Come si fa a far ripartire un’economia che da quasi 20 anni non dà segni di vita come quella italiana e che, con colpevole ritardo, il governo in carica ammette anche quest’anno non vedrà il Pil salire dello 0,8% (come si sperava ancora ad aprile, ma poi l’effetto-bonus avrebbe dovuto secondo alcune dichiarazioni del premier Matteo Renzi far sperare in un risultato anche migliore, magari più vicino all’1% che allo 0,5%) ma calare dello 0,3%, secondo quanto annunciato ieri sera parlando della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def) che andrà ora presentato in Parlamento e che prevede anche per il 2015 una crescita piccina picciò (+0,6% contro il +1,3% indicato ad aprile), tanto che a pensar male e a pronosticare che anche l’anno prossimo sarà difficile per l’Italia uscire dalla recessione si potrà forse venir tacciati per “gufi”, ma si rischia di non andar troppo distante dalla realtà?
Ma signora mia, che domande, basta usare “i soldi di Draghi”. Sempre sperando che Mario Draghi, presidente della Bce, annunci già il 2 ottobre da Napoli che la Bce inizierà a comprare a tutta forza 350-400 miliardi di Abs (Asset backed securities, ossia crediti cartolarizzati) dalle principali banche europee e che alla prossima Tltro di dicembre le stesse banche, avendo chiaro quanto sia più o meno conveniente consegnare tali titoli all’uno o all’altro programma, possano aumentare le richieste rispetto alla prima tornata di settembre che ha portato nelle casse degli istituti italiani solo 23 dei 37 miliardi previsti, a fronte di appena 82,6 miliardi erogati complessivamente (mentre ci si attendevano richieste per 100-150 miliardi).
Ma come “precisevolmente” si possono utilizzare tali fondi, per evitare che portata la liquidità alle banche queste non la trasferiscano alle imprese o, ancora peggio, le imprese (disfattiste e asociali!) non la richiedano per gioiosi “e progressivi” investimenti a fronte di un mercato che resta, in Italia come in Europa, in profonda crisi da domanda esacerbata dal ritmo troppo violento imposto dalla Germania ad un risanamento fiscale che pure resta doveroso ma andrebbe graduato per tener conto del ciclo economico e non esacerbarne gli effetti negativi? Oh suvvia signora mia, un poco di fantasia: si utilizzeranno per far sì che le aziende “liberino” il 50% del Tfr (fondo di trattamento di fine rapporto, ossia la liquidazione) che ogni mese viene trattenuto dalla busta paga dei propri dipendenti, semplice no?
Con miracoloso e già preannunciato effetto “raddoppio-bonus” visto che potrebbero entrare nelle tasche dei lavoratori dipendenti (che in Italia sono sempre meno, ma che ci volete fare signora mia, è la vita), secondo calcoli dello stesso Renzi, un centinaio di euro che sommati ai famosi 80 euro (lordi) farebbero “una bella sommetta” ovviamente da spendere subito perché “del doman non v’è certezza” come già pronosticava Lorenzo “il magnifico” De Medici, che già a metà del 1400 doveva aver capito come sarebbe andata a finire. Tutto chiaro e così bello che è un peccato farsi venire dubbi, ciò nonostante provo a fare il grillo parlante e a esplicitare qualche dubbio legittimo sull'intera manovra.
Anzitutto come potranno le banche, cui fino a ieri la Bce e l’European banking autorithy coi loro stress test e le loro Asset quality review, per evitare il ripetersi di un "bis" del 2009, hanno chiesto di stringere il credito (fatto), aumentare il capitale (fatto) e ridurre gli attivi patrimoniali (fatto) in particolare riducendo gli asset più a rischio (ancora da fare perché la distanza tra quanto sono disposti a pagare gli investitori, in media tra il 5% e l’8% degli asset stessi a seconda di quanto siano più o meno in “sofferenza” e quanto sperano di ottenere le banche è ancora ampia), concedere prestito a un’azienda sia pure per il nobile scopo di anticipare ai propri dipendenti il 50% della futura liquidazione, se non vi saranno garanzie sufficienti che l’azienda stessa, visti i chiari di luna attuali, non fallisca in futuro? Vorrà dire che “qualcuno” se ne dovrà fare carico: che si fa, si tira a sorte se tocca al Tesoro, alla Cassa Depositi e Prestiti o a qualche fondo interbancario intervenire? Sperando ovviamente che Berlino non bacchetti subito gli scolari indisciplinati.
E se il 50% del Tfr verrà così erogato, non ci sarà qualche problemuccio per quanto riguarda l’Inps e le stesse aziende, visto che il gettito dell’accantonamento a Tfr è attorno ai 2 miliardi di euro al mese, ossia circa 25 miliardi di euro l’anno (attenzione: cifra scritta sulla sabbia visto che con le norme del Jobs Act, che renderanno più flessibile il lavoro, potrebbe esserci una ulteriore contrazione della base lavorativa e quindi dei flussi di Tfr), di cui poco più di 5 miliardi finisce nei fondi pensione individuali o di categoria e dei 20 rimanenti 16 fanno riferimento a Pmi con meno di 50 dipendenti che in realtà utilizzano tali fondi come fonte di liquidità a breve e solo 6 da imprese con oltre 50 dipendenti che versano ogni mese i contributi all’Inps?
Dimezzare questi flussi vuol dire fa mancare, ceteris paribus, 3 miliardi ogni anno all’Inps e 8 miliardi con cui le Pmi provano (anche) a fare innovazione e a restare sul mercato. Chi li coprirebbe, visto che se li mettesse lo stato (anche solo per coprire il possibile deficit dell'Inps) aumenterebbe il deficit (già visto salire al 3% quest’anno e restare al 2,9% anziché al 2,2% “tendenziale” per poter liberare 11 miliardi di risorse con cui provare a sostenere, non si sa bene come, la crescita) e il debito pubblico (che ora il governo vede salire al 131,6% del Pil a fine anno e al 133,4% l’anno prossimo)? Ma suvvia, non facciamo i disfattisti: si dice che le ore più buie della notte siano quelle che precedono l’alba e dunque siamo coraggiosi, al limite pagheranno i pensionati, naturalmente quelli "d'oro" e tutto si risolverà.
Beh, coraggiosi sì ma non fessi: a prescindere dall'eventuale manovra previdenziale, quanto si pagherebbe sui flussi di Tfr così “liberati” su cui è al momento prevista una tassazione agevolata inferiore alle aliquote marginali Irpef? Perché immagino che se dovessimo subire un maggiore prelievo fiscale “grazie” a questa favolosa riforma strutturale, il sospetto che tutto questo serva solo a coprire un ulteriore pesante incremento del carico fiscale già oggi a livelli soffocanti dovrebbe per lo meno venirci. Domandina finale ad uso del nostro premier Matteo Renzi e dei suoi ministri: ma a questo punto non sarebbe valsa la pena provare a ridurre le tasse e offrire incentivi, anche a tempo, per chi volesse investire in Italia sperando in una ripresa della domanda e dunque in maggiori flussi vuoi di Tfr vuoi di entrate fiscali con cui sostenere i costi di una vera riforma della spesa pubblica che svecchiasse il paese culturalmente ed economicamente?