Perché nel mondo ci sono ancora 73 milioni di bambine che non possono andare a scuola
Settembre è tra i mesi più odiati dagli studenti italiani, che devono tornare sui banchi di scuola dopo le vacanze estive: sveglia presto, colloqui con insegnanti esigenti, compiti a casa, interrogazioni e chi più ne ha più ne metta. Eppure, quello che per molti è un incubo, per milioni di bambini in tutto il mondo è un vero e proprio sogno. Più precisamente, per 120 milioni di minori, a cui è negato il diritto all’istruzione. Di questi, la maggior parte, circa il 60 per cento, sono femmine, di età compresa tra i 7 e i 16 anni. E, a dispetto di quanto si possa pensare, questa vera e propria piaga sociale ha conseguenze devastanti sul futuro di tutta la comunità mondiale.
La mappa dei luoghi dove c’è la situazione più difficile
Dei 120 milioni di bambini che non frequentano le scuole, il 40 per cento vive nei paesi meno sviluppati e il 20 per cento in zone di conflitto. Se si dovesse tracciare una mappa dei luoghi in cui l’istruzione è negata soprattutto alle bambine, l’Africa Sub-sahariana avrebbe un ruolo di primo piano: la situazione più drammatica si registra in Somalia, dove il 98% delle ragazze tra i 7 e i 16 anni non va a scuola. Anche il Niger non scherza, con il suo 78%, seguito da Liberia, Mali, Burkina Faso e Guinea, dove due minorenni su tre non hanno mai messo piede in un’aula scolastica. Anche in Asia è emergenza, soprattutto in Pakistan, Yemen, Iraq e Siria dove le precarie situazioni politiche ed economiche si traducono in divieti per i più piccoli di conoscere, giocare e vivere la propria infanzia.
Povertà e guerre: le cause dell’istruzione negata alle bambine
Le cause di questo fenomeno sono molteplici. Oltre al costo della scuola, che in molti Paesi non solo non è gratis ma risulta insostenibile per le famiglie più povere, c’è di certo un problema di discriminazione di genere. Per questo, per le femmine andare a scuola è ancora più difficile che per i coetanei di sesso maschile. Alcune non sono neppure state registrate all’anagrafe al momento della nascita. Di conseguenza diventa impossibile essere ammesse nel sistema educativo nazionale. Per non parlare del diffuso fenomeno delle spose bambine: matrimoni e gravidanze precoci, quasi sempre combinate dalle famiglie, costringono le minori a rinchiudersi in casa e a badare alle faccende domestiche, sottomesse a padri e mariti. Tra i motivi per cui la famiglia può preferire che una bambina non vada a scuola vi sono anche preoccupazioni per la sua sicurezza, se ad esempio il tragitto per raggiungere l’istituto è troppo impervio, o per l'onorabilità familiare, nel caso in cui manchino insegnanti donne o non ci siano nelle scuole servizi igienici separati.
Le conseguenze: analfabetismo e povertà vanno a braccetto
Analfabetismo fa rima con povertà, che è allo stesso tempo causa e conseguenza delle centinaia di migliaia di bambine che non frequentano la scuola. Senza un’adeguata istruzione non possono conoscere né rivendicare i propri diritti. Per non parlare dell’impossibilità di trovare un lavoro senza un adeguato grado di istruzione. Eppure, basterebbe qualche anno tra i banchi e sui libri per migliorare la loro condizione: non si sposerebbero più in tenera età, avrebbero famiglie meno numerose e figli più sani, perché sarebbero in grado di proteggerli dalle malattie, dalla malnutrizione e dallo sfruttamento sessuale. Ma i vantaggi sarebbero per tutti: se soltanto andasse a scuola l’1% in più delle bambine nel mondo, l’economia globale crescerebbe dello 0,3%.
Tutti possono contribuire a mettere fine a questa ingiustizia
L’analfabetismo, dunque, causa povertà, malnutrizione e sfruttamento. Tutti, però, possono fare qualcosa per mettere la parole fine a questa situazione che influisce negativamente sulla vita di tutti. Come? Adottando a distanza con ActionAid una delle tante bambine che in Africa, Asia e America Latina sono costrette a vivere quotidianamente questa profonda ingiustizia. Bastano solo 82 centesimi al giorno: più istruzione per le bambine, un mondo migliore per tutti.