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Sfilare in discarica: se una passerella nel deserto del fast fashion dà nuova vita ad abiti buttati

Nel deserto di Atacama, in Cile, miglia di tonnellate di abiti usati vengono gettati e bruciati tra le dune: viene chiamata la “discarica del fast fashion” ed è il simbolo dell’impatto ambientale devastante dell’industria della moda. Un collettivo di attiviste ha deciso di creare una collezione con quei capi dando vita a una passerella distopica tra i resti.
A cura di Arianna Colzi
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Due modelle durante l'Atacama Fashion Week | Foto Mauricio Nahas
Due modelle durante l'Atacama Fashion Week | Foto Mauricio Nahas

A nord ovest della costa del Cile c'è una zona chiamata deserto di Atacama. Si tratta di una grande distesa situata nell'omonima regione e diventata tristemente famosa negli anni per essere diventata la discarica del fast fashion, e non solo. Da ogni parte del mondo, interi container di abiti ancora in buone condizioni o scarti di vecchie collezioni, vengono abbandonati in questo deserto cileno, trasformandola in "una discarica visibile dallo spazio". Come riporta le Nazioni Unite, in Cile ogni anno vengono spedite 60mila tonnellate di vestiti usati. Un problema che si è anche trasformato in un mercato alternativo, con il Cile che è diventato il terzo importatore mondiale di abiti di seconda mano. Tuttavia i problemi rimangono, soprattutto sul piano ambientale: gli abiti vengono bruciati creando danni alla respirazione per le popolazioni che vivono nella zona e respirano quel fumo. Un gruppo di attiviste hanno messo insieme una serie di abiti presi dalla discarica dando vita a una collezione che ha preso vita durante una sfilata (l'Atacama Fashion Week) che si è tenuta lì, nel deserto dei vestiti. Ma come siamo arrivati fin qui e perché questa provocazione ci racconta le possibilità del mercato degli abiti usati.

Cosa ci racconta l'Atacama Fashion Week

Angela Astudillo, cofondatrice di Desierto Vestido, vive a pochi passi da questa discarica a cielo aperto nel deserto del Cile. Per sensibilizzare più persone possibili, la sua organizzazione e Fashion Revolution Brazil, un movimento per la moda sostenibile, hanno unito le forze organizzando cosa si può fare con gli abiti usati e quanti look si possono creare con vestiti che pensiamo siano da buttare. La designer brasiliana Maya Ramos, ha disegnato una collezione indossata da otto modelle cilene che hanno sfilato per l'Atacama Fashion Week 2024 con abiti raccolti dalla discarica. Ogni look si adatta ai quattro elementi – aria, acqua, terra, fuoco – ed è realizzato a mano con quanto trovato ad Atacama.

Uno degli outfit della collezione Atacama | Foto Mauricio Nahas
Uno degli outfit della collezione Atacama | Foto Mauricio Nahas

Questo progetto, che ha ovviamente uno scopo nobile come quello di sensibilizzare, racconta molto di che tipo di vestiti gettiamo via e che poi si riversano sulle distese del deserto di Atacama. Nella maggior parte dei casi si tratta di lotti di abiti che presentano un piccolo difetto di fabbricazione: basta un minuscolo dettaglio per smaltire interi pacchi di vestiti. Per non parlare del fatto che le principali catene di brand fast fashion producono una collezione alla settimana, producendo vestiti di cui nessuno ha davvero bisogno, solo al mero scopo di inseguire una tendenza. Sono proprio questi colossi a gettare i loro capi a basso costo, realizzati in molti casi con materiali difficilmente smaltibili, in mezzo alla sabbia cilena: il poliestere, ad esempio, impiega circa 200 anni per decomporsi. Il movimento dell'Atacama Fashion Week ha creato anche un finto shop online in cui i prezzi degli outfit realizzati con gli abiti recuperati toccano cifre come i due milioni di dollari. Il messaggio? No matter how much an outfit costs, the environment always pays the high price (Non importa quanto costa un abito, l'ambiente paga sempre il prezzo più alto). 

Alcuni degli altri creati da Atacama Fashion Week | Foto Atacama Fashion Week
Alcuni degli altri creati da Atacama Fashion Week | Foto Atacama Fashion Week

Se raccogliere abiti da una discarica e ridare loro nuova vita in una passerella quasi distopica è una provocazione, attivarsi per cercare i negozi che dove poter lasciare abiti che non vogliamo più è lo sforzo che possiamo fare nel nostro piccolo. Purtroppo anche i celebri cassonetti gialli sono spesso finiti al centro delle polemiche: molti di quegli abiti finiscono poi nei Paesi del Sud America come il Cile. Eppure proprio il Cile ha una legge che impedisce che i rifiuti tessili vengano gettati nelle discariche "ufficiali" poiché generano instabilità del suolo, dunque gli articoli usati e ormai invenduti anche nei mercati o i piccoli negozi latinoamericani vengono buttati nel deserto. Un report delle Environment Programme delle Nazioni Uniti racconta che oggi compriamo il 60% di vestiti in più rispetto a 20 anni fa. È un aumento che non resta senza conseguenze: ci stanchiamo prima che questi vestiti possano diventare logori o anche solo danneggiarsi e finiamo anche noi in quel calderone che sono le 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili che vengono prodotti ogni anno. Cosa faremmo se quei vestiti venissero gettati e poi bruciati nei parchi delle nostre città? Dobbiamo ristabilire una connessione con l'ambiente che ci circonda o non capiremo mai l'urgenza di salvarlo.

Una delle modelle indossa la collezione Atacama | Foto Mauricio Nahas
Una delle modelle indossa la collezione Atacama | Foto Mauricio Nahas
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