Utility wear: storia dell’estetica proletaria che ha conquistato le passerelle
Dall'officina alle passerelle. Fino a qualche anno fa nessuno si sarebbe mai aspettato che l'abbigliamento comodo e funzionale potesse essere riproposto anche da brand di alta moda. Invece ora l'utility wear è più di tendenza che mai, dopo aver perso quella connotazione tipicamente "utilitaria" (per l'appunto), anche modelle, influencer e appassionati di moda sfoggiano pantaloni cargo, giacche multitasche e borse accessoriate. Il risultato: un look pratico, funzionale, ma allo stesso tempo ricercato che mixa l'eleganza alla sovrabbondanza di zip, realizzando dei capi ispirati alle uniformi da lavoro che, abbinati attentamente, escono dalla fabbrica per conquistare le più blasonate vie dello shopping.
La genesi dell'utility wear: la Seconda Guerra mondiale e la mancanza di materie prime
Questo tipo di abbigliamento nasce in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale. In un periodo di austerità e ristrettezze economiche nascono i capi realizzati per sopperire alla mancanza di materie prime e mano d'opera. All'interno di uno schema di razionamento generale il Board of Trade inglese promuove la realizzazione di abiti che potessero soddisfare le rigide normative sulla loro creazione. Dovevano essere pratici, adatti a diverse mansioni e di facile realizzazione, poiché mancava la forza lavoro qualificata, impegnata al fronte.
È il momento in cui l'azienda fondata da John Barbour vive il suo momento d'ascesa: nel 1894 aveva iniziato a produrre abiti perfetti per i lavoratori, adatti sia ai pescatori che a chi stava nelle campagne piovose del nord. Abiti democratici che conquistano in poco tempo anche i vertici della società britannica, amati dalla royal family che li elegge a giacche must have per le battute di caccia: la giacca dei lavoratori diventa la giacca dei nobili e Barbour riceve il primo Royal Warrant nel 1974. Rilanciata dalla serie Netflix The Crow, il famoso capospalla è più attuale che mai nel periodo in cui lo utility wear sta prendendo sempre più piede.
L'utility wear oggi: i pantaloni cargo sulle passerelle
Tra i primi a rendere il workwear sartoriale fu Yves Saint Laurent. Il couturier francese negli anni Sessanta reinterpretò il caban da pescatore, trasformando un capo democratico in un soprabito di lusso. In tempi più recenti fu Dior, sull'onda dell'empowerment femminile a proporre dei capi che contribuissero all'autodeterminazione delle donne. Da madri a lavoratrici, con l'Autunno/Inverno 2017-18 Maria Grazia Chiuri veste le sue Lady Dior con abiti in denim, tute intere, legate in vita e fornite di pratiche tasche.
Inizia la rivoluzione del workwear. Da allora fino a oggi sono numerosi i brand che hanno proseguito in questa direzione: Miu Miu ha fatto sfilare gonne con maxi tasche che ricordano i grembiuli da lavoro, Givenchy ha decorato di zip e taschi persino gli stivali, mentre Fendi ha incentrato sul workwear la sua sfilata all'interno priprio della fabbrica di pelletteria a Capannuccia, poco lontano da Firenze.
Magliano ha basato il suo brand su un'estetica proletaria, mentre Mordecai, per cui ogni pezzo deve poter essere utilizzato nella vita di tutti i giorni, la arricchisce di bomber e gilet trapuntati.
Questa comodità si è presto diffusa anche tra il pubblico, i pantaloni cargo sono stati scelti da Chiara Ferragni alla Milano Fashion Week di febbraio, mentre Deva Cassel li apprezza nel backstage, mentre si prepara a sfilare. Un trend ormai consolidato che guarda prima alla praticità e alla quotidianità che alla pura estetica, ma che riesce a sposarsi perfettamente con uno stile ricercato.