Thailandia: come sono finiti lì e perché i ragazzi non riescono ad uscire dalla grotta
Un lieto fine insperato. Una gioia però subito smorzata dalla consapevolezza che sarà un’impresa salvare i dodici ragazzi e il loro allenatore bloccati nella grotta di Tham Luang, in Thailandia. Ci vorrà del tempo e non sarà facile. Le autorità sono state chiare: potrebbero volerci giorni, se non addirittura settimane o “mesi” per portarli tutti fuori dal budello invaso dalle acque. Il quotidiano britannico The Guardian e la Bbc hanno contatto vari esperti che hanno spiegato perché la situazione è così complessa.
Come sono finiti nelle grotte in Thailandia
I giovani calciatori, fra gli 11 e i 16 anni, e il loro allenatore erano nella grotta di Tham Luang dal 23 giugno. A bloccarli sono state le forti piogge monsoniche. Le gite in quelle grotte turistiche non sono consigliate nel periodo dei monsoni, proprio per l’imprevedibilità di quello che è uno degli eventi atmosferici più devastanti del pianeta. Secondo il Bangkok Post, dopo una partita nel nord della Thailandia la squadra si è avventurata in una escursione improvvisata, e un acquazzone li ha bloccati dentro la grotta, lunga oltre 10 chilometri. Per giorni non si è avuto notizia di loro e alle ricerche hanno partecipato soccorritori da tutto il mondo compresi cinesi e americani. Li hanno trovati in una zona rimasta asciutta semisvenuti. Ma vivi. Dopo averli nutriti, gli speleosubacquei hanno provveduto ad evitare che l’acqua entrasse dirottando alcuni torrentelli e svuotando la grotta con pompe. Purtroppo uno di questi sub ha perso la vita ieri, 5 luglio. Si chiamava Saman Poonan, 37 anni, incursore a riposo dei Navy Seals thailandesi: è rimasto senza ossigeno nel passaggio fra due camere della grotta. Un evento che fa ben intendere quando difficile sia l’operazione di salvataggio.
Quali sono le opzioni per portare fuori i ragazzi?
Tutto dipende dalle piogge monsoniche nelle prossime settimane, ha spiegato Anmar Mirza, coordinatore della Commissione Usa per il salvataggio nelle caverne. Portare tutti fuori attraverso l’immersione è l’opzione più pericolosa, ma anche la più rapida. Mirza spiega che la questione più importante è “sono al sicuro nella caverna anche se l’acqua continua a salire?”. Se sono al sicuro, la scelta migliore potrebbe essere di “far arrivare loro rifornimenti in modo da garantirne la sopravvivenza”. Questo finché non si troveranno soluzioni migliori. Uno dei problemi principali è il fatto che “nessuno dei giovani sa nuotare”, spiega Butch Hendricks, sommozzatore veterano e presidente della società Usa Lifeguard Systems. “Se nei cunicoli si verifica un problema, ci sarà uno stallo ed è questione di vita o di morte” ha detto Hendricks, secondo cui è possibile creare una catena tra i soccorritori che si passerebbero i ragazzi l’un l’altro. Complicato. In tal senso basti pensare che i sommozzatori della marina tailandese, tre super esperti britannici e militari Usa intervenuti hanno impiegato sei ore per raggiungere il luogo dove si trovano i ragazzi, passando per cunicoli strettissimi invasi da fango e detriti, mentre le pompe per svuotare la caverna sono in funzione 24 ore al giorno. Peter Wolf, direttore della Cave Divers Association of Australia, ritiene che la scelta migliore sia di “lasciarli dove sono e di stabilizzare l’ambiente in modo che i loro bisogni primari siano soddisfatti”.
Altra ipotesi: sfondare la roccia
Le autorità sul posto hanno ipotizzato di praticare fori nelle pareti della grotta per drenare parte dell'acqua. Ma si è subito intuito che il problema, in questo caso, è lo spessore della roccia. Problema che persisterebbe anche nel caso in cui la perforazione possa servire per creare una via di uscita per i ragazzi intrappolati. Per una soluzione simile però, evidenziano ancora gli esperti, è necessario portare nella zona pesanti attrezzature di perforazione, utili a sfondare la roccia. E in questa situazione, arrivare vicino alla cavità è molto difficile. Inoltre prima di iniziare, ha spiegato Mirza, occorre preparare una mappa dettagliata della caverne, che si estendono per dieci chilometri nel sottosuolo, in modo da individuare il posto giusto in cui scavare.
Quanto ci vorrà per portarli in salvo?
Lo stesso Mirza ammette che potrebbero volerci da pochi giorni a poche settimane a due o tre mesi. Dipenderà dal percorso scelto. Secondo Hendricks la prima persona potrebbe uscire dalla grotta nel “giro di cinque-sette giorni”. Nella migliore delle ipotesi l’intero gruppo potrebbe rivedere la luce entro “due settimane”. Per Wolf i tempi dell’operazione dipendono da quanto potrà scendere il livello delle acque, sia naturalmente sia meccanicamente.
Quali sono i rischi?
Mirza è di nuovo categorico: scegliere l’immersione potrebbe rappresentare un rischio enorme sia per il soccorritore sia per la persona salvata. “Se si trasporta una persona non addestrata si rischia la morte di entrambi”, dice. I sommozzatori potrebbero non riuscire a far passare l’attrezzatura. Hendricks dice che i cunicoli strettissimi implicano che i sommozzatori in alcuni punti devono togliere l’attrezzatura, farla passare avanti e poi rimetterla. Secondo Wolf la visibilità è un altro fattore di rischio da non sottovalutare. Probabilmente è vicina allo zero e i subacquei devono procedere a tentoni. I soccorritori dovranno tendere funi guida per segnare il percorso.