I Berloni passano la mano (alla famiglia fondatrice resta una piccola quota del 6% del capitale dello storico produttore di cucine, dopo aver ceduto il 44% ad Intermedia ed il 50% ai cinesi di Hcg)? Novi Cioccolato parlerà turco (dopo che la famiglia Averna ha ceduto la società ai turchi di Toksoz)? Loro Piana e Pomellato Gioielli, dovranno imparare a parlare francese (essendo stati rilevati rispettivamente da Lvmh, che ha anche conquistato, “en passant”, il Bar Cova, nel centro del “quadrilatero” della moda-lusso di Milano, e da Kering)?
Se un investitore estero decide di puntare decine se non centinaia di milioni di euro (o anche qualche miliardo) per rilevare marchi e attività del “made in Italy” viene il sospetto che al di là della crisi attuale le prospettive per queste attività restino positive e che il problema delle difficoltà attuali sia da ricercare in una carenza del modello capitalistico italiano, non solo ricco di relazioni più che di capitali ma probabilmente rimasto culturalmente legato a un mondo che va sparendo, complice una “classe dirigente” che in gran parte è tra le più scadenti al mondo, sia a livello politico sia economico e creditizio.
Così fa piacere notare che le eccezioni esistono e che le “eccellenze” italiane, ogni tanto, restano in Italia, almeno sino al prossimo giro. E’ il caso dei piumini Moncler, il cui sbarco a Piazza Affari, per reperire capitali con cui espandere ulteriormente le vendite all’estero (e sfuggire così alla crisi del mercato domestico), più volte “annunciata” gli anni passati ma mai concretizzatasi, potrebbe avvenire verso fine anno o a inizio del 2014, dopo che oggi Tamburi Investment Partners, attraverso la controllata Clubsette, ha annunciato l’acquisizione di una quota del 14% di Ruffini Partecipazioni Srl, società dello stilista Remo Ruffini a cui fa capo il 32% del capitale di Moncler, in cambio di 103 milioni di euro.
Facciamo due conti: la valutazione implicita accettata da Giovanni Tamburi, che certo non è uno sprovveduto, si aggira attorno ai 2,3 miliardi di euro per l’intero capitale di Monclar: niente male, se si pensa che nel 2011 la banca d’affari francese Eurazeo aveva accettato una valutazione implicita di 1,2 miliardi, pari a 12 volte il Margine operativo lordo, pur di aggiudicarsi il 45% del capitale della società. Sorride più di tutti Marco De Benedetti: il figlio dell’”Ingegnere” ed ex numero uno di Tim, dal 2005 a capo delle attività italiane del fondo Carlyle, nel 2008 aveva inizialmente rilevato il 48% di Monclar valutando l’azienda nel suo complesso 220 milioni di euro. Da allora ha accettato prima di scendere di peso (attualmente è al 17,75%, mentre Brands partner II ha il 5% e i manager il restante 0,25%) a favore di Eurazeo per una valutazione implicita di 5,45 volte superiore i prezzi pagati, ora può sperare di vedere uno sbarco del titolo sul listino a valori attorno a 10 volte quanto investito solo cinque anni or sono.
Ma le novità di oggi fanno sorridere anche la banca francese Lazard e la boutique di advisory del banchiere d’affari Claudio Costamagna che il mese scorso si erano viste conferire un mandato per avviare le attività propedeutiche al collocamento e che potranno cercare investitori portando la valutazione accettata da Tamburi come base di partenza di ogni trattativa sul prezzo. A questo punto è probabile che le banche non si tireranno indietro e, se non succederà qualche temporale imprevisto sullo scenario politico o macroeconomico italiano, l’operazione possa andare in porto nei prossimi 3-6 mesi.
Per assurdo, ma non troppo, proprio il “risiko” ripartito nel settore del lusso in questi mesi ha finito con l’infiammare le valutazioni dei più bei nomi del comparto, basta vedere le performance borsistiche di Brunello Cucinelli (+85% circa rispetto a un anno fa), Salvatore Ferragamo (+60% negli ultimi 12 mesi) o Tod’s (+70% nell’ultimo anno), che hanno in quest’ultimo anno saputo ignorare totalmente la crisi politico-economica italiana. Segno quest’ultimo che una via d’uscita può esserci, a patto come già detto di saper investire, innovarsi continuamente, trovare nuovi mercati di sbocco.
Di fare, cioè, impresa, trovando la forza di superare i noti limiti del “modello Italia”, sempre sperando che prima o poi anche il governo e le parti sociali, accanto a partiti, movimenti e lobbies di ogni genere e tipo, trovino il tempo di fare qualche riforma strutturale che ricostituisca le condizioni minime per fare impresa con profitto (e con prospettive per il futuro) in Italia, ossia per tornare a vedere una crescita economica sostenibile. Altrimenti anche il Tesoro, che oggi in una nota segnala il buon andamento nel primo semestre dell’anno delle entrate fiscali, arrivate a 197.029 milioni di euro, con una crescita del 3,1% (+5.898 milioni di euro) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente trainata dalle imposte dirette (+8,7%, ossia +8.804 milioni di euro) a fronte di un calo del 3,2% (-2.906 milioni di euro) delle imposte indirette e dell’1,9% (-126 milioni di euro) delle entrate relative ai giochi, avrà poco di che sorridere nei prossimi trimestri.
Anche perché nonostante la sbandierata “efficacia dell’azione di contrasto all’evasione”, le entrate tributarie derivanti dall’attività di accertamento e controllo nel periodo sono risultate pari a 3.655 milioni di euro, con una crescita di 329 milioni di euro (pari, è vero, ad un +9,9% su base annua, ma pur sempre un diciassettesimo dell’incremento delle imposte dirette nello stesso periodo). Il che significa che non basterà il bastone per far tornare a crescere l’economia, occorrerà anche qualche zuccherino: a Monclar glielo ha portato un intermediario finanziario come Tamburi Investment Partners, chi vorrà portarne ad altre “eccellenze” italiane?