Michela Murgia, la storia dell’abito bianco del matrimonio (che non è un abito da sposa)
"Quando Maria Grazia Chiuri mi ha detto ‘voglio disegnarti l’abito da sposa' ho provato imbarazzo". Inizia così il lungo post (il primo di molti) con cui Michela Murgia, scrittrice e attivista, racconta i simboli del suo matrimonio. Una settimana fa, infatti, ha sposato Lorenzo Terenzi ‘in articulo mortis'. Un matrimonio civile per cui non ha voluto auguri perché, spiega, li ha costretti a definire il loro rapporto in un'ottica binaria, di un uomo che sposa una donna, quando la loro famiglia queer è un'esperienza molto più ricca e sfaccettata. "Io e Lorenzo abbiamo firmato un contratto con lo Stato per avere diritti che non c’era altro modo per ottenere così rapidamente", ha spiegato. Comunque, lo hanno fatto a modo loro: ogni dettaglio della giornata è stato scelto con cura, con un significato politico, dall'anello con la rana ai ricami sull'abito.
Perché alle nozze erano tutti vestiti di bianco
L'intenzione di Michela Murgia era quella di decostruire tutta la simbologia classica dei matrimoni. A cominciare dai colori: tutti i presenti indossavano abiti bianchi, non solo lei. Anche perché, sottolinea lei stessa, non si considera una sposa. Su Instagram la scrittrice ha raccontato di essere stata contattata da Maria Grazia Chiuri, stilista di Dior, per realizzare l’abito da sposa. La scrittrice è stata molto chiara sulle sue intenzioni: “Vorrei rendere politico il nostro vissuto per mostrare che abbiamo trovato un altro modo per stare insieme”.
Tre giorni dopo, la stilista le ha inviato i bozzetti di una intera mini-collezione familiare donata alla queer family della Murgia, fatta di pezzi genderless e intercambiabili che ognun* poteva combinare a piacimento. "Completamente bianca per tutti – spiega il post della scrittrice – de-sacralizza il colore nuziale, che cambia significato: il bianco è inclusivo, sintesi additiva di tutti i colori dello spettro".
Cosa c'è scritto sull'abito di Michela Murgia
Michela Murgia indossava un abito morbido con le spalle scoperte, bianco, su cui spicca una scritta ricamata con le perline rosse: “God save the queer”. Si tratta di un gioco di parole tra il motto britannico God Save The Queen (ma nella versione dissacrante e rock del brano dei Sex Pistols) e il termine Queen, che abbraccia tutti gli orientamenti sessuali che non trovano posto nelle definizioni tradizionali. La stessa frase che appare sulle t-shirt personalizzate di Dior, ma con il volto di Michela Murgia al posto di quello di Elisabetta II. Gli abiti con le scritte ricamate sopra ricordanola collezione Dior presentata a Città del Messico, dove i ricami rosso sangue contenevano un inno contro la violenza sulle donne. Del resto il femminismo è alla base dell’esperienza creativa sia di Michela Murgia sia di Maria Grazia Chiuri, che la scrittrice ringrazia: “Quel che siamo, multipli forti, è perfettamente rappresentato da questo incredibile discorso di tessuti e modelli, frutto della sensibilità creativa di una donna, un’amica, che ogni giorno mi dà lezioni di generosità, acume e professionalità”.
Il significato dell’anello con la rana
Tra i dettagli mostrati dalla scrittrice su Instagram c’è anche uno chevalier con il cameo di una rana inciso sopra: un anello famigliare realizzato in resina da Grand Tour. In questo caso l’anello che non rappresenta la fedeltà di due sposi, ma il continuo mutamento e la crescita collettiva di una famiglia allargata. Così come la rana cambia forma varie volte prima di raggiungere la sua forma matura, anche i membri della famiglia Queer si fanno una promessa: “Cambieremo insieme, ma liber3”.