Nicolò Cerioni, gli esordi e la famiglia arcobaleno: “Per la moda ero stylist di serie C. L’amore è scudo per i miei figli”
Più che uno stylist, più che un Direttore Creativo. Nicolò Cerioni, negli ultimi anni ha rivoluzionato il concetto di styling portandolo a un livello successivo. Con i suoi progetti creativi, costruiti su personaggi televisivi e cantanti di spicco, è riuscito a cambiare le regole del fashion system portando la moda fuori dall'editoria di settore. E' stato uno degli stylist che ha contribuito a rendere nuovamente grande il palco di Sanremo e con le sue consulenze di stile ha lanciato talenti emergenti della musica o riportato in auge artisti del passato. Nel suo portfolio ci sono star della musica, come Jovanotti, Laura Pausini, Maneskin, Paola e Chiara, Achille Lauro, Tananai, Orietta Berti, o celebri conduttrici della Tv italiana, tra cui Simona Ventura e Barbara D'urso.
Sempre alla ricerca della novità, dello scontro esplosivo tra elementi contrastanti, è sostenitore della teoria secondo cui la bellezza nasce dalla dicotomia. Rifiutando la perfezione della "moda borghese", contamina con la sua anima punk (e un po' riot) ogni progetto di styling. Chi non ricorda le conchiglie sul seno di Orietta Berti, nei look firmati GCDS o le spettacolari performance di Achille Lauro nelle ultime edizioni di Sanremo?
E' proprio con Sanremo 2020 che il grande pubblico inizia a conoscerlo, dopo che Achille Lauro sale sul palco con un mantello indosso, capo di cui in breve tempo si libera per mostrare il corpo che sembra nudo. Il look e il plateale gesto di spogliarsi sono la prima tappa di un racconto, dedicato alla diversità, alla ribellione, alla libertà di essere se stessi. Racconto che Lauro farà nelle diverse serata interpretando di volta in volta un personaggio nuovo con abiti disegnati da Alessandro Michele, all'epoca designer di Gucci, sotto la direzione creativa di Nicolò Cerioni. Quel momento rappresenta uno spartiacque: con quel progetto stilistico Cerioni dimostra che con gli abiti è possibile raccontare qualcosa, è possibile ispirare altre persone, è possibile creare quegli scontri ricchi di significato che tanto ama. Tutto questo riesce a farlo parlando a milioni di persone e uscendo dalla ristretta cerchia del mondo della moda.
Oggi Cerioni continua a collaborare con i grandi della musica italiana, mentre recentemente ha curato la direzione artistica di Non sono una Signora, la prima trasmissione della Rai dedicata all'arte delle Drag Queen e condotta da Alba Parietti. Padre di due bambini, con il marito Leandro Emede ha un'agenzia creativa, la Sugarkane, che segue progetti legati al mondo della moda, della musica e dello spettacolo. Sempre in prima linea, Cerioni non ha mai paura di esporsi e dire la sua su argomenti di interesse sociale che vanno al di là della moda.
Dagli esordi a MTV al clubbing milanese che ha influenzato il suo stile, dal significato del nome Sugarkane al successo sul palco di Sanremo, fino alla paternità e al racconto di come una famiglia arcobaleno vive oggi in Italia, Nicolò Cerioni si racconta a Fanpage.it in un'intervista a tutto tondo che rivela le sfaccettature e i talenti di un personaggio poliedrico e fuori da ogni schema.
Come e quando è nata la tua passione per la moda?
Non ho mai avuto una vera passione per la moda, avevo una grande passione per l'intrattenimento in generale, mi faceva sognare la televisione, il cinema e la musica, erano la mia finestra sul mondo. La moda per me era satellite, i miei genitori lavoravano in questo settore. Mia madre aveva un negozio di vestiti e mio padre lavorava come agente di commercio, poi hanno unito le forze e hanno costituito un'agenzia di rappresentanza per i brand della zona del centro Italia. Sono nato nelle Marche, in provincia di Ancona, ho respirato un'aria molto diversa da quella dell'ambiente glamour e sfavillante della moda milanese. Il mio era un ambiente di provincia. Da ragazzino ero un grande appassionato di giornali inglesi, amavo The Face, quando leggevo quei giornali mi sembrava di guardare da una finestra proiettata sul futuro, mi piaceva quel tipo di moda perché era una moda dissacrante, una moda ironica, una moda provocatrice.
Cosa ricordi dei tuoi primi anni a Milano, come è iniziata la tua carriera nello styling?
Dopo essermi diplomato allo Ied ho fatto molta fatica a trovare lavoro. Ero troppo bizzarro, troppo sopra le righe, troppo diverso per lavorare nel mondo della moda milanese. Ero estraneo a un mondo che ha sempre avuto come riferimento un'idea borghese di moda, che aveva come obiettivo la ricchezza, il lusso, l'agio. A me tutto questo non interessava, sono sempre stato un po' ribelle e punk. In più ero un club kid, frequentavo un certo tipo di club, ci vestivano a festa, con look stranissimi, per andare a ballare e per noi ballare non era andare a divertirci e basta. Per noi era un linguaggio, era una missione, era un esternare le nostre ispirazioni e, allo stesso tempo, cogliere quelle degli altri. Ho imparato tanto dal mondo dei club, l'ho capito dopo. Quegli anni di liberà, con le mie amiche drag, con le mie amiche performer, mi hanno insegnato tanto e quelle cose poi sono venute fuori man mano che sono fiorite dentro di me.
Nel 2007 inizi a lavorare per MTV, come ci arrivi?
Come ti dicevo facevo fatica a trovare lavoro, nessuno mi voleva. Soffrivo molto perché sentivo un'emergenza creativa dentro che volevo esprimere e che avevo bisogno di tirare fuori. Durante una notte di clubbing ho conosciuto Giuseppe Magistro, un bravissimo stylist, il quale mi disse che cercavano una nuova persona nel team styling di MTV. Inviai immediatamente un curriculum a Susanna Ausoni, mitica stylist che ancora oggi fa meraviglie e che all'epoca era la responsabile di tutta l'immagine dei conduttori e dei talent di MTV. I colloqui con lei andarono bene e mi presero. Per me lavorare come stylist a MTV era un sogno che diventava realtà.
Che aria si respirava, quali erano le differenze rispetto alla Tv "classica"?
MTV era un luogo magico, era una televisione fatta da persone giovani. Era un luogo libero e gioioso ma allo stesso tempo iper professionale. Quando, se non sbaglio nel 2006, MTV arriva in Italia era una mosca bianca nella televisione italiana, perché era una televisione per i giovani fatta dai giovani. Prima di MTV la televisione dei giovani era sempre fatta da vecchi, era giovanilistica e non giovane. MTV Italia era davvero giovane perché ti faceva intravedere un mondo che non tutti conoscevano. Mostrava ai ragazzi dell'epoca un modo nuovo di essere giovani, che era un modo un po' londinese, un po' cool, più libero. I personaggi che popolavano quel tipo di Tv non erano i soliti conduttori, erano i famosi Veejay, cioè ragazzi super cool, non sempre bellissimi ma molto particolari, molto affascinanti, che parlavano le lingue, erano amici della rockstar, si vestivano in maniera originale. MTV in quegli anni ha insegnato alla televisione pubblica come si vestivano i giovani. E questo è stato un grande merito di Susanna Ausoni, perché nello styling televisivo c'è un prima e dopo Susanna. Fino agli anni '80 la moda era insegnata dalle grandi dive dello spettacolo come Loretta Goggi, Anna Oxa, Loredana Berté o Raffaella Carrà o da tutte quelle che vestivano degli abiti spettacolari in televisione. Con Susanna Ausoni lo styling e la moda in Tv fanno un salto nel racconto. Susanna ha insegnato alla televisione italiana la moda giovane, ha raccontato e mostrato come si vestivano i giovani cool, gli stessi giovani che si vedevano sulle pagine di The Face. E questa è stata una grandissima rivoluzione in televisione.
Cosa succede dopo l'avventura a MTV e come nasce Sugarkane, il tuo studio creativo?
La fine dell'avventura a MTV fu piuttosto traumatica, la rete cambiò improvvisamente direzione per volere globale e diventando contenitore di reality e non più di musica. Ci ritrovammo in tanti senza un punto fisso, senza lavoro. Io e mio marito, all'epoca compagno, e socio, Leandro Emede, un bravissimo fotografo e regista, avevamo il sogno di costruire uno studio creativo che potesse curare a 360 gradi il progetto di un artista musicale, cioè quello di fare styling, di fare video, foto, direzione creativa e via dicendo. All'epoca non avemmo fortuna nel raccontare la nostra visione alle case discografiche. Eravamo troppo giovani, troppo poco strutturati e forse poco interessanti per loro. Tutto poi è cominciato grazie a Jovanotti, che per noi è stato una sorta di pigmalione. Non solo ci ha scoperti, ma ha fatto in modo che il nostro talento fosse notato. Lorenzo ci ha permesso di vivere un'avventura incredibile che dura ancora oggi, è stato il primo a credere in noi, a darci la possibilità di dimostrare quello che potevamo fare e soprattutto ci ha dato tanta libertà espressiva. La realtà di Sugarkane è nata grazie a lui, se oggi siamo qui lo dobbiamo solamente alla sua visione e alla sua fiducia.
Qual è il significato del nome Sugarkane?
Prima della nascita di questo studio creativo Leandro già utilizzava il nome Sugarkane per alcuni suoi progetti, tra cui una linea di occhiali con due lenti di forme diverse. Questi occhiali, per una serie di rocambolesche coincidenze finirono sul viso di Lady Gaga, ma questa è un'altra storia. Si tratta del nome di Marilyn Monroe nel film A qualcuno piace caldo. Il film finisce con la frase "Nessuno è perfetto" e questa cosa ci rappresenta tanto, siamo imperfetti, diversi, unici, sbagliati, strani. A noi piace sempre essere un po misfits, cioè fuori dal luogo giusto, ci piace essere uno "spostati" come nel film meraviglioso che ha visto Marilyn chiudere il sodalizio artistico con Arthur Miller.
La grande svolta, quella che ti ha fatto conoscere anche a un pubblico differente da quello moda, arriva con Sanremo. Cosa rappresenta per te il palco dell'Ariston e come ha cambiato la tua carriera?
Ho sempre avuto una grande passione per Sanremo. Sanremo è tornato nella mia vita tante volte e penso tornerà tante altre volte. Sono cresciuto, come dicevo prima, con il grande mito della televisione. Essendo un bambino di provincia la televisione era la mia finestra sul mondo. Ho sempre amato l'unicità di quel palco e la sua potenza, la sua forza, il suo potere mediatico. Negli anni '90 avevamo poco accesso alle cose che sognavamo di avere, come la cultura, il divertimento, le novità. Sanremo è stato per me molto affascinante, soprattutto negli anni bui. Ci tengo a sottolineare la questione "degli anni bui", perché da professionista e da stylist ho sempre voluto portare degli artisti a Sanremo, anche negli anni in cui tutti gli altri non volevano farlo.
Anche grazie al tuo lavoro di styling su alcuni protagonisti delle ultime edizioni il palco dell'Ariston ha iniziato a essere più appetibile per le case di moda, per gli stylist e per altri artisti.
Io non voglio prendermi il merito di aver aperto una porta, però credo di aver avuto il coraggio di fare sempre delle scelte diverse. Sanremo per chi lavorava nella moda, soprattutto per gli stylist, è sempre stato cheap, non era cool andare a Sanremo se non vestendo il presentatore, la presentatrice o i grandi ospiti internazionali. Fino a qualche anno fa gli unici stylist riconosciuti nella moda erano quelli che lavoravano nell'editoria. Chi faceva celebrities era uno stylist di serie C, neanche B. Eppure per me gli editoriali erano sterili dal punto di vista moda. Quel tipo di moda che ci faceva sognare 30 anni fa è diventata di colpo anacronistica, perché il mondo è iniziato ad andare in una direzione differente, in cui finalmente si è capito che la bellezza non è un merito e che il talento, qualsiasi esso sia, illumina una persona di più rispetto all'aspetto fisico. Questa è una cosa di cui oggi ci facciamo tutti bandiera, ma non è stata scontata da proporre. Io mi sono preso tante porte in faccia perché credevo in questa cosa.
Cosa è cambiato e come sei riuscito a combattere questa chiusura?
L'editoria ci snobbava, ci guardava dall'alto in basso. Gli stylist che lavoravano nell'editoria ci guardavano dall'alto in basso e anche le case di moda ci guardavano dall'alto in basso. Ma io non ho mai smesso di credere al potere che aveva una buona performance in televisione. Non ho mai smesso di credere al potere che la congiunzione tra l'alto e il basso ha nei confronti del pubblico. Quello che conta per me è creare una rottura, un terremoto che va ovunque e quando dico ovunque intendo anche a chi la moda non interessa. Per me la moda deve essere veicolo di contenuti. Ora, dopo alcuni Sanremo fatti in maniera dirompente, da me e da altri, tutti gli stylist vogliono lavorare con le celebrities. Adesso fanno tutti un po' i fenomeni, sono attratti da quella luce là, ma io me le ricordo le telefonate con le case di moda, mi ricordo gli sguardi di chi sapeva che noi lavoravamo con le celebrities. Penso di essere stato quello che a un certo punto ci ha creduto di più. Prima di me Susanna Ausoni è stata pioniera, perché lo faceva vent'anni fa, trent'anni fa. Con il nostro lavoro abbiamo rotto un meccanismo e io penso che questa cosa sia un po' successa soprattutto con Saremo 2020.
Il 2020 è l'anno in cui hai seguito lo styling di Achille Lauro a Sanremo, come lo hai conosciuto e come è nata la vostra collaborazione?
Ho conosciuto Achille Lauro nel 2019. Lavoravo già con diverse celebrities, anche grandi, come Jovanotti e Laura Pausini. Stavo lavorando anche con nuovi talenti che poi sarebbero esplosi, tipo la Dark Polo Gang. Il quel periodo lavoravo a X Factor come responsabile della parte visiva dei costumi e ricevetti una telefonata in cui mi chiedevano di incontrare Achille Lauro perché stava cercando una nuova persona per vestirlo e per curare la sua immagine. Io andai incuriosito perché seguivo quello che faceva. Quando l'ho conosciuto è stato forte, perché mi sono trovato davanti una persona molto diversa da quella che uno spettatore poteva immaginare ma allo stesso tempo simile. C'era questa grande dicotomia in lui (io amo le dicotomie, gli scontri, i poli opposti) e Lauro è una persona che vive di grandi poli opposti. E' un grande artista, un artista che viene da un contesto duro, non ne ha mai fatto segreto e ha costruito gran parte della sua carriera nel racconto di questa dimensione complessa. Allo stesso tempo è una persona estremamente elegante, un signore. Lauro è una persona molto precisa e mi ha dato molta libertà.
Come sono nati i look di Lauro per Sanremo 2020?
Il 2020 è l'anno del look con il mantello che tutti ricordano. Quelle performance sono nate delle meravigliose notti passate a fare ricerca, a scambiarci idee, a sognare di fare una cosa che da una parte potesse scioccare tutti e che dall'altra parte potesse ispirare tanti. La cosa bella di quel progetto è che ha vari livelli di lettura: si può leggere la parte più superficiale, cioè il gesto scioccante, e si può leggere il significato che abbiamo voluto dare a quel gesto. Si può leggere le reference dei personaggi che abbiamo voluto portare su quel palco, si può leggere la grandiosità degli abiti realizzati da Alessandro Michele, che per me è un grande, un grandissimo della nostra moda contemporanea. Quel Sanremo lì credo che sia stato un po' uno squarcio in una tela. Quel Sanremo ha fatto capire a tanti miei colleghi, ma soprattutto a tanti artisti, che quello che porti su quel palco non è semplicemente la tua musica. Puoi portare un progetto, un progetto che parla di qualcosa. E queste perfomance non si vedevano dagli anni '80 a Sanremo. Penso che tanti si sono accodati a questa cosa ed è una cosa bella, lo dico con grande orgoglio.
Si è conclusa da poco la trasmissione Rai Non sono una Signora, in cui sei passato dallo styling alla direzione creativa. Come è stata questa nuova esperienza?
Un giorno, ormai un anno fa, era luglio 2022, ricevo una telefonata da una persona che lavorava in Freemantle. Mi chiamò per questo nuovo programma di Raidue dal titolo Non sono una signora, il primo drag show della televisione pubblica italiana. Io avevo già collaborato diverse volte con Drag Race, avevo avuto anche il grande piacere di vestire Priscilla, una professionista straordinaria. Pensavo mi stessero chiamando per fare i costumi delle drag e quindi ho subito messo le mani avanti dicendo che ero pieno di lavoro. Fare vestiti per le Drag Queen è molto difficile, gli dissi che avevano bisogno più di un costumista che di uno stylist, perché ovviamente è un lavoro che richiede una maestria nel creare degli abiti che io non ho. Poi ho scoperto che mi stavano chiamando per essere il Direttore Artistico della trasmissione e ho accettato con grande entusiasmo.
Ne hai parlato come di un prodotto televisivo che può piacere sia alla comunità LGBTQI+ sia al pubblico Rai, come siete riusciti a unire mondi così diversi?
L'obiettivo di Non sono una Signora era quello di far capire con semplicità, eleganza e soprattutto con ironia il mondo drag al pubblico generalista. Che non è semplice perché magari il pubblico generalista non ha mai visto una Drag Queen in vita sua, non ha mai sentito parlare dell'arte drag se non attraverso una narrativa un po' distorta, che l'ha sempre coniugata a un lato sessuale o un po' kinky. Invece L'altra drag è celebrativa, ironica. Ho potuto collaborare con una marea di professionisti straordinari della nostra televisione e abbiamo lavorato con dei grandissimi talenti che, sia la Rai che Fremantle, mi hanno dato la libertà di scegliere. Faccio un esempio, i truccatori delle drag sono giovanissimi talenti del make up scoperti su TikTok, una nuova wave di ragazzi che stanno riscrivendo le regole del make up. Allo stesso tempo ho avuto la grande possibile di portare per la prima volta sulla televisione pubblica dei rappresentanti della scena del vogueing tra cui B. Fujiko. Non è stato facile, ma abbiamo fatto capire, anche ai personaggi più inusuali che sono venuti a partecipare al nostro programma, che l'arte drag è un'arte grandiosa, divertente e soprattutto abbiamo veicolato un messaggio di grande normalità.
Prima che il programma partisse sei stato criticato dalla comunità LGBTQIA+ per alcune tue dichiarazioni. Cosa è successo?
Mesi fa, prima che partisse il programma, sono stato attaccato perché avevo rilasciato un'intervista in cui dicevo che il nostro programma era un programma per famiglie e molta gente della comunità ha visto questa questa mia affermazione come un voler screditare, sminuire o indebolire il significato dell'arte drag, in realtà è esattamente l'opposto. Io credo che la grandezza della nostra comunità non si trovi solo nella rottura nei confronti di un sistema che ci ha sempre messo dei muri davanti. Del resto Stonewall nasce perché era un riot, non era una manifestazione pacifica, ma allo stesso tempo abbiamo saputo dialogare per essere rappresentati in televisione e non. In questi anni la rappresentazione in televisione è forse la cosa più potente che possiamo avere per far capire agli altri che l'unica cosa che noi tutti vogliamo è amare ed essere amati. E l'amore che circonda la nostra comunità e anche l'amore che le drag mettono nella loro arte, che è un'arte complessa, perché è un'arte che ti dà un'illusione di femminilità, è un'arte che non sminuisce, non deride la donna, anzi la esalta come una figura utopica, materna, accogliente. Perché le grandi drag sono spesso madri di persone che non hanno avuto le possibilità intellettuali che hanno avuto loro per risolversi. E per questo dico che è uno show per famiglie, perché è uno show che io farei vedere ai miei figli, ma è uno show che farei vedere ai figli dei politici di destra che in questo momento dipingono le nostre vite e la nostra comunità come un problema. In realtà amare non è mai un problema, amare è sempre l'unica soluzione per combattere le brutture del mondo.
Qual è stato il tuo contributo al documentario di Luchetti sulla Carrà e cosa a rappresentato per te la partecipazione a questo progetto?
Il documentario su Raffaella è arrivato a sorpresa, sono un fan sfegatato di Raffaella. Per me Raffaella è stata una visione salvifica, da bambino per me lei era una divinità. Quando ho saputo che stavano preparando un documentario su Raffaella ho contattato Barbara Boncompagni e ho cercato di convincerla a farmi essere parte in qualche modo di questo documentario. Il mio è un puntino in un mare meraviglioso, perché è veramente un film stupendo, non parla solo di Raffaella, parla dell'Italia, parla della nostra televisione.
Qual è il tuo ricordo di Raffaella Carrà, l'hai mai incontrata o conosciuta?
Ho incontrato Raffaella una volta, nel backstage del programma di Fiorello Viva RaiPlay, ero con Achille Lauro e Fiorello aveva chiesto a Lauro e Raffaella di fare un piccolo sketch insieme. Lei fece i complimenti a Lauro per il vestito che avevo scelto per lui, una camicia che ricordava il mondo di Pronto Raffaella, scelto apposta per l'occasione, e lei disse a Lauro: "Bella questa camicia, perché su di te non diventa femminile. È particolare, stai molto bene". E' stato un incontro per me molto emozionante, anche se è durato veramente pochissimo.
Recentemente Mediaset ha fatto sapere che Barbara D'urso non condurrà più Pomeriggio 5, tu l'hai vestita ed è una tua amica, cosa ne pensi di questa scelta della rete?
Io stimo molto Barbara, è una persona che ho conosciuto bene negli ultimi anni e prima la conoscevo come spettatore. Che piaccia o no, Barbara ha avuto il merito di riuscire a tenere incollato alla Tv un Paese intero, facendo degli ascolti incredibili. E' una professionista unica della nostra televisione, lo dimostra una carriera di trent'anni. La stimo, è una cara amica, è una persona intelligentissima, una donna tosta, una donna piacevolissima. Poi organizza le più feste più divertenti a cui abbiamo mai partecipato e ha vicino sempre delle persone molto, molto interessanti. Ho conosciuto diversi amici grazie a Barbara. Sono sicuro che il suo futuro avrà tante sorprese, non è finita qua per lei.
Come, una famiglia arcobaleno come la tua, vive oggi in Italia con l'attuale clima politico?
Vivere in Italia in questo clima politico non è semplice. Io sono un uomo gay, sono credente, ho due figli, quindi sono un padre. Sto citando lo storico discorso del nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, perché in realtà è un discorso che mi rappresenta. Io mi rivedo in questo discorso perché come lei anch'io sono padre di due figli. Anch'io credo in Dio. Anche io sono un uomo. Questo momento storico, in cui dipingono le famiglie come la mia come un problema, è difficile, ci sono tante cose che mi fanno arrabbiare. In questo mondo sempre più scuro, fatto di violenza, di guerre, di mali, di virus, di incertezza non è possibile combattere la cosa più sacra che ognuno di noi ha, che è la famiglia. La famiglia per definizione è un porto sicuro, è un luogo sacro, anche per chi per averla ha dovuto combattere. Io penso che quello attuale sia un momento epocale per il nostro Paese: per la prima volta c'è una donna al Governo e io mi auguro che questa donna, che ha delle idee radicalmente opposte alle mie, possa essere leader. E io credo che un leader di un Paese importante come il nostro debba essere il leader di tutti, deve rappresentare l'Italia intera, non solo il suo elettorato, pur grandissimo che sia.
Come racconti ai tuoi figli la vostra famiglia e come hai scelto di difenderli da chi non comprende il vostro nucleo familiare?
Credo che la cosa più importante per i nostri figli è dare loro degli strumenti per affrontare le difficoltà che avranno nella vita. Il mondo fuori non aspetta, non è pronto a dialogare con te. Spesso ti arrivano delle porte in faccia, spesso ti arrivano dei no. Non vuol dire che bisogna prepararli un mondo brutto, significa che bisogna costruire delle menti critiche. Sicuramente ci saranno nel loro percorso, anche scolastico, anche di vita, persone che non capiranno la nostra famiglia. Ci saranno delle persone che ti verranno contro, ti renderanno la vita piena di ostacoli. Quello che cerco di far capire ai miei figli è che è inutile rispondere con l'aggressività, cerco di fare in modo che la rabbia, che si prova quando si è vittima di ingiustizie, diventi un motore per comprendere, per provare empatia nei confronti di chi empatia nei tuoi confronti non ha. Voglio che i miei figli sappiano che c'è un nucleo che li ama, che li sostiene, che sarà sempre pronto a dialogare. Questo nucleo può essere la famiglia, la famiglia che ti sceglierei, gli amici, le persone che amerai. La nostra famiglia è una bellissima famiglia grande, fatta di tante persone, me, mio marito, i miei figli, i nostri genitori, i nostri amici. Ecco, l'amore che c'è nella nostra grande famiglia sarà il loro scudo, sarà il loro kit per saper smontare la diffidenza altrui, per affrontare il dolore che gli altri gli causeranno. Credo che oggi l'importante sia quello di preservare una nuova generazione che può veramente migliorare le sorti del mondo. A questa generazione secondo me va insegnato il rispetto degli altri, il rispetto dell'amore, il rispetto umano nei confronti di chi è diverso da noi. Solo così possiamo salvare il mondo che verrà e il mondo che lasciamo in mano ai nostri figli. Questo mondo non è destinato a continuare se non sarà salvato dal rispetto per gli altri.
Molti figli hanno paura di dichiarare la propria omosessualità ai propri genitori, tu come hai vissuto questo momento?
Il coming out è una tappa molto importante per le persone della mia generazione. Oggi per i ragazzi è più facile parlare della loro sessualità, c'è molta più apertura mentale nei confronti di tutte le varie sfumature della sessualità. Oggi parliamo di persone non binarie, di fluidità di genere, cioè si parla di tante sfumature, cosa che fino a vent'anni fa non succedeva. Io ho fatto coming out con miei genitori, non è stato facile, avevo paura di deluderli ma sono stato molto fortunato perché ho avuto due genitori splendidi, molto aperti, molto comprensivi e soprattutto molto intelligenti. Non è stato per tutti così. Conosco persone che hanno avuto grandi difficoltà in famiglia. Ci sono ragazzi e ragazze che vengono non solo cacciati di casa, ma vengono perseguitati per il loro orientamento sessuale. Quando la tua famiglia, che è il bene più puro che hai, ti perseguita, quando ti caccia, forse questo è uno dei più grandi dolori, un dolore che purtroppo può condizionare tutta la tua vita.
Da padre cosa diresti a un genitore che ha respinto il proprio figlio perché omosessuale?
Io da padre faccio fatica a capire i genitori che respingono i figli per il loro orientamento sessuale. Per quanto si possa essere lontani dal mondo LGBT, per quanto si possa essere spaventati dal mondo LGBT, perché magari non lo si conosce o si è ascoltato solo il racconto che è stato fatto dalla nostra comunità dai media e dai politici, come puoi cacciare un figlio? Come puoi avere un moto violento nei confronti dell'amore che tuo figlio può provare per un'altra persona? Invito tutti i genitori che hanno vissuto male il coming out dei propri figli a ripensarci, a riabbracciare i loro figli, a cercarli, a riappacificarsi, a riflettere su quanto dolore può dare un rifiuto. La vita è breve, fuori c'è un mondo difficile per tutti e se la famiglia, che dovrebbe essere il tuo porto sicuro, ti respinge mettiamo in circolo degli individui che si sentiranno per sempre incompleti, che avranno dei dolori dentro insanabili.
Oggi sei Direttore Artistico, stylist, marito e padre, come ti vedi tra 10 anni? C'è un sogno nel cassetto che non hai ancora realizzato?
Io ho mille sogni nel cassetto, ho una perenne fame di cose nuove, di costruire di più. Tra dieci anni non so dove mi vedo, ma vorrei essere più strutturato a livello lavorativo. Vorrei fare delle cose importanti. Vorrei fare cose che possano ispirare altre persone. Vorrei contribuire alla bellezza, dare bellezza, riceverla, piantarla, farla fiorire. Mi piacerebbe lavorare a Sanremo. Quand'ero bambino il mio sogno era fare il Direttore Artistico di Sanremo, quindi magari prima o poi succede.