Via l’obbligo di body nelle gare di ginnastica: la rivoluzione dopo le proteste anti sessismo delle atlete

Quando pensiamo a una ginnasta, non la immaginiamo in pantaloncini. Nell'immaginario comune le ginnaste indossano il body, perché è così che siamo abituati a vederle nelle gare. È sempre stato così: per la ritmica, l'artistica, l'acrobatica. Si chiama justaucorps, il body aderente e sgambato, colorato e a volte impreziosito da dettagli scintillanti (come quello di Simone Biles alle Olimpiadi coi cristalli). Per le ginnaste francesi indossarlo nelle gare era un obbligo ben specificato nel regolamento. In caso contrario, veniva loro attribuita una penalizzazione di 0,3, che soprattutto nelle competizioni di alto livello può essere decisiva. Ma le cose sono cambiate e forse da domani, quando penseremo a una ginnasta non la immagineremo per forza vestita così.
Cambia la regola sul body delle ginnaste in Francia
Se fino a ieri le ginnaste francesi erano obbligate a gareggiare in body, per avere più chances di vittoria, oggi non è più così. Secondo il nuovo regolamento anti-sessista le ginnaste sono adesso libere di indossare anche dei pantaloncini, a condizione che non superino i dieci centimetri di lunghezza dal cavallo. Le atlete hanno vinto una battaglia che negli ultimi anni si era fatta particolarmente accesa, complice la crescente attenzione su certe discipline, la massiccia presenza di fotografi, la diffusione di immagini sui social e l'altissima esposizione online. C'era stata una rivolta nei confronti dell'imposizione di un certo abbigliamento che esponeva a commenti sessisti e metteva a disagio le dirette interessate, le quali di fatto non avevano possibilità di scelta. Non c'erano alternative al body aderente e sgambato. Quest'ultimo è certamente indicato in questi sport, perché consente di mettere perfettamente in evidenza le linee del corpo durante gli esercizi. Il suo uso risale addirittura al 1800, quando lo inventò un trapezista francese, Jules Léotard, proprio per agevolare i movimenti.

Purtroppo, però, non tutti si concentrano sull'aspetto tecnico e si soffermano sulla bellezza di un corpo nel suo momento di massimo sforzo, massima tensione, dando valenza al gesto sportivo. Ci sono stati anche episodi spiacevoli di sessismo che hanno fatto riflettere: basti pensare agli insulti ricevuti da Linda Cerruti per la foto in spaccata con le medaglie. La campionessa di era indignata scrivendo:
Dopo più di 20 anni di allenamenti e sacrifici, trovo a dir poco vergognoso e mi fa davvero male al cuore leggere quest'orda di persone fare battute che sessualizzano il mio corpo. Un sedere e due gambe sono davvero quello che resta, l’argomento principale di cui parlare?

Le proteste nel mondo dello sport
Già nel 2021, ai Campionati europei e alle Olimpiadi di Tokyo, le ginnaste della Germania avevano palesato il loro disagio a gareggiare in body, preferendo la tuta integrale fino alle caviglie che le faceva sentire meno nude, meno esposte. Da allora la Federazione Svizzera di ginnastica ha indicato ai fotografi nuove regole per evitare foto sessiste. Stessa disputa nel mondo del beach volley, con la protesta di Emilie Olimstad e Sunniva Helland-Hansen: le norvegesi imposero il loro diritto di non gareggiare in bikini sensibilizzando sulla necessità di ridurre la pressione sulle atlete e il loro disagio verso l'abbigliamento imposto. Situazione inversa quella delle tedesche Karla Borger e Julia Sude, che boicottarono il World Tour in Qatar, perché il regolamento imponeva magliette e pantaloni fino al ginocchio. Passando alla pallamano, infine, c'è stata la protesta della squadra norvegese agli Europei del 2021 contro "l'obbligo sessista" di indossare nei match pantaloncini-slip di 10 centimetri, ingiustificatamente più striminziti rispetto a quelli dei colleghi maschi.