solo dietro l’angolo: “estote parati”.