Spencer, il film su lady Diana è un’operazione di marketing? Perché la moda ha bisogno del cinema
Finalmente il gran giorno è arrivato: dopo una serie di ritardi e rinvii, il film Spencer è uscito nelle sale italiane. Il regista Pablo Larraìn si confronta con il mito di lady Diana – oggi più vivo che mai – affidandosi a Kristen Stewart per raccontare le vacanze di Natale del 1991, un momento cruciale nella vita della principessa. Larrain racconta una favola dark: da una parte l’apparenza glamour e scintillante della vita di corte, dall’altra il dramma personale di Diana, sempre più sola e sempre più infelice. La moda gioca un ruolo enorme nel raccontare il contrasto tra la gabbia dorata e la sua prigioniera: una scelta evidente già nella locandina del film, dominata da uno spettacolare abito bianco Chanel. Il ruolo della casa di moda francese non si limita al guardaroba e ai costumi, ma investe gran parte della produzione: Spencer è solo l'ultimo esempio di come la moda stia cercando nuove strade per raccontarsi attraverso film e serie tv.
I costumi di Spencer sono firmati Chanel
Facciamo una premessa: alla base del guardaroba creato dalla costumista Jaqueline Durran c’è una gigantesca licenza poetica. Diana infatti ha iniziato a indossare regolarmente capi Chanel dopo l’allontanamento dalla famiglia reale, ma il film Spencer è ambientato prima del divorzio, nel 1991. L’etichetta reale infatti preferisce designer britannici per le occasioni ufficiali, ma la principessa di Galles guardava spesso anche oltre la manica: è noto il suo amore per l’eleganza francese di Dior, e, nell’epoca post divorzio, per la sensualità italiana di Versace. Chanel non era assente nell’armadio di Lady D, ma non era neanche una presenza fondamentale. Allora perché rivolgersi alla casa di moda francese per i costumi, dandogli un rilievo di primo piano nella narrazione?
Bisogna tener conto che la protagonista del film, Kristen Stewart, è anche uno storico volto di Chanel. L’attrice infatti è stata più volte testimonial del marchio francese e sui red carpet indossa principalmente abiti Chanel. La casa di moda non solo ha aperto i suoi archivi ai costumisti, ma è partner ufficiale del film, come ha spiegato in una nota stampa: “Questa collaborazione fa parte dell'impegno di Chanel di accompagnare e supportare la creazione cinematografica e, in questo caso, la storia di un'icona, la principessa Diana, interpretata dall'ambasciatrice di Chanel Kristen Stewart".
Per capire meglio come nasce un'operazione del genere Fanpage.it ha intervistato Paolo Ferrarini, Docente di Fashion and Industrial Design presso l’Università di Bologna e di Metodologia della Ricerca presso l'Accademia Costume&Moda. “Le case di moda oggi fanno stile e styling, disegnano abiti e accessori ma suggeriscono anche mondi, storie, modi di indossare", spiega il professore. "I rapporti tra brand e celebrities si sono evoluti molto e portano sempre più spesso alla nascita di progetti speciali come i film, dove le maison puntano a realizzare capi ad-hoc, a lavorare sugli archivi, a spingere la loro immagine oltre il semplice oggetto”. Attenzione però: non basta questo per definire Spencer un Fashion Movie. “E’ un film in cui la moda gioca un ruolo da co-protagonista – spiega Ferrarini – Diana era e rimane un’icona di stile, ragione per la quale era impensabile fare un film che non lo tenesse in conto”.
Questo è ciò che è esattamente ciò che Chanel ha fatto con Spencer: gli abiti più iconici del film sono firmati dalla casa di moda francese o ricreati a partire da un modello storico: ad esempio, l’abito bianco e oro che si vede sulla locandina è ispirato a un modello haute couture del 1988, replicato ricamo per ricamo in un lavoro durato oltre mille ore. Spencer è uno dei film più attesi dell’anno e non c’è red carpet o intervista dove non spunti fuori il nome di Chanel: innegabilmente la casa di moda sta ricevendo una splendida pubblicità dal film.
Quando la moda incontra il grande cinema
Tra cinema e moda c’è storicamente un rapporto strettissimo: pensiamo al tubino di Givenchy reso iconico da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany oppure agli abiti futuristici creati da Paco Rabanne per Jane Fonda in Barbarella. Nel corso dei decenni i couturier sono diventati diverse volte costumisti: Giorgio Armani plasmò l’immaginario maschile con i costumi di Richard Gere in American Gigolò, mentre Prada ha creato indimenticabili abiti per il Grande Gatsby. Le ultime uscite al cinema però sembrano andare in una direzione diversa: il ruolo della moda non si limita al guardaroba, ma permea l’immaginario e la narrazione di diversi film. L'esempio più clamoroso è House of Gucci, che racconta la dinastia dietro l’omonimo marchio della doppia G dal punto di vista di Patrizia Reggiani (interpretata da Lady Gaga). La casa di moda non era direttamente coinvolta e gli eredi ne hanno preso le distanze, ma il nome Gucci è diventato praticamente un tormentone. “La moda unisce da sempre commercio e cultura – sottolinea il professor Ferrarini – Negli ultimi anni molte case di moda si sono accorte che la cultura non si fa solo attraverso il mecenatismo e le mostre, ma anche attraverso la comunicazione".
Perché la moda si rivolge a film e serie tv
L’esempio forse più illuminante in questo senso è Fracture, la serie tv creata da Balmain insieme a Channel 4: un modo per presentare la nuova collezione invernale attraverso un linguaggio molto più coinvolgente rispetto alle tradizionali campagne pubblicitarie. Del resto, la moda ha bisogno di nuove strade per raccontarsi: una volta poteva contare sul prestigio delle riviste patinate, ma oggi la stampa perde quote di lettori a vista d'occhio, inseguita dal digitale. Ci sono gli influencer e le campagne social, è vero, ma l’attenzione sulle piattaforme è scarsa e la competizione è alta. Escludendo le affissioni, relegate a poche grandi città, le case di moda hanno bisogno di trovare nuovi modi per parlare al pubblico. Cosa c’è di meglio allora che raccontare una storia?
“Progetti come film e serie producono proprio questo e raggiungono due risultati – spiega il professor Paolo Ferrarini – una campagna pubblicitaria istantanea e rapida legata al lancio del film, con red carpet e social media, ma anche un progetto duraturo, che porta nel migliore dei casi a far parte della storia del cinema”. I vantaggi sono molteplici: prodotti così elaborati non vengono percepiti come pubblicità e si fa leva sulla parte emotiva di chi guarda. Questi progetti si muovono in un'area grigia in cui il marketing è talmente raffinato da sfiorare il prodotto artistico, in una sorta di mecenatismo contemporaneo (e redditizio). “In sintesi – conclude Ferrarini – un marchio oggi punta ad essere sui red carpet e nei titoli di coda”.