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Ti taglio lo stipendio e poi ti licenzio: la grande beffa dei lavoratori Almaviva

3.000 licenziati fra i lavoratori che hanno già rinunciato a parte dello stipendio e che ora si ritroverebbero senza ammortizzatori sociali.
A cura di Michele Azzu
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La domanda che sorge spontanea, a chi conosce bene la vicenda vissuta dai lavoratori del call center Almaviva è: come diavolo è stato possibile?

Dopo anni di proteste, manifestazioni e occupazioni, di lettere a Giorgio Napolitano, discorsi al primo maggio, e alla fine un accordo durissimo che tre anni fa tagliava gli stipendi già miseri di una categoria che lavora soprattutto part-time…

… com’è possibile che dopo tutto questo siano bastati meno di 3 anni per andare nuovamente a finire nei licenziamenti? Pochi giorni fa, infatti, l’azienda di call center ha dichiarato di voler procedere a 3.000 licenziamenti: 1.670 a Palermo, 400 a Napoli e 918 a Roma. Una vera e propria strage, causata, secondo quanto riportato dall’azienda, dalle continue gare al ribasso del settore che hanno ormai azzerato i profitti.

In cui i salari sono ormai ai minimi, e in cui vige ormai sovrana la regola della delocalizzazione. Secondo quanto riporta il segretario Uilcom siciliano, Giuseppe Tumminia, i margini di ricavo dell’azienda sarebbero a Palermo del 9.6% a fronte di un obiettivo minimo del 21%. La Cisl, invece, riporta il dato di un milione di euro al mese in perdite per l’azienda.

Insomma, i numeri parlerebbero chiaro. Eppure viene da chiedersi come sia possibile che queste aziende di call center che lavorano spesso per grandi aziende – Poste, Alitalia, Eni, Enel, Wind e Vodafone fra i tanti – possano trovarsi costrette a dover chiudere i battenti. Soprattutto in una vertenza come Almaviva, dove di accordi ed impegni ce ne sono stati già tanti. E ora quei lavoratori, dopo anni di proteste che avevano loro permesso di tenersi stretto il lavoro, si ritroveranno licenziati e senza neanche ammortizzatori sociali. Perché Almaviva non li ha richiesti.

Un fatto vergognoso, se si pensa ai termini dell’ultimo accordo, raggiunto nel 2013, che aveva permesso di salvare baracca e burattini. Quell’accordo durissimo, infatti, salvava l’azienda dai 2.000 esuberi annunciati nel 2012, mentre reintegrava i 632 dipendenti del punto romano di via Lamaro, precedentemente sospesi dal lavoro. Il prezzo di quel salvataggio, però, era stato altissimo ed era interamente ricaduto sulle spalle dei lavoratori: si introducevano i contratti di solidarietà,e si tagliavano gli stipendi già risicati di circa 50 euro per dipendente.

“Parliamo per la maggior parte di lavoratori part-time di terzo livello che guadagnano, bene che vada, 650 euro al mese”, spiegava Salvo Montevago della Cisal Comunicazione di Catania al sito L’isola dei cassintegrati. “Decurtare 50 euro da una busta paga così misera significa non poter sfamare i propri figli”. Lo schema realizzato dal sindacato illustra quanto i lavoratori Almaviva abbiano già pagato per poter mantenere in piedi l’azienda. In quell’accordo, inoltre, si introduceva la “smonetizzazione della domenica”, ovvero chi lavora la domenica non ha più avuto maggiorazioni sullo stipendio.

Questi numeri certificano un fatto: con queste cifre è stato impossibile mettere da parte qualche soldo per i dipendenti Almaviva. E venire licenziati, ora, senza neanche il paradute di un ammortizzatore sociale, significa venire lasciati in mezzo a una strada. A Palermo, dove l’azienda vuole licenziare 1.670 persone ci sono state diverse manifestazioni, e il sindaco Leoluca Orlando ha richiamato il governo a quella che si appresta ad essere un dramma sociale, simile a quanto accaduto a Termini Imerese con Fiat. Il ministro del lavoro Poletti ha richiamato Almaviva.

Ma il dramma dei lavoratori Almaviva è solo parte di quanto sta accadendo nel settore dei call center. Ecco cosa scrivevano lo scorso gennaio le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil all’attenzione della Presidenza del Consiglio: “La concorrenza distorta nel settore dei call center sta causando una crisi sempre più profonda. Questo è visibile in particolare nel sistema dei cambi di appalto, che rovescia sui lavoratori e sulla spesa pubblica i cambi di commessa, con gravi crisi sociali”.

I problemi secondo i sindacati confederali sarebbero tre:

  • La delocalizzazione delle attività verso paesi con un costo del lavoro inferiore
  • L’utilizzo improprio degli incentivi alle assunzioni previste dalla legge di Stabilità
  • La stipula di contratti commerciali che non definiscono i volumi delle attività in maniera certa, introducendo di fatto la prestazione a cottimo

Insomma, fra delocalizzazioni, gare al ribasso e cottimo mascherato, ormai la situazione è insostenibile. Non è un caso che solo pochi giorni fa abbia suscitato indignazione il caso del call center di Taranto che paga un euro all’ora. Ma anche nel caso di Almaviva sembra difficile poter pensare a una soluzione senza un forte intervento da parte del governo, perché gli stipendi già tagliati sono ormai poco lontani dalle cifre di un tirocinio universitario.

Non si potrà intervenire ulteriormente sui salari, già ampiamente colpiti: “La storia è sempre la stessa come avviene da un po’ di anni a questa parte”, commentava all’ultimo accordo il sindacalista Montevago, “L’azienda dichiara degli esuberi sulla carta, quindi sulla base di queste dichiarazioni si costruisce un impianto di accordo. Sempre peggiorativo per i lavoratori”.

Ecco, questo non potrà accadere ancora una volta, perché scendere addirittura sotto i 600 euro al mese per part-time non è umanamente sostenibile. Soprattutto se poi ci si ritrova con la prospettiva di essere licenziati senza ammortizzatori sociali, mentre per anni con questi salari non si è potuto mettere da parte nulla, e mentre si mantiene una famiglia.

Su Facebook i lavoratori manifestano tutta la loro rabbia verso un’azienda per cui hanno dato tutto, rinunciando a buona parte dei propri salari, e che meno di tre anni ancora li vuole licenziare. “Poveri noi”, commenta Giovanni del punto napoletano. “La cosa più grave è non poter dare un futuro ai nostri figli”, commenta una collega. Mentre da tutta Italia arrivano le foto col cartello. “Io sono Almaviva Contact”. La palla, a questo punto, passa al governo.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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