Giornata di grancassa per i titoli finanziari del vecchio continente e quelli italiani in particolare, tanto che dopo un avvio in rialzo Piazza Affari chiude in calo di quasi 4 punti con titoli come Mediobanca in calo di oltre il 10%, mentre Fondiaria-Sai, Mps e Intesa Sanpaolo perdono attorno a 9 punti percentuali ciascuna e Bper, UniCredit, Ubi Banca e Bpm, terminano in rosso tra gli 8 e i 6 punti a testa. Che è successo? Che tre nodi legati alla crisi del debito sovrano stanno venendo al pettine e se la crisi non si risolve saranno guai.
Primo nodo: la Bce ha effettivamente ridotto il costo del denaro e varato nuove misure straordinaria, come previsto. In particolare i tassi sono stati ridotti di un quarto di punto (e probabilmente caleranno ancora) sia per le operazioni di rifinanziamento principale (dall’1,25% all’1%), sia per quelle di rifinanziamento marginale (dal 2% all’1,75%) e per i depositi overnight (dallo 0,50% allo 0,25%). In più Eurotower intende lanciare due nuove operazioni di finanziamento per le banche europee della durata di a 36 mesi con modalità “a rubinetto” che andranno a sostituire il preannunciato pronti contro termine a 12 mesi e allenterà le condizioni sui collaterali richiesti alle banche per poter partecipare alle operazioni di rifinanziamento, accettando ad esempio delle tipologie di prestiti bancari e Abs dotati di requisiti minimi di rating. Viene infine dimezzato all’1% (dal 2%) il coefficiente di riserva bancaria. Insomma: le banche si potranno finanziare presso la Bce anche se la crisi non passasse per un paio d'anni ancora (continuando a sottoscrivere titoli di stato da girare alla stessa Bce un istante dopo)..
Tutto bene? Mica tanto: dopo una mattinata in recupero i Btp (e in generale tutti i titoli di stato europei) invertono la rotta e chiudono in decisa perdita con rendimenti e spread di nuovo in crescita. Il Btp a 2 anni vede infatti il rendimento risalire al 6,23% (dal 5,65% di ieri sera e dopo un minimo intraday al 5,50%), mentre quello sul Btp a 3 anni rimbalza al 6,56% (dal 5,95%, dopo un minimo al 5,80%), quello del Btp a 5 anni schizza al 6,83% (dal 6,19%, minimo intraday al 6,00%) e quello a 10 anni torna sul 6,46% (dal 5,99%, minimo odierno al 5,88%). Lo spread dei Btp rispetto ai Bund a 10 schizza così nuovamente a 444 punti base (4,44%) rispetto ai 389 alla chiusura precedente, dopo aver toccato un minimo a 377 punti base.
Il che ci porta al secondo nodo: “Super Mario” Draghi infatti ha fatto un miracolo a metà, non accennando minimamente all’ipotesi di fornire capitali al Fmi perché questo li possa poi prestare ai paesi in difficoltà (come Spagna e Italia) aggirando il “nein” di Berlino. Anzi fa sapere che la discussione in seno alla Bce è stata “vivace” prima di decidere che era giunto il momento per limare i tassi, mentre l’ex premier italiano, Silvio Berlusconi, poco dopo riferisce di una notevole “tensione” tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel al vertice del PPE che ha preceduto l’apertura dell’eurovertice di Bruxelles dove si sarebbe dovuto raggiungere un accordo (già “benedetto” dagli Usa) per nuove e più stringenti regole contabili e fiscali in cambio di maggiori aiuti e dove si rischia invece (e per questo le vendite sono tornate protagoniste sui mercati) l’ennesimo nulla di fatto a causa dell’intransigenza di Berlino che continua a ripetere “nein” a disco rotto su ogni possibile punto, essendo la Merkel convinta (anche per esigenze elettorali visto che l’anno prossimo si vota in Germania, come del resto in Francia) che solo passano per la catarsi purificatrice di una “dura” ristrutturazione (ossia fallimenti, tagli dei salari, espulsione di manodopera…) i “lazzaroni” del Sud Europa potranno riscattarsi e tornare in forma (e dopo eventualmente veder ripartire la crescita grazie a maggiori esportazioni, sulla base del “modello tedesco”).
Non bastassero questi due rischi, ecco il terzo nodo sciolto, si fa per dire, dall’Eba (European banking authority) in serata, con la diramazione ufficiale dei risultati dello stress test condotto su 71 grandi banche europee: in tutto, spiega l’authority, serviranno entro il giugno del prossimo anno 114,68 miliardi di euro di nuovi capitali (rispetto ai circa 106 miliardi di euro indicati dalla prima stima di ottobre). Di questi 30 miliardi saranno necessaria alle banche greche, 26,17 miliardi a quelle spagnole, 15,37 miliardi alle banche italiane (per la serie “la crisi non esiste e comunque noi ne usciremo meglio di altri grazie alla solidità delle nostre banche”, come sostenevano i ministri del precedente governo…) e 13,1 miliardi a quelle tedesche. Le banche francesi necessitano di 7,32 miliardi, quelle portoghesi di 6,95 miliardi, quelle belghe di 6,31 miliardi, quelle austriache 3,92 miliardi, quelle cipriote, quelle norvegesi 1,52 miliardi. Somme inferiori al miliardo di euro saranno necessarie per le banche olandesi e slovacche.
Nel dettaglio, Intesa Sanpaolo fa sapere che l’esercizio sul capitale condotto dall’Eba in base a una metodologia definita dall’Eba stessa “allo scopo di assicurare un’applicazione uniforme a tutte le banche europee partecipanti all’esercizio”, ha determinato che l’istituto “soddisfa il criterio del 9% relativo al coefficiente Core Tier 1 dopo la rimozione dei filtri prudenziali sulle esposizioni sovrane nel portafoglio disponibile per la vendita (AFS) e la valutazione prudente, che rispecchia gli attuali prezzi di mercato, delle esposizioni sovrane nel portafoglio relativo a strumenti detenuti fino a scadenza (HTM) e in quello relativo ai crediti (L&R)”. Insomma, nessun aumento di capitale e molte pacche sulle spalle. Sorrisi più tirati in casa UniCredit, che per l’Eba ha bisogno di un rafforzamento patrimoniale “pari a 7.974 milioni di euro (in crescita rispetto ai 7.379 milioni di euro di ottobre, a causa della perdita registrata nel terzo trimestre)” ma che conta di riuscire a farcela con l’aumento da 7,5 miliardi già preannunciato e la “ristrutturazione dei Cashes” (titoli obbligazionari convertibili emessi in occasione di un precedente aumento nel 2009), operazioni grazie alle quali il Core Tier 1 dovrebbe salire al 9,4% e dunque essere più che sufficiente.
I problemi sorgono con le altre tre banche italiane coinvolte nello stress test: Ubi Banca, Banco Popolare e Montepaschi, in ordine di gravità. Ubi Banca (che quest'anno ha già aumentato il capitale una volta) fa notare che i 1.393 milioni di euro di rafforzamento richiesto sono una indicazione che rischia di risentire di una metodologia che lascia perplessi a causa della “diversità dei criteri adottati nei diversi paesi europei per ponderare gli attivi” che renderebbe gli stessi “non confrontabili attraverso un indicatore sintetico” come il Core Tier 1 (ma la metodologia non era “uniforme per tutte le banche” secondo Intesa Sanpaolo?) ed esprime il timore che un simile aumento di capitale possa avere “implicazioni procicliche sull’economia reale a causa del freno indotto negli impieghi”. Insomma, par di capire che in caso di aumento a pagare saranno i clienti cui verranno ridotti i finanziamenti o concessi a costi più elevati.
Il Banco Popolare (anche lui reduce da un aumento di capitale la scorsa primavera) dovrebbe ricorrere a un aumento da 2.731 milioni di euro ma trova la decisione “non appropriata per banche che svolgono quasi esclusivamente attività di credito a servizio delle famiglie e delle piccole e medie imprese e i cui rischi finanziari sono legati sostanzialmente all’esposizione verso titoli governativi italiani” (oltre ad esprimere dubbi sulla metodologia simili a quelli manifestati da Ubi Banca). Il più accorato a cercare di sottrarsi all’abbraccio dell’Eba è però il Montepaschi: Rocca Salimbeni (la cui Fondazione sta facendo cassa dismettendo partecipazioni incrociate e cercando di rinegoziare i prestiti sottoscritti meno di un anno fa per sottoscrivere il suo 51% di aumento) rischia di dover ricorrere a un nuovo aumento da 3.267 milioni di euro, ma “si augura che le attuali previsioni dell’Eba possano essere riviste quanto prima, prevedendo un diverso livello di Core Tier 1 per le banche domestiche a vocazione retail” e per intanto ricorda di aver già avviato “iniziative tese alla riduzione del buffer, per effetto della computabilità a capitale della riserva sovrapprezzo delle azioni sottostanti il “Fresh 2008” e con la attesa conversione in capitale, prevista entro il 31/12/2011, del “Fresh 2003”, di voler proseguire nell’estensione dei modelli avanzati per la misurazione e la gestione dei rischi di credito “con conseguente riduzione degli attivi ponderati” (insomma, lo slogan potrebbe essere: meno credito per tutti i soggetti a rischio), nonché nella cessione “di parte del patrimonio immobiliare non strumentale”, nella “valorizzazione delle fabbriche prodotto, anche attraverso joint venture con principali operatori del settore” e nella “valorizzazione di altri attivi, taluni rilevati a fini contabili ma non a fini prudenziali”.
Tutti e tre gli istituti faranno tuttavia “ogni miglior sforzo per raggiungere un Core Tier 1 ratio del 9% entro la fine di giugno del 2012”, e presenteranno i rispettivi piani a Bankitalia entro il 20 gennaio 2012: per quella data o la crisi del debito sovrano sarà almeno in parte passata o per le Fondazioni bancarie si tratterà di scegliere se lasciarsi diluire, accettare nuovi aiuti di stato o procedere a matrimoni “riparatori”. Altre strade per il capitalismo italiano (banche comprese) ricco di intrecci e salotti buoni (con tutti i deleteri effetti che questo comporta, come la vicenda Mediobanca-UniCredit-Fondiaria-Sai ha ribadito una volta di più) ma da sempre povero di capitali societari non ve ne sono. Se l'obiettivo è un settore bancario più sano e moderno, in grado di assolvere al meglio la sua funzione non è detto sia un male (anzi), ma a pagare rischiano di essere ancora una volta, indovinate un po’, dipendenti e clienti delle banche e delle aziende da loro assistite. Capito ora perché i mercati crollano e perché una soluzione alla crisi è necessaria e urgente?