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Suicidi nelle carceri: dall’inizio dell’anno, 8 detenuti si sono tolti la vita

Aumentano i casi di suicidio in carcere: questa mattina un detenuto si è impiccato a Milano. Il Sappe denuncia le condizioni critiche, dal sovraffollamento alla carenza di medici e psicologi.
A cura di Carmine Della Pia
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suicidi in carcere

Dall'inizio del 2012 sono già 8 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere: uno ogni sei giorni, in media. Questa mattina, l’ultimo caso: un 58enne suicidatosi nel carcere milanese di Opera. L’uomo era stato condannato all’ergastolo e all’isolamento diurno per gli omicidi di tre prostitute, delitti compiuti in Toscana nel 2003. La sua prima condanna risaliva al 1979 per un delitto commesso l’anno prima al velodromo di Vigorelli: aveva ucciso un “ragazzo di vita” diciottenne. Il Sappe, Sindacato di polizia penitenziaria, ha espresso preoccupazione per il fenomeno: “Ci lascia sgomenti il dato diffuso dall’inizio dell’anno, così come il numero degli operatori penitenziari che periodicamente si tolgono la vita”. Per quanto riguarda l’ultima osservazione, è da ricordare il suicidio di un assistente Capo di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere romano di Rebibbia. Il segretario Generale Donato Capece ha affermato: “Se non fosse per la professionalità, l'attenzione e il senso del dovere dei poliziotti penitenziari, le morti per suicidio sarebbero molte di più di quelle attuali”.

Carceri italiane, condizioni preoccupanti – Il Sappe loda l’azione degli agenti che, nonostante il numero elevato di suicidi, “hanno impedito a 10.000 detenuti di togliersi la vita, impedendo che gli oltre 66mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. Oltre al sovraffollamento, uno dei problemi maggiori delle carceri italiane è rappresentato dall’ingente “carenza di poliziotti ed educatori, di psicologi e personale medico specializzato, unita al sovraffollamento delle carceri italiane, temi che si dibattono da tempo senza soluzione”. Capece sottolinea, infine, una serie di scelte sbagliate inerenti “il passaggio della sanità penitenziaria al servizio nazionale pubblico", cui sono seguiti "problemi all’assistenza anche psicologica ai detenuti”. Casi di suicidi e autolesionismo sarebbero crescenti anche per la mancanza di professionisti, dato che “in seguito a queste scelte, si deve chiedere agli agenti di accollarsi anche la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l'eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti”.

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