W le curvy: ma non in passerella. Lì sembra che, di nuovo, non ci sia posto per loro. Lo conferma il report di Vogue Business sull'inclusività delle taglie. La ricerca ha approfondito quanto visto nelle recenti sfilate Primavera/Estate 2025, che hanno sancito un ritorno alla glamourizzazione della magrezza, il filo conduttore degli show. Durante il boom della body positivity (tra il 2019 e il 2023) sembrava che la bilancia potesse pendere maggiormente verso una rappresentazione più inclusiva dei corpi, quindi anche quelli "non conformi" agli standard che per anni sono stati assoluti. La prima a battersi per questo è stata Ashley Graham, diventata il simbolo dellaa battaglia in nome dell'orgoglio curvy, che in realtà è la battaglia per dare pari dignità ai corpi (in passerella e fuori). Poi si sono aggiunti nomi di spicco come Precious Lee, Paloma Elsesser, Jill Kortleve, Alva Claire che hanno sfilato per brand prestigiosi come Chanel, Dolce&Gabbana, Moschino, Tommy Hilfiger, BOSS. Ma forse questa presenza è stata solo una tendenza passeggera.
Curvy e plus size spariscono dalle passerelle
I dati del report di Vogue Business sull'inclusività delle taglie non sono incoraggianti. Restituiscono anzi il quadro di un settore fashion che torna indietro rispetto ai passi avanti fatti in passato. L'apertura è stata forse solo il risultato di un trend che stava andando molto forte sui social (tutto il filone legato alla body positivity). La situazione, alle sfilate Primavera/Estate 2025 di Londra, Milano, New York e Parigi è più o meno la stessa. Degli 8.763 look presentati in 208 sfilate e presentazioni, solo lo 0,8% era di taglie forti (US 14+), il 4,3% di taglie medie e il 94,9% di taglie normali. E attenzione: per taglie normali si intendono le US 0-4 ossia tra la 36 e la 40. La rappresentanza delle taglie forti è in linea con la scorsa stagione, allo 0,8%. C'è stato un dietrofront nella rappresentanza di taglie forti e medie anche da parte di alcuni dei marchi di lusso più importanti della moda. Viceversa, si sono impegnati di più i marchi emergenti.
La Settimana della Moda meno inclusiva è a Milano
A Parigi spicca su tutti Ester Manas, in cima alla classifica come nelle stagioni precedenti. Su 28 look, lo show ha visto la partecipazione di nove modelle di taglia media e sette modelle plus size. Rick Owens è arrivato secondo nella classifica per Parigi: su 56 look, 19 erano di taglia media e nove erano taglie forti. Mugler non ha presentato nessuna modella di taglia media o taglie forti questa stagione. Chanel è rientrata nella classifica (per la prima volta dall'Autunno/Inverno 2023 ) con il 3,9% di look di taglia media e l'1,3% di taglie forti, scegliendo modelle curvy tra cui Jill Kortleve e Alva Claire.
Male a Milano: solo nove sfilate hanno visto almeno una modella di taglia media o plus size. Sul podio della classifica Sunnei, Boss e Marco Rambaldi, che si è classificato terzo a Milano per diversità complessiva, con quattro look plus-size, ossia il 9,1% dei look totali mostrati. A New York, la rappresentanza di taglia media è cresciuta, ma la rappresentanza di taglie forti è rimasta stagnante allo 0,8%. La Settimana della Moda di Londra si è rivelata ancora quella più inclusiva in termini di taglie tra le big four. La stilista londinese Karoline Vitto ha conquistato il primo posto come unica stilista a presentare look al 100% di taglia media o plus size (rispettivamente 72,7% e 27,5%).
Perché ci sono meno modelle curvy in passerella
La rappresentazione della bellezza sta cambiando ancora. Sta tornando la magrezza come valore assoluto e imprescindibile, come era negli anni Novanta, quando la taglia 0 era la massima aspirazione, non solo per una modella, ma per ogni donna. Un ruolo può averlo avuto Ozempic, il farmaco di cui si è parlato moltissimo nell'ultimo anno. Sono tante le celebrities finite al centro della polemica, accusate di avervi fatto ricorso per perdere peso velocemente e drasticamente. Ozempic è un farmaco per i diabetici, ma se ne è diffuso a macchia d'olio (complici i social, ma anche influencer e celebrities) un altro utilizzo: viene assunto per dimagrire. Una sorta di bacchetta magica per realizzare l'antico e immortale desiderio: essere magre.
Ne consegue una narrazione tossica del dover essere magri a tutti i costi, anche assumendo farmaci a caso: da qui la percezione del dover perdere peso per avere successo, per essere presi in considerazione. Bisogna essere disposti a tutto, anche a mettere a repentaglio la propria salute, pur di allinearsi a quel modello. Le modelle quel rischio sono pronte a correrlo, perché di fatto diventa l'unico modo per lavorare. Non va dimenticato il ritorno in passerella delle supermodelle degli anni '90: nonostante il tempo sia passato, coi loro corpi continuano a incarnare un'estetica ben precisa, con corpi tonici, snelli, magri, slanciati. C'è poi il ritorno della moda anni Duemila fatta di pantaloni a vita bassissima, minigonne, corsetti, crop top minuscoli: un corpo così esposto deve essere "perfetto" e non può lasciare posto ai cosiddetti "chili di troppo".
Sembra che per le Maison di lusso e per l'Alta Moda essere magri sia tornato a essere l'equivalente dell'essere belli, requisito essenziale per sfilare e farsi guardare. Ovviamente per loro i corpi magri sono anche più facili da vestire e che importa se poi nei negozi ci vanno anche le taglie 44 e 46? Ma in fondo è mai stato davvero diverso da questo, il settore? Finché si poteva cavalcare un trend, qualche Casa di moda ha ceduto, ma appena qualcuno si è tirato indietro ed è tornato sui suoi passi ecco che tutti gli altri lo hanno seguito a ruota. Lo standard non è mai davvero cambiato, nonostante gli sforzi (di facciata per molti, sinceri per pochi) di proporre una narrazione più inclusiva, più rappresentativa, più veritiera e meno tossica.