35 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Tassi: cosa cambia il giorno dopo il rialzo della Federal Reserve

Col rialzo dei tassi ufficiali sul dollaro deciso dalla Federal Reserve si chiude in America l’era del denaro a costo zero. Non sarà la fine del mondo, ma per alcuni soggetti e paesi la strada inizia a farsi più in salita…
A cura di Luca Spoldi
35 CONDIVISIONI

Immagine

La Federal Reserve alza i tassi: l’era del denaro a costo zero” è ufficialmente terminata da poco meno di 24 ore, ma le reazioni dei mercati sono tutto sommato di sollievo come spesso avviene ad un evento a lungo temuto ma proprio per questo ampiamente scontato nei prezzi. Il bello, o il brutto a seconda dei casi, deve tuttavia ancora venire perché ora c’è da capire come si muoverà la banca centrale americana nei prossimi trimestri. I segnali mandati ieri da Janet Yellen sono stati in verità molto in linea con le attese del mercato: il rialzo sarà graduale, spalmato nel tempo, correlato alla tenuta degli indicatori macroeconomici.

Il rischio che dopo aver tenuto i tassi a zero per sette anni gli Usa li alzassero rapidamente pare rientrato, insomma. Anche per questo, come ricorda Alessandro Fugnoli nel suo “Il Rosso e il Nero”, “nonostante tutto l’eccezionalismo sui tempi nuovi e sulla stagnazione secolare che ci affligge, la reazione dei mercati all’inaugurazione della stagione dei rialzi non è stata finora così diversa da quella dei cicli passati e delle generazioni precedenti”, visto che la storia insegna che l’avvio di un ciclo di rialzo dei tassi, come quello di fronte a cui ci troviamo, non comporta cataclismi generalizzati (chi incassa in dollari e si indebita in euro potrebbe anzi guadagnarci nel breve periodo), semmai pone fine ai rialzi indiscriminati e spesso ingiustificati.

In questo senso a rischiare di più sono, negli Usa e non solo, le startup dell’ultima ora dai business più improbabili, le aziende che sono sopravvissute alla crisi della domanda solo grazie al continuo taglio dei costi e alla rinegoziazione dei propri debiti, i bond “lower tier 2”, o subordinati che dir si voglia, quelli ad alto rendimento (e rischio), le economie nazionali che non hanno saputo approfittare della fase di tassi sui minimi per ristrutturarsi, quelle emergenti pesantemente indebitate in dollari. In mezzo ogni volta finisce qualche “innocente” che solo per il timore di sorprese negative si ritrova pesantemente deprezzato.

Come ricorda ancora Fugnolialcuni fondi chiusi di junk bond trattano a sconti che sono arrivati fino al 20% sul patrimonio investito, già svalutato di suo”. Per il momento la rete di protezione stesa da mesi dalle altre banche centrali, Bce in testa, ha risparmiato i titoli di stato di paesi sviluppati ma con ratios ancora pesantemente sbilanciati come l’Italia, che così ha ancora del tempo davanti a sé per cercare di ristrutturare i propri conti e la propria economia, ora che un minimo di ripresa, per quanto debole e incerta, sembra in via di consolidamento (essendosi dimostrato contro produttivo, ma non c’erano al riguardo dubbi, cercare di “ristrutturare sotto le bombe” dell’austerity e contemporaneamente della crisi banco-sovrana).

Quali sono i soggetti che restano maggiormente a rischio nel nostro “bel paese”? Le banche in primis, quelle di minori dimensioni che si sospetta possano avere situazioni patrimoniali maggiormente compromesse (ne esistono almeno una quindicina), ma anche quelle di media e medio-grande dimensione che sono tuttora convalescenti dopo l’emersione di situazioni di crisi come nel caso di Mps o Banca Carige. Con 199 miliardi di sofferenze lorde a fine ottobre (contro i 200,4 miliardi toccati a fine settembre, ma anche contro i 179,4 miliardi di un anno prima), pari al 10,4% del totale dei crediti erogati non potrebbe che essere così. Ma se sono a rischio le banche sono a rischio anche una parte delle aziende affidate.

E chi ha contratto un debito a lungo termine, finanziamento o mutuo che sia? Se lo ha contratto a tasso fisso ha ben poco da temere, se lo ha contratto a tasso variabile può ugualmente dormire sonni tranquilli ancora per almeno un altro anno. La Federal Reserve per prima ha ammesso che i tassi cresceranno più lentamente di quanto previsto finora, probabilmente “spalmando” l’intero ciclo rialzista su ben tre anni, dal 2016 al 2018. Il mercato non aspetterà di vederne la fine per iniziare a far risalire a sua volta il costo del credito, ma con la Bce che ha guadagnato implicitamente ulteriore terreno per proseguire la sua politica ultraespansiva non ci dovrebbero essere problemi almeno per tutto il 2016.

35 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views