Ponticelli, periferia napoletana, 1983. Le scuole sono chiuse qualche settimana, le pagelle sono state consegnate, i grembiuli candidi e le coccarde dalle tinte vivaci sono stati riposti con gioia nel baule, in naftalina, in attesa della ripresa delle lezioni del nuovo anno. I bambini possono divertirsi a giocare tra i palazzi alti decine di metri nel popoloso quartiere ai confini della zona vesuviana, le madri e le nonne li guardano a vista dai balconi e li richiamano con fragorose grida quando è pronto da mangiare. Il conto alla rovescia per le vacanze al mare è già iniziato e con incontenibile entusiasmo, i ragazzi depennano ogni giorno una data dal calendario. Barbara, sette anni e Nunzia, 10, sono vicine di casa, sono amiche inseparabili, giocano insieme tutti i giorni nonostante la differenza d'età.
Il 2 luglio è domenica, una domenica noiosa e asfissiante nel quartiere troppo lontano dal mare. Intorno alle 19 le due piccole si avviano lungo via delle Madonnelle insieme. In mano una busta con delle merendine sui visetti innocenti la gioia di una passeggiata che spezza la monotonia. Doveva unirsi a loro anche una terza amichetta, ma all'ultimo momento la nonna non le ha dato il permesso di uscire. "Ci aspetta Tarzan tutto lentiggini, vieni anche tu?", le avevano detto. Nunzia e Barbara salgono su una Fiat Cinquecento blu, aveva un fanale rotto e la scritta “vendesi”, presumibilmente con Tarzan, che poi è un tale Gino, o almeno così sembra. A vederle allontanarsi in auto è l'amica Antonella.
Alle 21 le piccole non sono ancora rientrate, è strano, molto strano. Pur nella tranquillità di quel quartiere popolato da famiglie, non è normale che due bambine così piccole non rincasino per la cena. I genitori le cercano ovunque, disperati, spaventati, ma delle piccole nessuna traccia, per tutta la notte. Una notte fuori significa che è successo qualcosa. L'indomani, alle 12, una segnalazione richiama le forze dell'ordine su via Argine, nel rione Incis. Sul greto del fiume Pollena ci sono due corpicini semicarbonizzati, l’uno sopra l’altro. È quello che resta di Nunzia e Barbara.
Due famiglie sono annientate, il rione è sconvolto per sempre e per di più, c'è un mostro che cammina libero fra la gente. Peggio, molto peggio, il mostro potrebbe essere uno di loro, un insospettabile padre di famiglia, un commerciante, un vicino di casa. Il primo a essere interrogato è un venditore ambulante, sorpreso in flagrante diverse volte, mentre molestava sessualmente bambini e bambine. ‘Atti di libidine' violenta, li chiamava l'ordinamento giudiziario italiano. Oggi si chiamano ‘abusi sessuali'.
È lui, Luigino detto Gino, proprietario di una cinquecento blu che fa rottamare in fretta e furia prima che possano esaminarla, ‘Tarzan tutte lentiggini'? Per sua stessa ammissione Gino è avvezzo a "compiere atti abnormi (atti osceni nei luoghi dove io mi porto a bordo dell’auto nei confronti di persone di sesso femminile ed in particolare bambine)”. Agli inquirenti racconta diversi episodi di molestie:
…Una prima volta sotto i fumi dell’alcool portatomi sotto il ponte ho avvicinato una bambina che dopo averla afferrata l’ho baciata sulla guancia e, nel contempo estraevo il membro, masturbandomi… […] ricordo ancora che in un’altra circostanza e sempre nelle medesimi condizioni dopo aver raggiunto il sopramenzionato ponte ho tentato ma invano, di adescare altri bambini per soddisfare le mie voglie sessuali…
Anche il suo alibi è smentito dalla moglie, che ne colloca l'arrivo a casa dopo le 21, eppure l'ambulante viene rilasciato. Nella storia spunta fuori il nome di tale Vincenzo Esposito, un giovane che un giorno prima di quella domenica era stato visto da Ernesto Anzovino, un ragazzino del posto, chiacchierare insieme a Barbara e Nunzia. Anche la posizione di Esposito viene archiviata. Tre anni dopo Luigi, fratello di Ernesto, arrestato per aver violentato e accoltellato la sorella di 18 anni, si suicida lanciandosi nel vuoto.
Sotto il peso di quella tragedia la madre di Barbara, Mirella Grotta Sellini si rivolge al presidente della Repubblica. Quella mamma con il cuore spezzato chiede a Sandro Pertini di fare giustizia sulla morte della sua povera bimba: pochi giorni dopo si chiudono le indagini. È il fratello maggiore della piccola Antonella, con la sua testimonianza, a imprimere una svolta all'inchiesta indicando tre giovani come gli orchi assassini delle amichette. Sono tre giovani incensurati tra i 18 e i 21 anni Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo.L'accusa è di averle stuprate, seviziate con un coltello a serramanico e poi date alle fiamme abbandonando i corpi nel canalone di Ponticelli. Aniello Schiavo e Andrea Formisano, vengono invece accusati di favoreggiamento.
Carmine Mastrillo accusa, ma ritratta, poi torna ad accusare. La sua testimonianza è tutt'altro che limpida. Secondo il giovane i tre ragazzi avrebbero rapite le piccole e le avrebbero uccise tra le 19 e 30 e le 20 e 30, quando lo avrebbero raggiunto in una discoteca di Volla (dove nessun altro li ha visti) per raccontargli l'accaduto. Un tempo molto breve per compiere la violenza, il duplice omicidio e occultare i corpi. A suffragio di questa tesi spunta la testimonianza di Salvatore la Rocca, fratello di Giuseppe, che conferma quanto detto da Mastrillo, ma poi parla di una ‘camera delle torture' nella caserma Pastrengo, di terribile minacce degli investigatori che lo avrebbero gettato in un pozzo se non avesse firmato una confessione già scritta.
Il processo di svolge su basi puramente indiziare e senza alcuna prova. Non esistono tracce biologiche delle vittime nelle auto dei presunti assassini, i quali – non solo avrebbero rapito, stuprato, ucciso e occultato due cadaveri in meno di un'ora – ma avrebbero anche ripulito i propri vestiti dal sangue delle vittime per presentarsi perfettamente vestiti alla discoteca ‘Eco Club' di Volla. Nonostante la tesi accusatoria si basi unicamente su due testimonianze controverse, i tre gradi di giudizio condannano gli imputati all'ergastolo.
Sono passati 37 anni da questa orrenda storia. Il cemento ha ricoperto il letto dell'antico dell'antico fiume Pollena, oggi al suo posto si vede uno stradone sovrastato da un viadotto. La revisione del processo per la morte di Barbara e Nunzia è stata chiesta e negata per tre volte. Imperante, La Rocca e Schiavo, la cui innocenza è stata sostenuta anche dall'ex giudice antimafia, Ferdinando Imposimato, hanno dichiarato di aver chiesto la revisione – rinunciando a qualsiasi eventuale richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione – per due soli motivi: ripulire il proprio nome da quel orrendo marchio d'infamia e mettere le manette a un mostro che cammina ancora in mezzo ai bambini.