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L’economia circolare per il futuro dell’Italia
Un nuovo modello di crescita per le imprese e di rispetto per l’ambiente è possibile.
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Dall’economia lineare a quella circolare, all’insegna del risparmio

Da sempre siamo stati abituati a pensare che le risorse a disposizione del Pianeta fossero illimitate. Prendiamo le materie prime, le usiamo per realizzare dei prodotti che acquistiamo e utilizziamo, e che poi gettiamo via senza pensarci. Qualche numero? Soltanto nell’Unione europea si usano ogni anno oltre 15 tonnellate di materiali a persona, generando in media 4,5 tonnellate di rifiuti ciascuno, che finiscono nelle nostre discariche inquinando l’ambiente.

“Sfruttamento” è la parola che meglio definisce questo modello produttivo, che però è destinato a fallire. Col tempo, infatti, abbiamo imparato che le risorse, e i materiali, non sono infinite e si è trovata una soluzione alternativa, incentrata sullo sviluppo sostenibile e sull’innovazione di processi, prodotti e modalità di consumo: l’economia circolare.

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Parole d’ordine: riutilizzo e rigenerazione 

Secondo la definizione che ne dà Ellen MacArthur Foundation, l’economia circolare è un sistema pensato per rigenerarsi da solo, attraverso i materiali biologici, reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. In altre parole, i prodotti di scarto e le materie prime, invece di essere gettate via e di essere ridotte a mero rifiuto, vengono riutilizzate per creare nuovo valore.

Il ciclo produttivo che ne deriva è dunque profondamente diverso rispetto a quello precedente: i riflettori sono puntati sull’intera filiera e non solo sul prodotto finale. Per la competitività delle imprese è importante non solo quanto viene venduto sul mercato ma come si realizza ciò che arriva tra le mani dei consumatori, con vantaggi per l’ambiente, la salute delle persone e l’economia stessa.

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Più competitività e meno spreco: i vantaggi del nuovo modello

Dal punto di vista delle imprese, che si trovano al timone del passaggio a questo nuovo modello di crescita, aumenta la resilienza e la competitività, oltre a consentire una minore dipendenza dai vincoli delle risorse. Ciò si traduce in una maggiore attenzione all’innovazione e alla sperimentazione tecnologica, che a loro volta producono occupazione e abbattimento dei costi di produzione.

Ma a beneficarne è anche lo stile di vita dei cittadini, più attenti a coltivare abitudini virtuose, volte a non sprecare e a non inquinare l’ambiente circostante. Per non parlare dei ricavi in termini economici: secondo gli esperti, una transazione completa all’economia circolare, potrebbe far risparmiare all’Unione europea circa duemila miliardi di euro entro il 2030, con un aumento del Pil del 7% e la creazione di 3 milioni di nuovi posto di lavoro.

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Italia circolare: a che punto siamo

In fatto di economia circolare l’Italia è tra i leader europei. Stando agli ultimi dati Eurostat, il nostro Paese è quello con la quota maggiore di materia circolare, cioè materia prima seconda, impegnata nel sistema produttivo: quasi un quinto del totale, circa il 18,5%, davanti alla Germania e dopo soltanto alla Gran Bretagna. Inoltre, siamo secondi per riciclo industriale, con 48,5 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi avviati a recupero, il che si traduce in un risparmio di energia primaria di 17 milioni di tonnellate, equivalenti di petrolio all’anno, e di emissioni.

Bene anche l’occupazione. Secondo un’indagine condotta dal Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Padova insieme a Legambiente e presentata alla quinta edizione di Ecoforum, il 52% delle imprese italiane ha dichiarato di aver incrementato il numero di posti di lavoro grazie all’adozione di pratiche di economia circolare e alla gestione più efficiente delle risorse, con l’assunzione di nuove figure professionali e la formazione di nuove competenze legate all’ambito dell’industria 4.0.

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Clima, energia e occupazione per la crescita delle nuove generazioni

A farla da padrone nel delicato e graduale passaggio all’economia circolare sono soprattutto le aziende leader nel comparto dell’energia, che per decenni hanno permesso al mondo di crescere, ma in modo sbagliato, provocando l’aumento delle emissioni nell’atmosfera e dell’inquinamento climatico. Sono state, però, anche le prime a comprendere l’urgenza di accettare la sfida di questo nuovo modello produttivo: creare ricchezza e occupazione, cercando al contempo di salvare il pianeta, garantendo la protezione dell’ambiente e il minimo impatto delle attività umane.

Un esempio su tutti è dato da Eni: dopo aver abbattuto drasticamente la componente carbonica delle proprie attività, l’azienda del cane a sei zampe ha incrementato la ricerca scientifica e la digitalizzazione dei processi per realizzare soluzioni in grado di contribuire a ridurre del 20% le emissioni di CO2 entro il 2030, a minimizzare gli sprechi attraverso il recupero degli scarti urbani e industriali, e a favorire l’utilizzo di fonti energetiche più pulite con l’applicazione di tecnologie avanzate. Dunque, un nuovo modello di sviluppo è possibile e la strada è stata già indicata, basta solo saperne cogliere le opportunità.

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