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Opinioni

Tagliare le pensioni “d’oro” servirà a rilanciare la crescita?

Si avvicina settembre e c’è sempre più aria di “manovrone” in stile fantozziano. Nel mirino le pensioni d’oro, ma il rischio che il gettito sia molto inferiore alle attese è alto. Così non è da escludere il varo di riforme “dettate” dalla Troika. In mancanza di crescita molte altre alternative (se si esclude un default sovrano) non ce ne sono, del resto…
A cura di Luca Spoldi
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Intervenire sulle pensioni elevate per sostenere l’occupazione e favorire la crescita. L’idea di per sé sembrerebbe interessante e nell’ottica di una maggiore equità sociale. Ma non è detto che sia così e che sia una misura realmente in grado di portare ad un gettito significativo, dunque di avere un qualche senso economico. Facciamo due calcoli. Gli ultimi dati Inps al 2014 mostrano come l’ente eroghi oltre 18,152 milioni di pensioni a vario titolo, il cui importo medio è poco più di 815 euro al mese. I più “ricchi” sono circa 743 mila pensionati che ricevono pensioni da fondi sostitutivi (l’importo medio è di circa 1.700 euro al mese) e poco più di 18.300 persone che rievono l’assegno da fondi integrativi (importo medio di 1574 euro al mese), seguiti dai pensionati che ricevono il proprio assegno dal Fondo lavoratori dipendenti (oltre 9,2 milioni di persone per un importo medio mensile appena superiore ai mille euro). Tutti gli altri ricevono in media meno di mille euro al mese, ben distante dall’importo di cui si discute in questi giorni (3.500 euro netti mensili). Scovare “pensionati d'oro” rischia dunque di essere un'operazione molto aleatoria, almeno quanto a numeri assoluti, mentre il problema di base, ossia che già a fine 2007 in Italia esistevano 70 pensionati ogni 100 lavoratori attivi (e dubito la situazione sia di molto migliorata in questi ultimi anni), rimarrà irrisolto dipendendo più dall'evoluzione demografica del Paese che non da volontà politica o formule economiche.

Il che mi fa sospettare che quando Stefano Fassina, ex vice ministro dell’Economia nel governo Letta, afferma di temere che “ci sia poca consapevolezza dell'effettivo ammontare che si potrebbe raccogliere” ricordando come anche con il governo Letta avesse messo un contributo di solidarietà significativo su quelle molto alte, “ma il gettito è stato qualche decina di milioni” sappia quel di cui parla molto di più di coloro che ipotizzano questa ennesima manovra e tentano di rappresentarla come un modo equo di sostenere l’occupazione (il problema è legato non solo agli “esodati”, periodicamente “riscoperti” dai governi, ma anche all’esaurirsi delle risorse per la cassa integrazione in deroga). Il rischio concreto è che alla fine si raccolga poco dopo aver molto polemizzato senza risolvere alcun problema concreto. Ci sono alternative? Sempre le solite che da tempo segnalo: una è sempre più vicina, il commissariamento de facto dell’Italia da parte degli euro burocrati della “troika”.

Ipotesi che sembra non dispiacere ai nostri governanti, e si può ben capire il perché in quanto consentirebbe di invocare l’ennesimo stato di “eccezionale necessità” per scaricare ogni costo politico di tale operazione. Se le riforme dettate dalla troika funzionassero il governo potrebbe rivendicare il “coraggio” di averle varate, se non funzionassero (come da più parti si teme, anche se dipenderà dal tipo e dall’ordine in cui tali riforme verranno varate e da come nel concreto verranno eseguite) si potrà sempre incolpare la “cattiva” troika per averle così sciaguratamente imposte. L’altra ipotesi, il “manovrone” in stile fantozziano, potrebbe alla fine verificarsi ed essere propagandato come il “male minore” (e pure necessario), ma in un’intervista il leader della Cisl, Raffaele Bonanno (senza peraltro minimamente accennare agli errori compiuti dai sindacati in questi anni), fa presto ad alzare il velo dell’illusione notando come sia iniquo continuare a insistere con manovre che rischiano di aumentare la tensione sociale senza prima aver portato sino in fondo (o aver neppure avuto il coraggio di tentare) una spending review autentica e pure decisa su quelli che sono i costi della politica, ossia non tanto le “auto blu” o il numero dei senatori a vita, quanto una decisa ristrutturazione della spesa di municipalizzate, aziende delle partecipazioni statali ed enti territoriali.

Doveva essere questa una delle grandi novità dell’era Renzi, la riforma della PAsenza guardare in faccia nessuno” che consentisse di riportare sotto controllo (riducendola ed efficientandola) la spesa pubblica, ma l’impresa è ardua perché va a toccare clientele e “mandarinati” ben radicati nel tessuto sociale e nella rappresentanza politica di questo paese. Così anche da questo fronte si rischia che molto sia il fumo e poco l’arrosto (sempre che qualche pezzo di arrosto alla fine compaia). In assenza di riforme strutturali della PA e di una crescita che resta inesistente, colpita da una deflazione che è figlia di una “cura letale” che già ha atterrato Grecia, Portogallo e Spagna e rischia di atterrare anche l’Italia e forse persino la Francia, proprio nel momento in cui la “locomotiva” tedesca ha delle difficoltà legate principalmente ai contraccolpi della crisi russo-ucraina (ma non solo), la vera alternativa alla cessione di sovranità con tutto quel che ne conseguirà sarebbe un default sovrano. Ma questa, come insegnano già i casi sia “spontanei” (Argentina) sia “pilotati” (Grecia) non è un’alternativa migliore né sotto il profilo dell’equità né dei costi complessivi (e neppure del tempo necessario a riprendersi da tale manovra).

Così non ci resta, ancora, che sperare che Mario Draghi riesca ad estrarre dal cilindro della Bce l’ennesimo coniglio con cui non solo rassicurare i mercati (che resteranno calmi sinché la politica monetaria europea, ma anche quella giapponese e in buona misura americana, resteranno ultra rilassate) ma anche diradare qualche incertezza sul futuro così da consentire una ripresa degli investimenti senza i quali è difficile francamente sperare in un rilancio economico (a sua volta condizione indispensabile, ma da sola non sufficiente, sia per evitare un default sul debito sovrano sia per riassorbire la disoccupazione). Un colpo al cerchio delle riforme, un colpo alla botte dei mercati, non è detto che il destino dell’Italia sia quello di rimanere perennemente in uno stato di recessione o di stagnazione. Il rischio tuttavia è molto forte in questo senso, almeno sinché non ci sarà piena consapevolezza che se non rinnoveremo la nostra cultura (economica e non), tornando a inventarci prodotti e servizi vincenti, facendo leva sulle nostre competenze e specialità, promuovendo adeguatamente i nostri asset strategici, a partire dai nostri giacimenti enogastronomici, paesaggistici, storico-culturali e turistici, sarà difficile uscire da questo stato di crisi strisciante perenne.

Con un ultimo caveat, se permettete: parlando con alcuni ragazzi e ragazze croate in questi giorni mi è stato fatto notare che anche in Croazia e nel resto dell’Est Europa la crisi si avverte eccome rispetto a pochi anni or sono, con una disoccupazione o sotto occupazione (specialmente giovanile) crescente e con salari in calo (vi ricorda qualcosa?). Tiene il turismo, ma di turismo la maggior parte delle località riesce a vivere solo alcuni mesi l’anno, restando irrisolto il problema di come garantire una occupazione e un reddito alla popolazione attiva nei restanti mesi dell’anno. Per di più il turismo se porta reddito ad alcuni, aumenta il costo di beni e servizi per tutti nei mesi di più forte affluenza turistica. Pro e contro che andrebbero valutati prima di scegliere che modello di sviluppo seguire per rilanciare il “Bel Paese”, onde non doversi ritrovare a recriminare sugli errori (nuovamente) commessi da qui a pochi anni. Sempre che un rilancio si manifesti, ovviamente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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