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Perché il mondo della moda di lusso sta dichiarando guerra all’upcycling

Avete mai sentito parlare di upcycling? È la mania del riciclo creativo che sta spopolando nella moda, soprattutto tra i designer emergenti, peccato solo che le Maison di lusso non abbiano reagito bene alla diffusione del trend.
A cura di Valeria Paglionico
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Le nuove generazioni sono sempre più attente alla questione ambientale ed è proprio nel tentativo di essere il più possibile "green" che sostengono ogni tipo di iniziativa eco-sostenibile anche nel mondo della moda. In un contesto simile non sorprende che stia diventando sempre più popolare la mania dell'upcycling, ovvero del riciclo creativo, che spinge designer e brand (soprattutto emergenti) a dare una nuova vita a dei capi vintage, aggiungendoci un tocco personale e originale, modificandone la forma e lo stile. L'unico piccolo inconveniente? La reazione delle Maison di lusso a questo trend non è stata propriamente entusiasta, anzi, in alcuni casi i capi "riciclati" sono finiti in tribunale. Ecco per quale motivo l'upcycling sta diventando una questione sempre più controversa.

Cos'è l'upcycling e perché rende la moda sostenibile

Per quale motivo l'upcycling sta diventando sempre più diffuso? Innanzitutto è aumentata la domanda di capi dallo stile street con loghi in evidenza, poi si ha anche un maggiore acceso a prodotti vintage e tessuti in stock. Come ultima cosa, sono in crescita i giovani designer che vogliono lavorare in modo sostenibile, visto che il settore fashion è tra i più inquinanti. Come si possono evitare le denunce dei grandi marchi? Gli upcycler possono prendere precauzioni, dall'evitare di lasciare i loghi in primo piano al fornire ai consumatori delle informazioni chiare sul fatto che si tratta di capi vintage "modificati". Certo, a volte tutto ciò non è abbastanza per combattere le accuse di violazione del copyright, ma è chiaro che il riciclo creativo sembra essere fondamentale per passare da un'economia lineare a un'economia circolare.

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Perché le Maison fashion si stanno ribellando all'upcycling

Non è una novità che gli storici brand di lusso siano diffidenti nei confronti del mercato secondario: da sempre lo considerano un potenziale "rivale" che rischia di danneggiare la loro immagine, cannibalizzando le vendite e incoraggiando la contraffazione. Con gli e-commerce che vivono un vero e proprio boom da 10 anni a questa parte, il fenomeno si è amplificato, provocando vere e proprie battaglie legali. Nel tentativo di difendere la loro proprietà intellettuale, le Maison entrano in conflitto con i designer emergenti che "rimodellano" le creazioni griffate ma al momento non esistono delle precise leggi che regolano la questione. Dal punto di vista legale, infatti, una volta che il marchio ha venduto un articolo, questo può essere rivenduto o ridistribuito da parte di terzi, anche quando è stato modificato. Il dettaglio a cui si appigliano le aziende del lusso è che le creazioni "rimodellate" rischiano di confondere i consumatori sfruttando una proprietà intellettuale altrui.

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I casi di riciclo creativo finiti in tribunale

I casi di upcycling finiti in tribunale sono moltissimi e tutti hanno destato non poco scalpore. Nel 2022 Louis Vuitton ha ottenuto un risarcimento da oltre 600.000 euro e un'ingiunzione permanente dopo aver fatto causa a un'azienda americana che vendeva i suoi prodotti "rimodellati". L'anno scorso Levi's ha presentato una denuncia contro l'etichetta francese Coperni, accusata di aver riprodotto le sue iconiche cuciture sulle tasche sui capi in denim, mentre di recente lo stilista Logan Horne è stato segnalato da Chanel per aver riciclato in modo creativo alcuni suoi capi vintage (che erano stati indossati anche da Dua Lipa). Nel tentativo di rendere la questione meno preoccupante e controversa, alcuni grandi marchi come Prada e Gucci hanno lanciato delle collezioni nate proprio dal riciclo creativo ma al momento il settore sembra muoversi ancora troppo lentamente.

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