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Vuoi essere sostenibile? Compra solo il necessario. I consigli di Cecilia Cottafavi per avvicinarsi al vintage

Creator e autrice, Cecilia Maertens Cottafavi racconta come scegliere abiti usati o vintage sia una scelta sostenibile per l’ambiente ma anche per lo stile.
A cura di Arianna Colzi
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Uno scatto di Cecilia Cottafavi Credits @maert.ens
Uno scatto di Cecilia Cottafavi Credits @maert.ens

Cecilia Cottafavi è una delle creator di riferimento per il mondo del vintage e del second hand. Social media manager di professione, ha un blog dedicato al tema e un profilo Instragram (@maertens) in cui condivide suggerimenti e buone pratiche sul tema del riciclo e del green. La sua platea in costante crescita è composta da quasi 50mila appassionati che seguono i suoi "percorsi vintage" in giro per le capitali europee e per le grandi città italiane, da Bologna a Roma, passando per Milano, città dove vive e da cui è partita la sua attività di divulgatrice. Un’attività che sta coinvolgendo sempre più ragazzi e ragazze alla ricerca di uno stile che possano sentire loro: Cottafavi ha creato, ad esempio, alcuni reel in cui replica, con abiti solo second hand, look di celebrities o visti sui red carpet. “Mi occupo di comunicare il vintage a più persone possibile portandole a un acquisto più consapevole”, ha spiegato ai microfoni di Fanpage.it.

Come nasce la passione per il vintage

La passione di Cottafavi per il second hand viene dai genitori: “Sono da sempre fissati con l’antiquariato – spiega a Fanpage.it – invece di fare le classiche vacanze al mare, andavamo in Francia, in Normandia e Provenza, e giravamo solo per mercatini. Da lì nasce la mia passione per quel mondo, un interesse che mi ha portato a laurearmi anche in archeologia”. Se il primo approccio è stato al mondo vintage legato all’oggettistica e all'arredamento, negli anni del liceo Cottafavi inizia ad addentrarsi nel mondo della moda second hand. “Il primo impatto con un negozio vintage è stato quasi uno shock culturale rispetto a quello a cui il fast fashion ci ha abituati – spiega la content creator – Per quanto ami le forme anni ’50 e ’60, l’obiettivo per me è sempre rendere il vintage contemporaneo. Quando andavo al liceo non mi ponevo le domande che i ragazzi si pongono oggi riguardo alla sostenibilità della moda, per me la maglietta bianca a 5 euro era un affare rispetto a quella a 45: non ponevo domande su cosa ci potesse essere dietro una semplice t-shirt".

Uno scatto di Cecilia Cottafavi Credits @maert.ens
Uno scatto di Cecilia Cottafavi Credits @maert.ens

Sostenibilità vuol dire compare solo ciò che è necessario

Per arrivare ad un acquisto second hand o comunque consapevole, quindi, c’è bisogno di una sorta di redenzione dal mondo fast fashion? Non proprio, anche se spesso la "folgorazione" arriva in un momento preciso: "È davvero difficile smettere di comprare fast fashion dall'oggi al domani, anche perché dopo aver smesso ho avuto un periodo in cui compravo brand vintage ma in modo compulsivo. Poi arriva il passaggio alla reale sostenibilità ossia comprare solo ciò che è necessario."

Un negozio vintage a Berlino | Foto profilo Instagram @maert.ens
Un negozio vintage a Berlino | Foto profilo Instagram @maert.ens

La cultura second hand in Europa

Sul blog, negli anni, Cecilia Cottafavi ha curato e cura ancora dei "percorsi vintage" in grandi capitali europee, come Berlino e Parigi. Un tour immersivo alla scoperta del second hand in giro per l'Europa, non solo per gli appassionati, ma anche per i semplici curiosi che vogliono capire di più della cultura sostenibile. Una cultura che, in Italia, forse non è ancora così radicata. A Berlino, come racconta la creator a Fanpage.it, c'è una consapevolezza maggiore rispetto al mondo degli abiti usati. Le persone sono abituate a vestire con capi second hand, quindi l'offerta corrisponde alla domanda effettiva. Ad esempio, si trovano centinaia di negozi di scarpe, da quelle perfettamente nuove a quelle più consumate.

Uno scatto di Cecilia Cottafavi in arte @maert.ens
Uno scatto di Cecilia Cottafavi in arte @maert.ens

Un gap culturale che nel nostro Paese non è ancora stato colmato, come sottolinea anche Cottafavi: "A Milano, e in Italia in generale, il vintage è arrivato dopo e l’acquisto di scarpe usate è sempre l'ultimo degli acquisti. Questo perché ovviamente si tratta di un prodotto molto personale e ci sono dei bias anche riguardo l’igiene, paradossalmente a Roma c'è un'offerta molto più ricca di scarpe rispetto a una città dove il vintage è più radicato come Milano. La Francia ha una consapevolezza sull’usato molto molto alta, hanno iniziato prima come fenomeno di massa. I negozi sono diversi da quelli italiani c’è molto più fast fashion nei negozi usati. Non trovo che questo sia un fenomeno negativo, purché vengano rivenduti a un prezzo inferiore rispetto al vintage, perché la qualità è inferiore rispetto ad altri abiti seconda mano".

Come iniziare a comprare vintage: i consigli

La consapevolezza è aumentata riguardo all'impatto ambientale del fast fashion, ma sono ancora in tanti a non sapere come iniziare a comprare vintage o abiti di seconda mano. Cecilia Cottafavi suggerisce qualche piccolo step per iniziare. La prima cosa da fare è guardare al passato in casa propria: "Rovistate negli armadi dei genitori o dei nonni e toccare con mano il vintage e la qualità dei tessuti. La seconda cosa da fare è trovare un negozio che sia adatto a noi, un passo un po’ più difficile. La prima volta in un negozio vintage è anche uno shock culturale: rispetto a quelli fast fashion, cambia l’arredamento e anche il visual. Alcuni vintage però hanno un’impostazione più contemporanea e l’allestimento è più ordinato e questi sono i vintage shop da cui partire. Il mio consiglio è sempre quello di partire da negozi vintage ‘attuali' per non ritrovarsi poi a fuggire".

Dove si trova il “quartiere vintage” di Milano

C'è un quartiere a Milano che copre l’aerea di Porta Ticinese, dei Navigli e della Darsena. È il quartiere vintage del capoluogo lombardo e ormai sono quasi quindici le realtà che qui vendono vintage, tra negozi e mercatini. Dalle Colonne di San Lorenzo, ad esempio, parte una piccola strada, via Mora, dove troviamo tre negozi vintage e second hand totalmente complementari: Bivio, negozio di seconda mano, Cavalli e nastri, un negozio storico tutto vintage, un vintage di una certa eleganza e più luxury, e Groupies, uno store vintage che guarda allo stile Gen Z.

Cecilia al mercatino Vintage dei navigli a Milano Credits @maert.ens
Cecilia al mercatino Vintage dei navigli a Milano Credits @maert.ens

Proseguendo lungo l'itinerario troviamo Lo Specchio di Alice, un’ex bottega storica milanese aperta negli anni ’70 e acquisita nel 2022 dalla catena East Market. Nell’area Navigli, poi, entriamo nel regno del second hand con tanti altri negozi come PVC Milano che promuove diversi brand upcycling di giovani designer: se per qualcuno il passo dal fast fashion agli abiti usati dovesse essere un cambiamento troppo repentino, qui è possibile trovare abiti di giovani creativi o studenti di moda che stanno iniziando a muovere i primi passi nell'industria.

Il costo dei capi vintage

Le reticenze di molti sono spesso legate al prezzo del second hand, in alcuni casi molto elevato. Il vintage può davvero essere sostenibile anche economicamente? Cottafavi ne è convinta, soprattutto in seguito al rialzo dei prezzi di molti brand fast fashion: "Se paragoniamo i prezzi attuali del fast fashion, non sono più così low cost come erano dieci anni fa. Dunque, a parità di investimento, si può provare a puntare su qualità e sostenibilità. La seta ad esempio è un materiale che costa nei negozi vintage, ma se comprassi una camicia nuova in seta spenderei mai meno di 40 euro? No. È una cosa mentale che si può provare a superare".

Cecilia al mercatino Vintage dei navigli a Milano Credits @maert.ens
Cecilia al mercatino Vintage dei navigli a Milano Credits @maert.ens

Come donare abiti e accessori

Se acquistare in modo sostenibile è una buona pratica, non dobbiamo dimenticarci che i vestiti seguono un ciclo: produzione, acquisto e dismissione. Negli ultimi anni si parla sempre più di moda circolare perché si cerca di prestare attenzione a come vengono dismessi gli indumenti e a cosa si può fare per recuperare i vestiti o almeno i tessuti dei capi che non mettiamo più. Abbiamo chiesto a Cecilia Cottafavi alcuni suggerimenti su come donare abiti e accessori in qualsiasi città italiana. "Il primo step è conoscere la realtà, sapere dove vanno a finire gli abiti dismessi". Ad esempio, i cassonetti gialli, presenti in quasi tutte le città italiane, sono stati oggetto di numerose critiche quando è emerso che i vestiti che finivano nei mercati africani o sennò nei deserti.

Cecilia Cottafavi - Foto Melissa Vizza
Cecilia Cottafavi – Foto Melissa Vizza

"Meglio portarli alla parrocchia – suggerisce la creator – o in un’associazione locale che si conosce: magari verranno comunque rivenduti, anche per beneficienza, ma sai che finiranno per restare nella comunità, senza produrre ulteriore inquinamento". Come suggerisce la 27enne, è possibile anche contattare fondazioni benefiche nella propria città: queste realtà riescono a fare una differenziazione tra ciò che viene donato e quello che è l’effettivo bisogno. La stessa Cecilia Cottafavi ci ha raccontato un’esperienza di riconversione: “Parlando con persone che lavorano in enti senza scopo di lucro, emerge come la maggior parte delle fondazioni aiutano i senzatetto, che sono perlopiù uomini di mezza età, mentre le donatrici sono quasi tutte donne. Per non disfarsi in maniera sbagliata di questi abiti, tante fondazioni organizzano dei mercatini: gli abiti vengono rivenduti e le cifre guadagnate servono a finanziare le attività solidali”.

Cavalli e Nastri a Milano | Foto @maertens
Cavalli e Nastri a Milano | Foto @maertens

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