Marina Abramović, la storia dell’iconico abito rosso e delle scarpe nascoste che nessuno ha mai visto
Una donna seduta a un tavolo di legno, di fronte a lei una serie di persone che si accomodano e la guardano senza proferire alcuna parola; in silenzio per lunghissimi minuti, in cui a parlare sono solo gli occhi. Così, con questa performance, Marina Abramović ha fatto la storia. The artist is present ha esplorato in modo inedito la relazione tra artista e spettatore, ha dimostrato quanta arte ci sia nella fisicità, nella sola presenza dell'artista, nel suo corpo pronto a rivelarsi e raccontare tacitamente. La storica performance risale al 2010, ma sta per essere riproposta. La Abramović, infatti, ha deciso di rimetterla in scena, non più al MoMa, ma nella galleria Sean Kelly di New York. È in corso anche un'asta benefica, per aggiudicarsi un posto dinanzi alla performer: si parte da 16 mila dollari.
Cosa c'è dietro un vestito
Ognuno di noi ha quel paio di scarpe da cui proprio non riesce a separarsi, quel paio di jeans ormai stretti che non riesce a buttare, quella T-shirt ingiallita che continua a spostare da un cassetto all'altro. Gli armadi raccontano molto di noi: chi siamo, chi eravamo, chi vorremmo essere. Emily Spivack ci ha persino scritto un libro, che racconta proprio la storia di certi abiti: se sono ancora nei nostri guardaroba, c'è un motivo, che spesso è legato a episodi o persone. Nel suo Worm Stories trova spazio anche la storia dell'iconico abito rosso che indossa Marina Abramović in The artist is present. Nel caso della performer, era un abito significativo, ma erano soprattutto le scarpe ad avere il valore più intimo e personale.
I segreti degli abiti e delle scarpe di Marina Abramović
Nei mesi di esibizione al MoMa, l'artista ha alternato abiti di tre colori diversi. Ciascuno era rappresentativo di un diverso stato d'animo e anche un differente bisogno. Per l'inaugurazione della mostra ha scelto l'abito rosso acceso (simbolo di energia e forza), poi ha proseguito per tutto marzo con quello blu (meditazione e riflessione), ad aprile ha ripreso quello rosso (aveva bisogno di nuove energie a causa della crescente difficoltà dello spettacolo) e infine a maggio quello bianco (simbolo della ritrovata calma, di serenità).
L'abito rosso è quello diventato maggiormente iconico: quel colore doveva appunto darle forza, in un momento in cui invece il suo corpo proprio non voleva saperne. Era reduce da un periodo molto stancante, era fisicamente provata, ma non voleva mollare. La performance è andata avanti per tre mesi al MoMa e già al secondo si era resa conto di quanto fosse pesante. Oltre al colore, la vera caratteristica segreta dell'abito è la sua lunghezza. Il fatto che arrivi a coprire i piedi non è casuale.
La performer, infatti, ha voluto a tutti i costi indossare il suo paio di scarpe preferite, delle calzature completamente usurate e con la suola consumata: quelle indossate per camminare sulla Grande Muraglia cinese. Erano scarpe acquistate in un negozio per alpinisti, pronte per un'impresa titanica come quella, con un supporto speciale per proteggere le caviglie. Quelle calzature sono diventate parte di lei, si sono fuse con i suoi piedi, sono diventate un tutt'uno con le sue gambe, al punto da considerarle una seconda pelle. Al ritorno dalla Cina, la Abramovic decise che non se ne sarebbe mai liberata: sarebbero state il modo per ricordare la difficoltà di essere un'artista e i suoi trascorsi dolorosi, per ritrovare quella parte di sé nei momenti di smarrimento. Ecco perché non poteva non portarle in scena nel momento più difficile della sua carriera.