Shein in pericolo negli Stati Uniti, il marchio fast fashion potrebbe essere bannato
Shein potrebbe non realizzare il suo sogno americano e vedere i propri prodotti vietati negli Stati Uniti. Mentre il colosso del fast fashion rincorre un fatturato da record (che quest'anno potrebbe superare i 10 miliardi di dollari, pari a 9,46 miliardi di euro), un membro del Congresso della Virginia si è interessato ad alcuni illeciti che l'azienda potrebbe aver commesso e ha richiesto alla task force del Dipartimento di Sicurezza Nazionale di verificare le pratiche del brand. Sembra che il rivenditore cinese abbia violato “Legge per la prevenzione del lavoro forzato tra gli uiguri” (Uyghur Forced Labor Prevention Act-UFLPA), che proibisce la messa sul mercato di articoli prodotti mediante lavoro forzato, vendendo capi realizzati con cotone proveniente dalla regione del Xinjiang, una zona riconosciuta dall'atto come particolarmente a rischio per quanto riguarda questa pratica. Nel caso in cui le accuse dovessero rivelarsi fondate, Shein verrebbe inserito nella lista dei contraffattori e non potrebbe più commercializzare sul mercato statunitense.
Le accuse nei confronti di Shein
L'indagine è stata richiesta con una lettera aperta da Jennifer Wexton, esponente del Partito Democratico. Il membro del Congresso per la sua richiesta si è basta su investigazioni passate, un test che Bloomberg ha effettuato lo scorso anno e che ha rivelato l'utilizzo di cotone proveniente dallo Xinjiang da parte di Shein, riconosciuto dall'azienda come il 2% del totale, che tuttavia nega lo sfruttamento di lavoro forzato. Secondo l'ufficio per il controllo del lavoro forzato tutti i materiali provenienti da quella regione rientrano in questa categoria, a causa delle ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti della popolazione uigura, una minoranza turca e musulmana presente nella zona. Mentre il governo dell'ex celeste impero smentisce qualsivoglia volontà di reprimere quell'etnia, il gruppo rigetta le accuse di lavoro forzato, affermando di volere rinunciare completamente ai prodotti provenienti da quella regione. Nella sua lettera Jennifer Wexton richiedeva una risposta entro 30 giorni. Sono 38, a oggi, le aziende cinesi entrate a far parte della lista dei trasgressori, il marchio di abbigliamento potrebbe diventare la 39°.