Dove è stato girato La zona d’interesse, film ambientato ad Auschwitz: come è stata costruita la casa
Dopo il Grand Prix speciale, conquistato al Festival di Cannes, La zona d'interesse arriva nelle sale cinematografiche. Il film diretto da Jonathan Glazer è liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Martin Amis e racconta le brutalità dell'olocausto. Lo fa mettendo a contatto strettissimo quella orribile realtà con la pacata, tranquilla, placida e normale quotidianità di chi viveva letteralmente a un passo dalle mostruosità ccommesse nei campi di concentramento. La storia si svolge infatti ad Auschwitz ed è stata girata nei paraggi del lager. Il protagonista è il comandante Rudolf Hoss, che si trasferisce con moglie e figli in una casa costruita all'interno della cosiddetta "area di interesse" (Interessengebiet), ossia lo spazio circostante il campo. C'è solo un muro a dividere i due spazi: da un lato quello dove si vive, dall'altro quello dove si muore.
Dove si trova la casa della famiglia Hoss
Il protagonista del film è realmente esistito. Il comandante è stato un membro delle SS nonché primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Realmente abitò accanto al lager assieme alla moglie e ai cinque figli, come viene raccontato nel film. Fece costruire una villetta a poche centinaia di metri dai forni crematori. La casa utilizzata in La zona d'interesse non è, però, quella originale della famiglia: non è stata utilizzata in quanto Auschwitz è un bene del patrimonio mondiale UNESCO.
Ne è stata però appositamente costruita un'altra nelle vicinanze, in tutto e per tutto simile, una copia esatta. Ci sono voluti due anni e mezzo per progettarla e quattro mesi e mezzo per costruirla. È leggermente più piccola della villetta dei Foss, ma lo scenografo candidato ai BAFTA Chris Oddy ha rispettato fedelmente le proporzioni della struttura. Anche i mobili che si vedono nel film sono repliche esatte degli originali.
Si nota, infatti, il loro aspetto "nuovo", che rende particolarmente l'idea di una famiglia che si è appena trasferita, che dunque occupa quegli spazi per la prima volta, trovandoli non consumati. L'accuratezza era fondamentale per Oddy, che ha descritto il suo approccio quasi "forense". Per documentarsi ha avuto accesso ad alcune fotografie scattate all'interno della casa quando fu sequestrata nel 1947, ma gli sono state poco utili: a The Washington Post le ha descritte "piuttosto sgranate e non molto informative". Grande attenzione viene data alle finestre: mentre i bimbi giocano tranquilli nelle loro stanze, attraverso i vetri vedono il fumo che si alza dai forni crematori e il cielo che diventa di un rosso terrificante.
Tutt'intorno alla casa c'è un giardinetto con alberi e piante, appositamente coltivati per le riprese e una piscina. Nell'abitazione sono state inserite anche delle telecamere, in modo da consentire un effetto "Grande Fratello": il pubblico spia la famiglia nella sua intimità e quotidianità. E poi c'è il fatidico muro che separa l'abitazione dal campo di concentramento, dai forni crematori. È un muro messo al confine tra i due mondi, elemento architettonico fisico, che però vuole essere molto di più: è la barriera di chi finge di non sapere e non vedere.