Strage del bus in Irpinia: difettose anche le barriere di protezione
Un altro capitolo si apre sulla drammatica vicenda dell'autobus precipitato da un viadotto lungo l'autostrada Napoli – Canosa, nei pressi di Monteforte Irpino, lo scorso 28 luglio. Nella perizia, depositata in Procura, si legge che "lo stato di degrado dei tirafondi (gli ancoraggi delle barriere di protezione) è la causa principale del fatto che la barriera non è stata in grado di contenere il veicolo". L'incidente provocò la morte di 40 persone.
Da due mesi sotto inchiesta due funzionari della Motorizzazione Civile
Un paio di mesi sono finiti sotto inchiesta anche due funzionari della Motorizzazione Civile di Napoli, che avrebbero manomesso i computer dell'ente per certificare l’idoneità alla circolazione e al trasporto di persone del Volvo bus immatricolato per la prima volta nel 1995, reimmatricolato nel 2008 e revisionato nel marzo 2013, pochi mesi prima dell’incidente. La Procura era arrivata ai due dopo l’acquisizione di una serie di documenti presso il Ministero dei Trasporti e gli uffici della Motorizzazione di Napoli. La perizia sui resti dell’autobus precipitato nel viadotto ha rivelato che il mezzo aveva il sistema frenante completamente fuori uso, tranciato dalla rottura dell’impianto di trasmissione.
Nove gli indagati per la strage
I nomi dei due dipendenti della Motorizzazione erano andati ad aggiungersi a quelli di altre sette indagati: il numero uno dell’agenzia “Mondo Travel” Gennaro Lametta, che noleggiò il mezzo al gruppo di turisti partito da Pozzuoli per una gita di tre giorni prima a Telese e poi a Pietrelcina; Ciro Lametta, fratello dell’ autista morto nell’incidente ma formalmente accusato di omicidio colposo e disastro colposo assieme al direttore del tronco autostradale Michele Renzi e al responsabile della manutenzione Antonio Sorrentino.